È mancato Rav Elia Enrico Richetti rabbino “di riferimento” di Vicenza e Verona: cordoglio di Paola Farina, Giovanni Coviello e redazione ViPiù

830
elia richetti
elia richetti

È mancato Rav Elia Enrico Richetti, lasciando nel dolore più profondo la moglie Enrica, il figlio Ishai e la figlia Nurit. Se m’è andato proprio, oggi, ultimo giorno di Pesach, la Pasqua ebraica dura 7 giorni in Israele, di cui il primo e l’ultimo sono feste solenni, per gli ebrei della diaspora dura otto giorni, di cui i primi due e gli ultimi due sono feste solenni.
L’Ebraismo crede all’esistenza di una vita nell’aldilà, l’Olam habah, “il mondo che viene”, e al giudizio, alla ricompensa nei cieli e alla punizione divina.

La locuzione Olam habah, nella transizione ebraica e adoperata anche in allusione a un’era futura nella quale quanti si sono comportati in modo giusto saranno riportati in vita in un mondo perfetto. Non so se rav Richetti ritornerà in un mondo migliore, perché alla luce dei fatti, credo che nessuno stia pensando di migliorare il mondo.

Lo ricordo vice Rabbino capo a Milano, membro, segretario e scriba dl Tribunale Rabbinico di Milano, docente del Collegio Rabbino di Ebraico, titolare dell’Ufficio Funerario della Comunità Ebraica di Milano, Ufficiante di Culto alla Sinagoga Italiana di Gerusalemme, Rabbino Capo a Trieste e a Venezia, rabbino all’ospedale Rambam e Rabbino della sinagoga dell’Ospedale Carmel a Haifa, meticolosissimo sorvegliante alle regole alimentari ebraiche in alcune aziende. Ho citato così, a memoria, senza un ordine preciso. Di sicuro ha ricoperto più cariche di quante ne abbia elencate io, in modo randomatico. Io ho il privilegio di averlo conosciuto come uomo e come rabbino che viveva la sua quotidianità di Uomo e di Rabbino.

Uomo colto, intellettuale, autore, ha scritto e pubblicato diversi articoli su giornali e periodi, ricordo un saggio “Le Mitzvot al femminile” nel 1993, mente brillante. Il nostro è stato un rapporto di amicizia in salita, durante i primi incontri, organizzati dal dott. Giulio, zio del Rabbino c’era reciproca diffidenza e non eravamo quasi mai in sintonia, avevo davanti a me un Rabbino, un Uomo ed io ero una giovane spartana, non curante dell’ortodossia e del protocollo. Con il passare degli anni abbiamo imparato a vederci con occhi diversi, trovando condivisione su parecchi argomenti (non su tutto, ovvio), lui nel suo ruolo di Rabbino ed io, nel mio, di libera cittadina molto intollerante ai diktat, ma maturata e quindi più rispettosa delle regole. Quando avevo dei dubbi, nell’impostare un discorso o su un argomento troppo religioso per me, mi rivolgevo a lui il più delle volte. E’ stato proprio Rav Richetti a farmi notare l’autenticità della Pietra per il Lavaggio delle salme racchiusa nel tempietto del Cimitero Ebraico di Vicenza e ora, avremmo dovuto verificare un altro particolare. Uno studente di una Yeshivà americana (un’istituzione educativa ebraica fondata sullo studio dei testi religiosi tradizionali, principalmente quello del Talmud e della Torah) mi ha fatto notare che su una lapide mi era sfuggito un particolare, aspettavo tempi migliori per incontrare Elia. Il Covid mi costretto a limitare i miei viaggi su Milano, scandendo le priorità oppure, scegliendo le priorità sbagliate. Quando poi una persona se ne va via per sempre, arriva il momento della riflessione e ci s’interroga sulle priorità assegnate.

Elia era del 1950, qualche anno più di me, anche adesso, da pensionato continuava a collaborare nell’ambiente ebraico e svolgeva il ruolo di “Rabbino di Riferimento” della Comunità Ebraica di Verona e Vicenza. Baruch Dayan Emeth a Rav Richetti, significa Benedetto sei Tu Giudice di Verità! A Enrica, Ishai, Nurit e ai parenti tutti, le mie condoglianze unite a quelle del Direttore Giovanni Coviello e della redazione tutta.

Articolo precedenteImmuni, la grande incompiuta dell’emergenza Covid italiana
Articolo successivoSui danni di una DaD priva di sperimentazione. “Agorà. La filosofia in Piazza”: senza alternative a un anno dalla pandemia
Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.