’e verse in tecia ‘e spusa, ma ’e xe tanto bone. Una delle ricette di Umberto Riva raccolte nel suo libro: Arte culi ‘n aria

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Umberto Riva
Umberto Riva

(Articolo- ricette di Umberto Riva da VicenzaPiù Viva n. 12sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr). Una rubrica dedicata alla memoria di Umberto e alle sue innumerevoli “arti”, tra cui quella gastronomica.


"Arte culi 'n aria" di Umberto Riva
“Arte culi ‘n aria” di Umberto Riva

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (l’ultima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 25 marzo 2022, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon)


Prima della ricetta leggi la Prefazione e il glossario di Arte culi ‘n aria“. “’e verse in tecia ‘e spusa”, ma “’e xe tanto bone. Che piatto: “verse sofega’ co ‘l coesin”. Le verze migliori? quelle che “ga ciapa’ ‘a brosema”. Il tempo delle brinate È anche il tempo del maiale, il tempo “de far su ‘l mascio”.

Il menu

Osi de mascio col cren. Costesioe ai feri. Verse sofega’ co ‘l coesin
Poenta fresca e brustola’
Vin fato co ‘a mescola
Cafe fato co ‘l bacheto
Graspa de contrabando
voendo, un toco de putana ge staria ben
Un attentato al fegato.
Ma di qualcosa si deve pur morire, e quanto sarebbe bello morire con le gambe sotto la tavola! (c’è un altro tipo di morte auspicato, ma quello è scritto in un altro libro).
Quando si “fa su el mascio” a lavoro ultimato si fa festa. “’a sena del mascio”. Si consumano gli avanzi della lavorazione e qualcosa in più. Le ossa per il
primo piatto, e poi le costole con qualche fetta di carne ed un po’ di fegato, il cotechino. Solo un po’ di fegato che buona parte, tagliato a grossi pezzi, viene avvolto nel “radeseo” per completare lo spiedo di uccelli di qualche giorno dopo.
La siora Vittoria gestiva le operazioni. “’a sparagagna” tagliata a meta’ per il lungo, veniva messa sulla griglia, dove, un po’ piu’ tardi, trovavano posto le fette di carne e di fegato.
Profumi paradisiaci.
Si diceva che la siora Vittoria, dalla goduria e dall’estasi, si facesse la pipi’ addosso. Le mutande di certo non se le bagnava e quando si spostava, spesso, il pavimento era bagnato da una “poceta”. Lei diceva fosse sudore. Le ossa della carcassa e degli arti venivano bollite. Cren sottaceto, ma, più spesso, grattato al momento in maniera grossolana. Sale grosso.
C’erano stati tentativi anche con la salsa verde ed addirittura con la “peara’”, ma, da noi, non avevano trovato spazi. Le ossa venivano servite bollenti ed i nervetti, con dei residui di carne, dovevano essere morbidi e nello stesso tempo consistenti, ma, fondamentalmente, “tacaisi”.
Gli ossicini dei piedi dovevano appiccicarsi alle dita, e quella pattina appiccicosa, seccandosi, ti dovevano incrostare le dita. Chi mangiava, meglio ciucciava, le ossa della testa si trovava il boccone della delizia “l’ocio”…

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