Dall’inizio della guerra all’Ucraina, la Russia ha perso più di mille società globali che rappresentano circa il 40% del suo Prodotto interno lordo, cioè della ricchezza che è in grado di produrre in un anno. Queste imprese costituiscono il 12% della forza lavoro russa (5 milioni di persone). L’Associazione russa per le comunicazioni elettroniche, in una relazione alla Camera bassa del Parlamento russo, ha rilevato che, fino a maggio scorso, da 50mila a 70mila lavoratori tecnologici erano fuggiti dal Paese. Un massiccio esodo di cervelli, difficilmente rimpiazzabili.
Dovrebbero bastare questi dati per confutare le tesi di noti cultori di geopolitica, di politici in cerca di voti e di giornalisti che hanno qualche difficoltà di comprensione dell’economia che sostengono l’inefficacia delle sanzioni alla Russia e ne chiedono la revisione. Circola perfino la notizia che la Russia è in una fase di prosperità. Ricordiamo, allora, ciò che ha detto la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina: “L’attività economica è in declino. La cessazione delle relazioni economiche a lungo termine avrà un impatto negativo”.
Le sanzioni occidentali hanno inserito nella lista nera la maggior parte delle grandi banche russe e tagliato i legami della Russia con le reti logistiche internazionali. E’ bloccato il sistema per le transazioni internazionali bancarie Swift e congelati all’estero 300 miliardi di dollari della Banca centrale russa. L’apparato industriale è in forte sofferenza per il blocco delle importazioni, in particolare di tecnologia occidentale, indispensabile per il settore manifatturiero: dall’inizio dell’invasione le importazioni in Russia sono crollate del 50%.
Le notizie, false, che provengono dal Cremlino sono dovute ad una accurata selezione degli indicatori economici favorevoli, omettendo quelli sfavorevoli. I dati favorevoli sono diffusi con grande risalto e trovano ampia eco sui media occidentali, inducendo la sensazione che è in atto una guerra di logoramento economico che sta mettendo a dura prova l’Occidente. Il governo russo ha progressivamente trattenuto un numero crescente di statistiche chiave che, prima della guerra, venivano aggiornate su base mensile, compresi tutti i dati del commercio estero. I fatti sono che la Russia sta perdendo i mercati principali come esportatrice di materie prime, tra i quali il gas, i cui afflussi all’Europa rappresentavano l’83% delle destinazioni mondiali. Per quanto veritieri, dati pubblicati dalla compagnia energetica statale russa Gazprom mostrano che la produzione è già diminuita di oltre il 35%.
Non c’è dubbio che la Russia sta perdendo il suo status di superpotenza energetica, con un deterioramento irrevocabile del suo posizionamento economico-strategico come fornitore affidabile di materie prime. Inoltre, la Russia è sostanzialmente tagliata fuori dai mercati finanziari internazionali, il che limita la sua capacità di attingere ai bacini di capitali necessari per rivitalizzare la sua economia paralizzata (“Foreign Policy”).
Per l’Occidente non è proprio il tempo di mollare.
(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione del 1 settembre 2022)
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Fonte: Economia russa in ginocchio. La balla delle sanzioni che non funzionano