EDITORIALE | Liberazione di Cecilia Sala, ora faccia dei detenuti meno noti di lei la bandiera sua e del suo mondo. Che conta…

307
Il post di Cecilia Sala sui detenuti di Evin
Il post di Cecilia Sala sui detenuti di Evin

Siamo tutti contenti della liberazione di Cecilia Sala, la giornalista italiana detenuta in carcere in Iran per 21 giorni. Io per primo e, del resto, ho reso a voi lettori in un mio precedente articolo (che trovate a questo link) quanto fosse auspicabile il suo ritorno in libertà, ed in Italia, anche a discapito di alcune sue posizioni giovanili di senso contrario, anche se magari in contesti diversi, sul tema della detenzione all’estero di connazionali. Trovate tutto nell’articolo menzionato (e linkato) che, tra le altre cose, è stato il più letto da voi affezionati lettori di ViPiù negli ultimi tempi. E ve ne ringrazio.

In esso – lo ricordo a me stesso e ai lettori – avevo però tratteggiato, probabilmente tra i primi in Italia, e comunque certamente non il solo, me ne guarderei bene dall’affermarlo, una trama un po’ più sotterranea di questa vicenda e relativa allo sforzo eccezionale del Governo e della diplomazia italiana per addivenire in tempi rapidi a una soluzione positiva. “Perché”? mi chiedevo. Così mi sono risposto e ne ho scritto.

Questo il passaggio in questione: “C’è, poi, come dicevamo, una dimenticanza o scarsa evidenza data a questo fatto dalla stampa: Cecilia Sala è figlia di Renato, membro indipendente del consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi di Siena, quindi non è un obiettivo, indiretto?, da nulla.

Senza malignare sull’intensità odierna dei decisi tentativi di liberazione, ripeto sacrosanti aldilà di quello che lei pensava nel 2013 e da portare avanti con determinazione e celerità senza aspettare gli anni che i due marò dovettero “scontare” subendo anche i danni psicologici che la mamma di Cecilia teme per la figlia, il ruolo di rilievo del padre in MPS fa venire qualche brutto pensiero: se, in ogni caso Cecilia Sala come giornalista poteva e doveva andare in qualunque luogo per fare il suo lavoro, non si può dire che l’Iran abbia scelto a caso contro chi fare ritorsioni.

Non contro una sia pur brava giornalista, ma contro una giornalista figlia di un alto esponente della finanza italiana”.

La bontà di questa supposizione, che nulla toglie – ci tengo a ribadirlo – a quella della rapida risoluzione per la quale ho sempre tifato (quasi più che per il mio Napoli) trova riscontro in vari articoli che ho avuto il piacere, misto al motivato interesse, di leggere in queste ore. Cito su tutti quanto vergato sulle colonne di Repubblica.it dal buon (non per ruffianeria) .

La liberazione di Cecilia Sala è arrivata ieri all’improvviso – scrive –. Ma non inattesa. Perché è stata il frutto di un lunghissimo lavoro, e anche di qualche errore per la verità, della nostra intelligence, della politica, della diplomazia. E anche della testardaggine della famiglia Sala che ha saputo muovere i fili necessari, anche forzando. Una trattativa lunga e difficile. Che ha avuto come centro Roma e Teheran, è vero. Ma si è mossa anche sull’asse Washington-Damasco perché ha visto il nostro servizio di intelligence estero protagonista di un un ruolo di raccordo: in Iran, come in Siria, dopo questa storia, siamo considerati ora ottimi mediatori per interloquire con Trump”.

E ancora: “A cambiare le carte arrivano due cose”. La prima, quella che riguarda le mie ipotesi, ora doppiamente confermate, “Il 29, per il tramite di Andrea Stroppa (il rappresentante in Italia degli interessi dello sponsor principe di Trump), la  famiglia Sala porta la storia di Cecilia all’attenzione di Elon Musk. Che ascolta…“, riporta ancora Foschini.

Da queste pagine, i miei preziosi collaboratori, tra cui Andrea Polizzo che mi ha supportato anche per questo editoriale mentre sono in viaggio per gli Usa, si sono soffermati sui tanti e altri aspetti della vicenda, comprese (lo avrete letto proprio oggi) le prime dichiarazioni “social” di Cecilia Sala, che contenevano letteralmente (e spero ci rimanga per molto tempo) il mio auspicio più sentito, secondo soltanto – ovviamente – a quello già espresso della sua liberazione.

Ovvero che adesso, la giornalista di Chora Media, infarcita di soci vip, che l’hanno fortemente ricapitalizzata (leggi “Chora Media in rosso, disastro di Calabresi. Aumento di capitale da 8 mln“), e de Il Foglio di Claudio Cerasa, accenda i fari sui detenuti meno noti di lei rimasti nel carcere di Evin, senza aiuti. Dovrebbe fare di questa attività la sua bandiera, magari con un pizzico di prudenza iniziale, la stessa che dovrebbe portarla anche a evitare le ospitate che tutti le staranno proponendo per spettacolarizzare la sua vicenza umana.

Noi le saremo ancora più vicini e riconoscenti… perché la sua bravura e sensibilità, molto apprezzata dai tantissimi suoi “lettori” e ascoltatori dei suoi podcast, tra cui molti giovani, unita alla “consistenza” dell’ambiente, familiare (padre e madre) e non, che la supporta, potrebbero continuare a fare per i detenuti di Evin quanto hanno fatto per lei.

Il suo primo post su Instagram, riportato in copertina, di gioia ma anche con “in testa quelli che alzando lo sguardo non possono ancora vedere il cielo” su Instagram ci incoraggia. E la impegna.

Metteteci un like e un invito a mantenere l’impegno.