Educare alla pace vuol dire rifiutare la guerra, ma non il conflitto delle idee

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Educare alla pace
Educare alla pace

Il Liceo Bianchi Dottula di Bari ha organizzato un corso di formazione dal titolo Per educare alla pace e alla giustizia. Paradigmi, strategie didattiche e pratiche partecipative. In uno degli incontri, un relatore ha delineato un excursus sintetico di tutte le guerre che hanno attraversato l’era moderna e i diversi equilibri o disequilibri che le hanno causate.

Impossibile non sentirsi impotenti e disperati davanti alla constatazione che la guerra è stata, è e probabilmente sarà una inesorabile connotazione dell’essere umano.

Eppure se facessimo un sondaggio, con un’altissima probabilità, i favorevoli alla guerra come mezzo di risoluzione dei contrasti raggiungerebbero una percentuale quasi pari allo zero. Nessun individuo dotato di sano equilibrio potrebbe andare nella direzione opposta,  a meno che si parli di novelli Rambo o di venditori di armi interessati a tutelare i propri interessi.

Il nostro mondo invece è disseminato di guerre ovunque e nessuno dei nostri governanti a livello planetario è interessato a perseguire quella strada che veda abolita la legge del più forte, del meglio equipaggiato, per cui siamo all’assurdo di veder passare la tutela della Pace attraverso l’arricchimento degli arsenali nucleari.

Mi chiedo se esista per l’uomo la possibilità di affrancarsi da questo flagello.

In fondo, la competizione sembra connaturata all’essere umano stesso ed è quella che viene fuori ogni qualvolta, anche nella nostra ordinaria quotidianità, entriamo in conflitto con qualcuno. Attenzione però a non confondere i termini guerra e conflitto.

Sovrapporre le due parole significa disegnare nelle nostre menti mondi in cui, appunto, la guerra con l’altro, che si oppone ai nostri desiderata, si ammanta di giustificazioni e di falsi ragionamenti che sminuiscono il suo portato di dolore e sofferenza. Si tratta, invece, di una distinzione sostanziale che vede la guerra come uso deliberato, organizzato e pianificato di violenza mortifera e il conflitto come naturale contrapposizione di idee diverse, che richiedono la mediazione per giungere a sani ed equilibrati compromessi.

Certo, è inutile negare che quando a capo delle diverse comunità ci si imbatte in feroci dittatori o fanatici idealisti, parlare di pace sembra un desiderio infantile e totalmente fuori contesto. Impedire che possano perpetrare violenze ed atrocità è non solo necessario, ma doveroso.

E, allora, qual è la soluzione per non assistere più al supplizio degli innocenti?

Ho sempre pensato che la scuola abbia un ruolo fondamentale nella costruzione del nostro mondo futuro e che individuare un piano formativo comune ci permetterebbe di unire gli sforzi e fare quadrato attorno ai valori fondanti di una società, che andrebbe educata ai principi del diritto, della vera democrazia e soprattutto della condivisione delle risorse, perché fino a quando sarà imperante il meccanismo innescato del benessere economico sempre più spinto e sempre più individualista, sarà difficile non considerare i predatori dei deboli più intelligenti e più “meritevoli”.

La sola speranza, quindi, per il genere umano, almeno per diminuire l’uso della guerra per affermare i propri bisogni, è quella di educare i popoli ad una nuova mentalità di pace, di giustizia, di valorizzazione delle differenze, di rettitudine ed onestà.

È la coscienza degli uomini che va cambiata. Quella coscienza che sembra immediatamente compromessa quando in tempi di guerra riesce a giustificare stupri, massacri di ogni tipo, sadismo efferato, quasi che ci fosse una morale ed un’etica per ogni stagione, quella morale che permette ad un padre di famiglia, di tornare a casa tra i suoi cari, come se nulla fosse, dopo aver ucciso e violentato senza scrupoli. Il sotteso è che il fine giustifica i mezzi e che se una moglie diventa vedova o una madre perde un figlio o un figlio diventa orfano, il tutto fa parte di quello che ci viene fatto credere sia un bene superiore.

Occorre quindi una nuova visione del mondo, un nuovo sistema politico che rifiuti a priori l’uso delle armi e che investa sulle nuove generazioni, attraverso la scuola, all’idea la pace, la giustizia, la democrazia sono mondi possibili…e chissà che l’articolo 11 della nostra Costituzione non cominci davvero a respirare e a contagiare.

Di Antonella Maggi

Antonella Maggi
Antonella Maggi

Antonella Maggi è laureata in Lingue e Letteratura Straniere presso l’Università degli Studi di Bari e insegna Lingua Inglese nella scuola secondaria di primo grado. Ha collaborato alla stesura di numerosi progetti nell’ambito dei programmi di cooperazione internazionale (European Territorial Cooperation Programmes) e partecipa alla creazione, realizzazione e presentazione di attività editoriali. Il suo interesse per le modalità innovative nella didattica delle lingue straniere l’ha portata a studiare nuovi percorsi interdisciplinari, con l’obiettivo di sviluppare nei ragazzi la consapevolezza del loro ruolo di cittadini attivi anche in ambito europeo.


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a cura di Michele Lucivero

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