Alla luce dei recenti e frequenti casi di violenza di genere, è stata più volte posta la domanda su come fosse possibile prevenirli. Fin da subito una delle posizioni maggiormente sostenute, in particolare dai più progressisti, prevedeva l’introduzione stabile di un corso di educazione sessuale nelle scuole dei vari gradi. Negli Stati in cui è considerato metodo ordinario, l’educazione sessuale garantisce uno studio approfondito dell’anatomia e della fisiologia umana e della psicologia adolescenziale ma soprattutto è funzionale a soddisfare le curiosità dei ragazzi stessi inerenti al comportamento sessuale umano. Proprio queste molto spesso vengono taciute dando origine a una pericolosa ignoranza.
Dove è obbligatoria?
Nel 2018 l’Unesco sostenne che “l’educazione sessuale nelle scuole consente a bambini e ragazzi […] di realizzarsi, nel rispetto della loro salute, del loro benessere e della loro dignità”. In seguito a questa affermazione, a cui conseguiva un coerente invito, numerosi paesi europei decisero di introdurla come materia ordinaria. Ad oggi, l’ordinamento scolastico francese, tedesco e e di molti altri Stati prevede un corso stabile di educazione sessuale in tutti i gradi scolastici. Mentre altri (come l’Italia) scelsero di conservare il consueto assetto didattico. Il risultato è che oggi in Italia le attività educative inerenti alla sessualità sono disomogenee e lasciate alla buona volontà di insegnanti, presidi e Regioni. Nell’anno scolastico 2022/2023 su 5.364 istituti pubblici superiori, solo 1.200 hanno attivato percorsi di educazione sessuale. Nella maggior parte dei casi, la durata delle attività non ha superato le sei ore.
Nell’Italia odierna dunque, l’unico canale preposto alla formazione dei giovani quanto ad affettività rimane la famiglia. Questo ambito tuttavia è stato più volte riconosciuto come inadatto a portare da solo il peso di un insegnamento così delicato.
Perché introdurla?
Questa mancanza, che genera conseguentemente ignoranza, è stata ben fotografata dall’indagine condotta dall’ Osservatorio “Giovani e Sessualità” nel 2023 a cui hanno aderito più di 15.000 giovani tra gli 11 e i 24 anni. I dati emersi risultano profondamente preoccupanti. Ben il 62,5% degli intervistati è risultato affidarsi a pratiche rischiose come metodi contraccettivi. Di questi il 39% – tra cui sono presenti per lo più i giovanissimi tra gli 11 e i 13 anni – definisce erroneamente questi stessi metodi “estremamente efficaci” contro gravidanze non desiderate e infezioni sessualmente trasmissibili.
La situazione si aggrava ulteriormente in riferimento alla fonte di informazioni “sicura” verso cui gli intervistati sostengono di affidarsi. Il 45,3% per trovare risposte e consigli a problemi o curiosità affettive naviga su Internet. Molto spesso si predilige il mondo virtuale per l’imbarazzo di chiedere a qualcuno o per la mancanza di una figura fidata a cui rivolgersi. Di questa ignoranza sono ben consapevoli anche gli stessi giovani. Il 93,7% degli intervistati infatti crede che l’educazione sessuale dovrebbe essere offerta dalla scuola stessa come materia ordinaria.
L’educazione sessuale nelle scuole potrebbe contribuire al raggiungimento di numerosi obiettivi tutti necessari alla formazione della persona. In prima istanza, sembra quasi ovvio (ma neanche tanto visto i dati precedentemente forniti) che servirebbe per favorire la riduzione di attività sessuali non protette attraverso una più capillare informazione e prevenzione. Ma non solo. L’educazione alla sessualità infatti favorisce il rispetto del proprio e dell’altrui corpo. Solo a partire dal rispetto reciproco è possibile costruire relazioni equilibrate e solide rispettose delle diversità individuali. Lo dimostra il fatto che il contrasto degli stereotipi di genere è maggiore negli Stati in cui l’educazione sessuale è da tempo obbligatoria.
Da tutte queste premesse è possibile trarre una considerazione conclusiva. Fin tanto che l’educazione sessuale verrà intesa come semplice trasmissione di informazioni, relegabile (nei migliori dei casi) in poche ore scolastiche all’anno o all’ambiente familiare, non raggiungerà mai le sue finalità più profonde. Tale insegnamento deve essere oggi più che mai inquadrato nell’ambito più globale dello sviluppo delle capacità comunicative e relazionali della persona e del cittadino di oggi ma soprattutto di domani.