Elezioni politiche del 25 settembre: alcune, altre riflessioni

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Elezioni e resistenza
Elezioni e resistenza

Si sono concluse le elezioni anticipate e si è vista l’affermazione, annunciata, del cosiddetto centro-destra con oltre il 44% (qui uno dei precedenti commenti su ViPiu.it, ndr). Le altre coalizioni sono molto distanti. La debacle del PD, impropriamente definito “sinistra”, è stata “definitiva”. Il “circa 19%” che ha ottenuto la racconta una sconfitta cocente. Il M5S si attesta intorno al 15% dimezzando la percentuale ottenuta nel 2018 ma con una “ripresa” consistente tenendo conto dei vari sondaggi che lo davano sotto il 10%. Il “centro” (definito 3° polo) di Renzi e Calenda si assesta a un quasi 8%.

Alcune considerazioni sembrano d’obbligo.

La vittoria annunciata del cdx ha visto una discesa consistente della Lega (al di sotto delle previsioni) con dolorose sconfitte nelle regioni storicamente leghiste, FI con l’onnipresente Berlusconi si assesta al 8%. Il partito trainante con il 26% è Fratelli d’Italia. Una vittoria della destra più che del cdx, anzi un trionfo di Giorgia Meloni. Ingigantito, oltre che dai numeri, da una legge elettorale alquanto “stravagante”. Una legge che più o meno tutti dicono di voler cambiare ma che, evidentemente, a “lorsignori” va bene così.

I risultati sono frutto di una campagna elettorale fatta in fretta e furia in quanto bisognava correre per via delle decisioni presidenziali di terminare la legislatura d’estate e votare nei primi giorni d’autunno. Praticamente si è voluto blindare il Parlamento obbligando chi non c’era a raccogliere migliaia di firme a cavallo di Ferragosto. Il risultato è quello che si voleva. Le forze che occuperanno il parlamento erano quelle che c’erano prima. L’insieme non cambia.

Forze che hanno governato negli ultimi decenni, chi più chi meno. Responsabili della situazione attuale. Forze che hanno perseguito le medesime politiche con atteggiamenti simili. Forze che hanno votato l’inserimento in costituzione del pareggio di bilancio, la legge Fornero sulle pensioni, il Jobs Act, lo stravolgimento dello statuto dei lavoratori, le leggi sull’immigrazione, quelle che limitano (di fatto) il diritto di sciopero e che rendono meno sicuro e precario il lavoro, quelle sull’alternanza scuola-lavoro e su ITS Academy … Hanno favorito, chi più chi meno, le delocalizzazioni, le privatizzazioni, la mancanza di un piano industriale. Hanno tagliato i servizi, l’istruzione, la sanità pubbliche … Certo, si sono accapigliati su proposte di legge che riguardano i diritti civili, hanno polemizzato sui vaccini … ma, nella sostanza, erano tutti d’accordo a ribadire un concetto fondamentale: la crisi la deve pagare soprattutto chi ha meno, al quale si potrà concedere qualche “bonus”, una elemosina data “a pioggia”, per lenire il disagio, non per risolverlo.

Così si è votato e ha vinto Giorgia Meloni (che passa passa da un circa 5% del 2018 al 26% del 2022) che adesso sarà incaricata di formare il nuovo governo e affrontare le questioni gravissime e irrisolte dai governi precedenti. Anche da quello del quale faceva parte la stessa Meloni come ministra dell gioventù.

Di fronte a questa situazione gli elettori hanno scelto un “nuovo” che tale non è. Meloni è da sempre in politica occupando importanti poltrone di governo e potere. Appare come “il nuovo” ma, nei fatti, così non è. È stata all’opposizione del governo Draghi approvando vari decreti e leggi dello stesso ma è apparsa come l’unica opposizione a un governo che, evidentemente, non era così amato e che, agli occhi di chi è andato a votare, ha prodotto ben poco di utile e buono.

Chi (non) è andato a votare … Giusto ricordarlo perché questo è un grosso problema. Forse per stanchezza, rassegnazione o, forse, perché le forze politiche che realisticamente potevano sperare di entrare in Parlamento (grazie a una legge elettorale talmente “bizzarra” da fare sorgere il ragionevole dubbio che abbia poco di democratico) erano “indistinguibili” riguardo le proposte di un reale cambiamento della situazione attuale. Cambiamento necessario per risolvere una crisi strutturale che diventa sempre più profonda. Tutti a promettere favori e prebende al “popolo”, pensando che con tali dichiarazioni avrebbero ottenuto tanti voti perché, in definitiva, per loro il popolo è sempre un po’ “bue” e crede alle parole di chi appare, di chi è potente e ricco, di chi è riverito dagli organi di informazione.

Giorgia Meloni è apparsa spesso e volentieri e i voti li ha ottenuti e tanti. Ci ha fatto credere di essere esente da responsabilità e, quindi, è risultata più credibile di altri. Come gli altri ha fatto tesoro della poca memoria degli elettori, del fatto che ci si ricorda solo della cronaca e si dimentica la Storia. Un aspetto di deficit culturale che sembra non interessare a chi occupa le poltrone delle istituzioni.

Come non interessa, nel concreto, a “lorsignori” il fatto che, in queste elezioni, abbia trionfato l’assenza. In effetti il più numeroso “partito” è quello dell’astensione con oltre il 36%, in crescita di circa il 9% rispetto alle elezioni del 2018. Se, poi, a questa percentuale aggiungiamo le schede nulle, quelle bianche e i voti dei partiti e liste che non hanno superato il quorum, è facile convincersi che sarà comunque poco più del 50% degli aventi diritto ad essere rappresentato in Parlamento (considerando governo e “opposizione”). Ma questa è “la democrazia” (ci dicono) ed è giusto così, non possiamo farci niente.

E c’è un’altra novità … Giorgia Meloni è donna (oltre che madre) e questo pare stemperi molte critiche. Certo è una cosa positiva che una donna possa diventare presidente del consiglio dei ministri, la prima in assoluto della Repubblica. Ma da questo ad assolvere preventivamente Giorgia Meloni dalle sue responsabilità future (e passate) ne corre. Non è che se una donna arriva a detenere il potere lo farà in maniera migliore o più benevola. Lo possiamo chiedere ai minatori inglesi se la Thatcher è stata tale. Come non è vero che gli uomini siano “migliori”. Dipende dagli atti che ognuno compie, dalle politiche perseguite, dagli obiettivi che si vogliono realizzare. Dalla storia delle persone che assumono responsabilità. Pensare che Giorgia Meloni per il solo fatto di essere donna saprà fare meglio degli uomini che l’hanno preceduta è lo stesso “pregiudizio” per il quale ad Obama fu conferito il Nobel per la Pace. Poi è arrivata la realtà e un elenco delle guerre iniziate durante la sua presidenza molto lungo. E non si facciano paragoni, per favore, con altre figure femminili che sono state, queste si, madri della nostra Repubblica, persone integerrime e capaci che hanno messo a repentaglio la propria vita per il bene del paese e che sono diventate le “prime” in ruoli importanti. Ne cito solo due. Camilla Ravera, prima senatrice a vita. Tina Anselmi prima donna ministro della Repubblica. Si vadano a leggere le loro biografie e, per favore, non si facciano paragoni tra Giorgia Meloni e loro. Sarebbe come comparare la cronaca con la Storia (quella con la S maiuscola).

PS: alla fine mi accorgo di non aver mai usato la parola “fascismo” anche se …

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.