Elezioni Usa, perché Harris ha perso… “democraticamente”

Sciocca, e faziosa, lo dice chi sperava vincesse Kamala Harris, l'opinione che con l'elezione di Trump sia a rischio la democrazia in quel Paese

157
Elezioni Usa. Harris e Trump, la storica stretta di mano 8 anni dopo l'ultima volta. Il colpo di scena (cercato da Kamala) © Ansa
Harris e Trump, la storica stretta di mano 8 anni dopo l'ultima volta. Il colpo di scena (cercato da Kamala) © Ansa

Una riflessione sintetica sulla vittoria di Trump e, specularmente, sulla sconfitta di Kamala Harris alle elezioni Usa si incentra sui seguenti punti:

1 – L’economia, e in particolare la percezione dell’economia. La percezione è che Trump ha fatto bene, Biden meno bene. I numeri dicono il contrario ma questa è la percezione (inflazione ecc.). Essendo sua Vice President, Kamala Harris non ha avuto modo o anche tempo di creare un messaggio economico appetibile. Magari un candidato diverso ci sarebbe riuscito.

2 – La politica della paura, su cui i repubblicani sono riusciti a capitalizzare benissimo. Paura di ciò che può arrivare (i gay alla conquista della società, gli immigrati, le aziende cinesi) e di ciò che puoi perdere (quel poco di tradizione/certezze e quel poco di benessere). I democratici non hanno capitalizzato sulla paura, facendo perno solo sulla paura di Trump. La paura determina elezioni ora come 100 anni fa. E valida movimenti repressivi.

3 – Kamala Harris è donna e nera. Non è solo razzismo e misoginia (sentimenti negativi). È soprattutto che non corrisponde a una tipologia di personaggio che le persone riconoscono come leader al livello presidenziale. Biden e Trump sono due tipologie molto diverse di questo personaggio. La Harris no. Questo secondo aspetto ha un effetto su molti più elettori.

4 – I democratici hanno imposto Kamala Harris troppo tardi quando hanno capito che Biden avrebbe perso. Non hanno dato modo a un candidato diverso di emergere e comunicare un programma con le primarie e su un periodo lungo. Hanno chiesto alla gente di fidarsi e di votare per lealtà a un partito.

Detto questo ci pare sciocca, se non faziosa, l’opinione di alcuni colleghi e opinionisti di sicuro più prestigiosi di chi scrive quando affermano che con l’elezione di Trump sia un attentato alla democrazia in quel Paese.

Sciocca, e faziosa, perché, ve lo dice chi sperava vincesse Kamala Harris, non si valuta la tenuta della democrazia solo sulla base della vittoria di un candidato, Trump, non apprezzato da quegli opinionisti di fama, altrimenti si cade, questo sì, proprio nel peggior errore del nuovo prossimo presidente Usa che, quando nel 2020 fu sconfitto, urlò ai brogli e complotti antidemocratici.

Gli Usa, invece, hanno dato una lezione di democrazia con i cittadini andati in massa al voto (cos’altro è la democrazia se non la libera espressione del voto?), con la sconfitta Kamala Harris e il “vecchio” Joe pronti a impegnarsi per promuovere una transizione ordinata dall’amministrazione Biden a quella Trump e col presidente uscente Biden ad affermare che “L’America si ama anche quando si perde”.

Sta ora a Trump, forte della sua vittoria e magari della sua età (è lui ora il vecchio al posto di Biden), cogliere questi messaggi e operare per il meglio del suo Paese, che ha un grosso peso su tutto il mondo; sta ai democratici sconfitti progettare sin da subito una nuova proposta per il 2008

E sta a tutti gli attori in gioco, in primis gli americani, operare e vigilare perché fra quattro anni possano tornare a votare liberamente alle elezioni Usa con la almeno stessa partecipazione del 5 novembre scorso anche se, magari ma questo è un tema mondiale, con un confronto meno polarizzato su slogan divisivi e più concentrato sui progetti reali.