Il titolo del dibattito – esordisce Elio Lannutti *, senatore M5S già di IdV, fondatore di Adusbef e il primo a “denunciare Zonin & c. – dice tutto: La libertà di stampa è la prima delle fake news. Il caso della banche, tra blandizie e intimidazioni”
È un momento difficile per libertà di stampa. Stiamo assistendo a una crisi strutturale del settore che ha comportato la chiusura di molte testate e la concentrazione dei mercati dei media. Accompagnata da leggi obsolete che regolamentano la professione giornalistica, che anziché aiutare, sottopongono i giornalisti a difficoltà di ordine professionale ed economico.
Mentre è nostro dovere proteggere i giornalisti, come pure mantenere e sostenere il pluralismo, e garantire così condizioni favorevoli alla liberta? di espressione e al corrispondente diritto ad essere informati. Perché proteggere i giornalisti – non dobbiamo mai dimenticarlo – significa garantire innanzitutto il diritto di ogni cittadino ad essere informato.
Per questo lo scorso ottobre, a pochi mesi dall’avvio della legislatura – prosegue Elio Lannutti – abbiamo depositato in Parlamento due disegni di legge, primo firmatario il senatore del Ms5 nonché giornalista Primo Di Nicola. Due provvedimenti a tutela della libertà di informazione e del lavoro giornalistico, che servono a ridare fiducia ai giornalisti che vogliono fare inchieste e che hanno il coraggio di indagare, anche se si dovessero trovano in una posizione di debolezza.
Il primo provvedimento serve finalmente a mettere un freno alle liti temerarie, uno strumento abusato da chi ha il potere, e che pensa in questo modo di tappare la bocca ai giornalisti. Una “molestia giudiziaria” fatta in mala fede, che serve a chi la utilizza soltanto per incutere paura e mettere a tacere le voci critiche. Oggi, infatti, su 100 richieste di risarcimento ai danni di giornalisti, almeno 40 sono immotivate.
E le minacce di richieste milionarie (vedi a Vicenza quelle contro VicenzaPiu.com e Giovanni Coviello) sono all’ordine del giorno. E per quale motivo vengono fatte se non, appunto, per intimidire, vessare, impedire ai giornalisti di fare serenamente il proprio lavoro? E le prime vittime, ricordiamocelo sempre, sono i giornalisti con la schiena dritta, senza padroni e senza padrini. Oltre naturalmente ai cittadini, martiri anche loro di una stampa “viziata” e parziale.
La legge attuale purtroppo non aiuta a ridurne l’abuso, perché una citazione milionaria costa zero a chi l’intenta, e se il querelante perde non deve dare nulla per aver intentato la lite temeraria. Mentre, di contro, sappiamo che davanti a richieste milionarie anche i giornali con meno problemi, ammesso che ce ne siano ancora di giornali senza problemi economici, tremano, ci pensano due volte prima di andare avanti con quella o quell’altra inchiesta. E, a volte, basta una condanna di poche decine di migliaia di euro per mettere in seria difficoltà il giornale colpito, per far saltare i bilanci. Per le testate più piccole, che sono spesso le più indipendenti, una lite temeraria può significare addirittura la chiusura. E quella voce libera sarà azzittita per sempre.
Il nostro disegno di legge mette uno freno a questo comportamento aggressivo e illegittimo perché, modificando l’art. 96 del codice di procedura civile, stabilisce che nei casi di diffamazione a mezzo della stampa, della radiotelevisione o del web, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno, il giudice possa avere la possibilità di condannare chi ha avanzato la richiesta temeraria a pagare non meno della metà della somma chiesta come risarcimento. Ed è proprio questa misura finalmente quantificata precisa, il 50% della cifra richiesta, che dovrebbe frenare definitivamente le cause pretestuose contro i giornalisti.
(L’articolo recita: “Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche online o della radiotelevisione in cui risulta mala fede o colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno, su richiesta del convenuto, il giudice (con la sentenza che rigetta la domanda) condanna l’attore, oltre che alle spese e agli oneri di difesa e al risarcimento dei danni (così come già previsto rispettivamente dall’art.91 e 96 del codice di procedura civile), anche al pagamento a favore del richiedente di una somma non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria”).
Il secondo provvedimento va, invece, a modificare l’art. 200 del codice di procedura penale rafforzando la tutela della segretezza delle fonti con l’eliminazione della parte nella quale si stabilisce che il giudice possa ordinare al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni quando queste notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato. Un provvedimento più che mai necessario. È sotto gli occhi di tutti che diverse Procure della Repubblica hanno preso negli ultimi mesi una serie di decisioni illegittime, che di fatto stanno abrogando il segreto professionale dei giornalisti. Basta il semplice sospetto di una minima violazione di segreto d’ufficio e scatta la perquisizione per scoprire le fonti del giornalista. È una pratica più volte censurata dalla Cassazione e ancor più energicamente condannata da norme e sentenze europee. Eppure accade sempre più spesso. Il fenomeno si traduce, al di là della buona fede dei singoli magistrati, in una pressione per tutti i giornalisti. Il messaggio è chiaro: se scrivi una parola di troppo puoi trovarti gente in divisa che fruga tra le cose più intime di casa tua o che si prende il tuo telefonino e cartografa comodamente tutte le tue relazioni e tutte le tue fonti. Anche chi si affida al segreto professionale del giornalista, imposto dalla legge e tutelato anche dal codice di procedura penale, è avvertito: se vai a raccontare qualcosa anche senza commettere niente di illecito, sappi che prima o poi potrebbe esserci un carabiniere, un poliziotto o un magistrato che potrà ricostruire tutti i tuoi contatti con il giornalista.
E qui ne abbiamo due di questi giornalisti. Nicola Borzi, che per il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone avrebbe violato il segreto di Stato, che si è visto sequestrare tutto, dal cellulare al computer. E Francesco Bonazzi, costretto a consegnare una chiavetta con i documenti richiesti e che è stato sottoposto a un lungo interrogatorio da testimone non indagato. Insomma, per entrambi i giornalisti il solito trattamento, la richiesta in nome della Legge di violare la legge che vieta di rivelare le fonti. Un controsenso, che lede ancora una volta la libertà a informare e a essere informati.
Ma se la libertà di stampa – conclude il senatore Elio Lannutti – è messa in discussione dalla magistratura, a chi potremo rivolgerci per difenderla? Da qui la necessità di questo provvedimento, più che mai indispensabile e urgente. (L’articolo recita: “Il comma 3 dell’articolo 200 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: “Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti e pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione”).
Base del primo intervento (di cui al video) di Elio Lannutti al convegno organizzato l’11 marzo da VicenzaPiù per i suoi 13 anni: “Libertà di stampa, la prima dellle fake news. Il caso delle banche, tra blandizie e intimidazioni“.
*DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori DI NICOLA, AIROLA, ANGRISANI, CASTELLONE,DI GIROLAMO, GALLICCHIO, Elio Lannutti, LANZI, LOMUTI, LUCIDI,PIARULLI, PIRRO, PUGLIA, ROMANO, VANIN e PARAGONE
Art. 1.
- All’articolo 96 del codice di procedura civile, dopo il primo comma è inserito il seguente:
«Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno, su richiesta del convenuto, il giudice, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del richiedente di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria».
* Elio Lannutti
Giornalista e scrittore. Fondatore Adusbef (Associazione consumatori specializzata in banca e finanza), eletto al Senato nel 2008, come indipendente (lista Di Pietro Idv). Ha collaborato con «Il Messaggero», «la Repubblica», «Avvenimenti» (che ha contribuito a fondare nel 1988), con inchieste ed articoli a tutela dei diritti dei cittadini. Tra i suoi libri: ‘Euro: la rapina del secolo’ (Editori Riuniti, 2003)- ‘I furbetti del quartierino’ (Editori Riuniti, 2005’), scritti entrambi con Michele Gambino; “La Repubblica delle Banche” (Arianna Editrice 2008, con la prefazione di Beppe Grillo); “Bankster: molto peggio di Al Capone i vampiri di Wall Street” (Editori Riuniti, 2010), “Cleptocrazia, Ladri di futuro” (Imprimatur Editore, 2013); ‘Diario di un senatore di Strada’ (Castelvecchi 2014); ‘La Banda d’Italia’ (Chiare Lettere 2015); Morte dei Paschi (Paper First,2017) con Franco Fracassi; “I Conquistatori” (2018), con Tiziana Alterio e Franco Fracassi.