Elisabetta e Giorgio VI in due film

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Mi sono affezionata alla regina Elisabetta quando avevo sette anni. Allorché, nel 1952, a seguito della morte prematura, a soli 56 anni, del padre Giorgio VI, Elisabetta divenne regina del Regno Unito, tutti i rotocalchi fecero a gara a scrivere articoli su di lei, corredati da belle fotografie a colori. Mi ricordo di quella che vidi su “Gente”, il settimanale che comprava la mia mamma. Elisabetta seduta su un divanetto; dietro di lei, quel palo del marito, accanto a lei il figlio Carlo, ancora piccolo, e, in braccio a lei, la figlioletta Anna che sembrava di pochi mesi (era nata nel 1950). Mi sarebbe piaciuto farla vedere qui, ma non l’ho trovata. Vedendo quella fotografia, mi innamorai di questa giovane donna e pensai che mi sarebbe piaciuto a farle da paggio.
Così è cominciato il mio rapporto affettuoso verso Elisabetta, l’unica regina veramente famosa della mia vita. Tanto per fare un confronto. Nella mia vita ho potuto contare, per ora, ben sette papi, a cominciare da Pio XII, che ho trovato quando sono nata fino a Francesco, passando per Giovanni XXIII, il primo papa che ho visto eleggere …
 
Appena saputo della morte della sovrana inglese, ho preso in prestito dalla biblioteca comunale due DVD – “The Queen” e “Il discorso del re”, e questo spiega la fotografia all’inizio di queste noterelle.
Secondo me, sono due film di valore sia dal punto di vista artistico sia da quello storico.
 
Specialmente il primo, tra l’altro, contiene una profezia dell’allora Primo Ministro Tony Blair, che si è realizzata e un’altra, della regina madre, che resta in sospeso.
The Queen” narra i sette giorni che trascorsero fra la morte di Diana, alle 4 del mattino del 31 agosto 1997, dopo l’incidente nel Tunnel de l’Alma, a Parigi, e il suo funerale, a Londra il 6 settembre 1997.
Dico subito che Elisabetta, colta nel momento forse peggiore della sua vita di regnante, è narrata con molto rispetto per tutti i suoi sentimenti e atteggiamenti (anche la rigidità che si protrarrà per ben cinque giorni), e di lei vengono messi in luce i diversi aspetti della personalità – l’ironia, acuta ma niente affatto cattiva, come si nota in alcuni dialoghi col Primo Ministro, la testardaggine, come quando, volendosi spostare da sola con la sua jeep, la rottura di un semiasse la blocca quasi in mezzo a un corso d’acqua, e la sua sensibilità per la bellezza della natura, quando, proprio in quel frangente, scorge, su un piccolo dosso vicino alla sponda del torrente, un bellissimo cervo con un palco a 14 punte e lo guarda estasiata. E a esso andrà a rendere omaggio, quando viene a sapere che è stato abbattuto in una tenuta vicina.
 
Ma torniamo alla narrazione del film. Quando arrivò la notizia della morte di Diana, la famiglia reale si trovava a Balmoral, in Scozia, proprio dove è morta Elisabetta l’8 settembre scorso, e, per alcuni giorni, ella restò rigidamente sulla posizione che il funerale della principessa (ormai divorziata) dovesse essere privato e organizzato dalla sua famiglia di origine. Tutti erano d’accordo – la stessa Elisabetta, e, anche con maggiore risolutezza, il principe Filippo e la regina madre che poi si vedrà “scippare” il “suo” funerale che servì da modello proprio per quello di Diana. L’unico, che non era d’accordo con questa linea era Carlo che, nel film, elogia, di fronte alla regina,  Diana per il suo grande amore verso William e Harry. Ma rimase inascoltato.
Fu invece ascoltato, e parecchio, Tony Blair, Primo Ministro laburista da pochi mesi, che si era reso conto, sulla scorta dei titoli spietati dei giornali, di come questa rigidità della sovrana si sarebbe risolta con il disamore del popolo verso di lei e tutta la monarchia. In quella che noi chiamiamo “zona Cesarini”, cioè il 5 settembre, Elisabetta tornò a Londra, dopo aver fatto, da Balmoral, un discorso alla nazione, che prendeva atto dell’amore che il suo popolo stava dimostrando per lady Diana, la “principessa dei cuori”. Un amore che si stava esprimendo nell’innalzamento di un vero muro di fiori davanti a Buckingham Palace (nella realtà, Kensington Palace?).
Il corteo per il funerale di Diana, svoltosi il 6 settembre, si snodò per Londra, cambiando a volte percorso per passare là dove si assiepava una folla di migliaia di persone, e raggiunse l’abbazia di Westminster, dopo circa due ore. Nell’abbazia presero posto duemila persone, mentre due grandi schermi permisero di seguire funerale e cerimonia religiosa ad altre migliaia, per tacere della trasmissione in mondo visione.
La profezia di Blair confermata in questi giorni – la regina Elisabetta, diventata consapevole dell’errore commesso, esprime a Blair la sua enorme paura che il ritardo nell’aver capito i sentimenti del popolo le sia costato per sempre l’affetto, la stima, finanche il rispetto della gente. Ma Blair la smentisce; osserva che quello che è successo, per quanto pericoloso, è durato una sola settimana, ma le settimane del regno di Elisabetta sono già un numero molto molto ragguardevole, e quindi questo “scivolone” non influirà sulla prosecuzione del regno della regina.
E, infatti, ciò che sta succedendo dall’8 agosto scorso, col muro di fiori per lei, Elisabetta II, davanti a Buckingham Palace, e con l’accorrere di migliaia e migliaia di persone a renderle omaggio, senza guardare alle ore di attesa, prima di poter sfilare davanti al suo feretro, è la prova provata che Blair aveva ragione.
Diversa è la “profezia” dell’allora novantasettenne  regina madre. Se si avvererà o no ce lo dirà la storia da ora in avanti. Riguarda, infatti, la stabilità della monarchia dopo la morte di Elisabetta II, che, secondo la regina madre, appunto, sarebbe rimasta solida con Elisabetta, per vedere un orizzonte nebuloso con il suo successore.
 
L’altro film, “Il discorso del re” è il mio preferito non solo perché vi recitano due attori da me amati (Colin Firth e Helena Bonham Carter) a cui si aggiunge una bella scoperta come Guy Pearce, ma anche perché arriva a toccare le corde intime della personalità del duca di Kent, Albert, che poi diventerà re Giorgio VI, facendoci scoprire i soprusi e i veri e propri abusi (non fisici, ma, certo, psichici), a cui egli era stato esposto da bambino (per esempio, l’obbligo di usare la mano destra, quando lui era mancino e anche l’antipatia della sua tata che gli faceva i dispetti) e che gli avevano creato dei gravi problemi, come un’accentuata balbuzie, quando si trovava fuori dall’ambito ristretto della sua famiglia, moglie e figlie, le piccole Elizabeth e Margaret.
In una battuta molto amara, già re, si paragona a Giorgio III «lui è stato Giorgio III il pazzo; io sono Giorgio VI il balbuziente».
La balbuzie di Albert non sarebbe stata, forse, un grande problema, se fino dagli anni Venti del secolo scorso, la radio non fosse diventata un mezzo di comunicazione tra la famiglia reale e il popolo britannico e delle colonie. Un re, un principe, dovevano parlare alla radio. Ma la prima prova di Albert, nel 1925, per la chiusura di un evento allo stadio di Wembley, manifesta la sua non idoneità a questo impegno, suscitando imbarazzo fra il pubblico e non solo.
Elizabeth Bowes-Lyon, duchessa di York, nella ricerca di qualcuno che possa aiutare il marito amatissimo, arriva, sotto falso nome, a Lionel Logue  (Guy Pearce), un australiano che si presenta, fin dalla targa sulla porta, come semplice logoterapeuta, uno che aiuta bambini e adulti a parlare per bene.
Dopo aver svelato chi è lei e chi sarà il paziente, Logue, per niente intimorito, esige che la terapia sia fatta, come quella di tutti gli altrin pazienti, al suo domicilio e che terapeuta e paziente si chiamino con semplicità per nome (Lionel e Bertie, il nome del duca riservato all’ambito strettamente familiare). Alla pari. Cosa difficile da digerire per un figlio di re! Il rapporto va avanti fra alti e bassi, con diversi rifiuti da parte del duca di continuarlo, specialmente quando si comincia ad andare un po’ più in profondità sull’origine della sua sofferenza. Ma gli eventi incalzano.
A seguito dell’abdicazione del fratello maggiore, Edoardo VIII, l’11 dicembre 1936 (dopo 11 mesi appena di regno), a causa dell’ultimatum del governo britannico che non ammette che il re, capo, fra l’altro della Chiesa d’Inghilterra, si sposi con una pluridivorziata come Wally Simpson, per di più in odore di simpatie per Hitler, Albert, in quello stesso giorno, diventa re, assumendo il nome di Giorgio VI, “perché Albert suonava germanico”.
Ma intanto Logue ha guadagnato la stima e la fiducia del suo paziente e anche della di lui moglie che partecipa spesso alle sedute mirate a rendere più sciolti e fluidi i movimenti del re, e quindi, il suo eloquio. Tanto che re Giorgio VI si terrà accanto Logue per tutta la vita, in un sodalizio ormai inossidabile che supera persino l’avversione dell’arcivescovo di Canterbury, quando quest’ultimo vorrebbe proibire (inutilmente) a Logue la presenza vicino al re, durante l’incoronazione, mentre questi pronuncia il suo breve discorso.
Ma il culmine della storia si ha il 3 settembre 1939, quando il re deve parlare alla radio per informare il popolo britannico e delle colonie che è stata consegnata alla Germania, che ha invaso la Polonia, la dichiarazione di guerra. Logue sta davanti a Giorgio VI nella stanza della trasmissione e gli infonde fiducia, aiutandolo con gesti ritmici, come un benevolo direttore d’orchestra. Il “discorso del re” è un successo a corte, in Gran Bretagna e nel mondo, commuove e comunica quel coraggio e la forza d’animo necessari a tutta la popolazione per affrontare i giorni difficilissimi che si vanno preparando.
Come questo coraggio non sia mai venuto meno, ce lo dice la storia della seconda guerra mondiale. Il film finisce con la famiglia reale al completo (madre, padre e figlie ancora bambine) che esce sul balcone di Buckingam Palace a salutare la folla che applaude.

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Fonte: Elisabetta e Giorgio VI in due film

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