E così, mentre il popolo italiano si trova a dover subire con il lutto nazionale e i funerali di Stato l’ennesima narrazione distorta sulla figura e l’operato di Silvio Berlusconi, architettata ad hoc da un pensiero unico che domina incontrastato grazie alla convergenza dei mezzi di comunicazione e della complice politica di centro-sinistra, ci troviamo ad assistere ad una vera e propria santificazione di un personaggio perlomeno ambiguo, che ha caratterizzato certamente la vita politica degli ultimi trent’anni, ma sicuramente non lasciando all’Italia un assetto istituzionale più democratico, più equo e più giusto rispetto al passato, ma solo benefici a chi nel sistema liberale e liberista ne possedeva già abbastanza.
Sembra, dunque, del tutto legittima la presa di posizione di chi, come Tomaso Montanari, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, ha ritenuto eccessiva, opponendosi, la misura del lutto nazionale e del posizionamento delle bandiere a mezz’asta sugli edifici pubblici nella giornata di oggi, mercoledì 14 giugno 2023, non foss’altro che, così facendo, lo Stato tributerebbe un ingiusto riconoscimento postumo al politico italiano più processato e condannato di tutti i tempi, cosa che nemmeno con i fascisti riuscì, grazie, peraltro, ad una clamorosa presa di posizione di Palmiro Togliatti, il quale pesò bene che l’Italia potesse essere pacificata amnistiando chi l’aveva portata nel baratro della dittatura e poi della guerra.
Fu così che i fascisti rimasero tutti ai loro posti, nelle strutture del potere, nell’amministrazione pubblica, nelle forze dell’ordine, nella burocrazia. Fu così che il fascismo italiano non fu adeguatamente stigmatizzato dagli stessi italiani, come accadde al nazionalsocialismo tedesco, permettendogli di riemergere ai giorni nostri in forma di post-fascismo e portando i suoi eredi a governare.
E, allora, lasciando per un attimo da parte quello che fu il migliore e più alto discorso di Silvio Berlusconi nel dicembre 2022, in cui promette ai calciatori del suo Monza un «pullman di troie in caso di vittoria contro le squadre più forti», bisognerebbe ricordarsi, invece, di un prezioso discorso pubblico del compianto Berlusconi del 2019, da intendere come lezione storica imprescindibile al fine di comprendere i passaggi che hanno portato oggi fieri post-fascisti come Ignazio Benito Maria Larussa e Giorgia Meloni al governo del nostro Paese.
Si tratta di un documento storico (qui il video) di una efficacia didattica unica con il quale un Berlusconi ormai in difficoltà elettorale e sopraffatto dall’avanzata dei suoi alleati, attribuisce chiaramente al centro-destra liberale e liberista da lui rappresentato, anzi “inventato”, con l’acredine tipica di chi sta battendo rovinosamente in ritirata, la responsabilità politica e il merito incontestabile di aver portato nel 1994, nella famosa “discesa in campo”, fascisti e leghisti «all’interno dell’arco costituzionale».
Ebbene, l’efficacia didattica di questo documento storico, che resterà alla memoria collettiva a patto che voglia essere compreso adeguatamente, circostanza che oggi viene sistematicamente compromessa per il dileguamento dello spirito critico dalle scuole e dalla politica, sta nel far mostrarne l’analogia con quello che dev’essere stato nel maggio del 1921 il discorso con il quale il liberale Giovanni Giolitti, in palese difficoltà nel governare il Paese, decise di dare vita al cosiddetto “blocco nazionale”, coalizzandosi con la cloaca che attingeva al bacino elettorale dei nazionalisti e dei fascisti di Benito Mussolini.
Questa continuità manifesta tra liberalismo e fascismo, in cui albergano palesemente anche il leaderismo e l’autoritarismo, soprattutto quando si coalizzano per fermare le pericolose avanzate popolari che chiedono equità, giustizia, protezione sociale per i più deboli, condusse nelle elezioni del 1921 all’ingresso in Parlamento di ben 35 deputati fascisti, che venivano così legittimati nella loro politica antidemocratica nelle sedi istituzionali, proprio mentre fuori dalle sedi istituzionali continuavano a praticare violenza, ad ammazzare i comunisti, a picchiare operari al nord e contadini al sud.
La deleteria “parlamentarizzazione del fascismo”, quello che venne definito anche “fascismo in doppiopetto”, una mise tanto cara anche a Silvio Berlusconi, si rivelò un clamoroso errore di valutazione per Giovanni Giolitti, giacché questi venne travolto dalla violenta avanzata squadrista, che egli pensava di contenere, e dalla propaganda mediatica che i giornalisti compiacenti tributavano agli uomini (erano principalmente uomini i fascisti dell’epoca, non come oggi) ritenuti forti.
Fu così che il liberale Giolitti aprì le porte al fascismo, che successivamente nell’ottobre 1922 ottenne il potere direttamente dalle mani del re Vittorio Emanuele III. Da lì il fascismo prese il sopravvento attraverso violenze, ma anche solleciti lavori parlamentari, tra cui una deleteria legge maggioritaria, non molto dissimile da quella odierna.
Furono in pochi ad opporsi in quegli anni, tra cui qualche cattolico del neonato Partito Popolare Italiano, come don Luigi Sturzo e don Giovanni Minzoni e, ovviamente, socialisti e comunisti, che, dopo aver deposto le “penne” ci rimisero anche le “penne”. Giolitti pure si oppose, ma ormai la veste fascista del suo liberalismo l’aveva travolto, per cui si ritirò a vita privata e nel 1928 scomparve, senza poter vedere con i suoi occhi lo s-fascio da lui causato.
Ecco, ricordiamo tutti e tutte che anche Berlusconi, tra gli scranni dal Parlamento il 14 ottobre 2022, all’indomani delle elezioni, non parve gradire il discorso di Giorgia Meloni, infatti la definì «supponente, prepotente, arrogante e offensiva», aggiungendo che «non ha disponibilità ai cambiamenti. È una con cui non si può andare d’accordo», ma ormai era stato travolto anche lui dalla veste post-fascista del suo liberalismo e adesso non avrà più la possibilità di contemplare gli esiti dello s-fascio da lui causato.
Purtroppo, ancora una volta, lo studio della storia sarebbe utile a far comprendere la direzione che diamo ai nostri giorni, ma, ancora una volta, ci tocca ripetere con Antonio Gramsci, un comunista che pagò con la propria vita la lotta contro il fascismo: «la storia insegna, ma non ha scolari», soprattutto oggi che le aule scolastiche si svuotano e lo studio della storia diventa sempre più ingombrante, anche per i ministri dell’Istruzione…e del Merito.
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a cura di Michele Lucivero
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