L’espressione “ergastolo ostativo” si riferisce ai casi in cui il condannato alla pena dell’ergastolo, per determinate tipologie di delitto, non possa aspirare alla concessione dei benefici penitenziari, alle misure alternative alla detenzione e in particolare alla liberazione condizionale, qualora non collabori utilmente con la giustizia.
La disciplina di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario (l. n. 354 del 26 luglio del 1975) introduceva a carico del detenuto una presunzione assoluta di perdurante pericolosità, dovuta in teoria alla mancata rescissione dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata. Pertanto, in virtù di tale presunzione, le richieste del condannato di accedere ai benefici penitenziari erano dichiarate inammissibili, in virtù di un automatismo legislativo, che non lasciava spazio ad alcuna valutazione discrezionale da parte del Giudice.
La Corte Europea dei diritti umani, con la sentenza n. 77633-16 del 13 giugno 2019, resa nel noto caso Viola c. Italia, ha affermato che l’ergastolo “non riducibile”, c.d. ostativo, è in contrasto con il generale rispetto della dignità umana. Il difetto della collaborazione, infatti, non può essere sempre inteso come indice di pericolosità sociale, potendo essere dettato anche dalla paura di mettere in pericolo la propria vita e quella dei propri familiari; così come peraltro la collaborazione con la giustizia non sempre è sintomo di effettiva dissociazione dall’ambiente criminale di riferimento. Pertanto, ha concluso la Corte, l’istituto dell’ergastolo ostativo si pone in contrasto con la funzione di risocializzazione della pena.
Merita attenzione anche la posizione della Corte costituzionale, che ha sollecitato in più occasioni (con la sentenza n. 253 del 2019 nonché con le ordinanze n 97/2021 e 122/2022) una riforma organica dell’istituto per l’adeguamento del regime penitenziario ai precetti costituzionali. In particolare, con l’ordinanza n. 97 del 2021, in merito al dubbio di legittimità costituzionale sollevato dalla Corte di Cassazione su impulso del Consigliere Dott. Giuseppe Santalucia che già diversi anni fa aveva affermato che “il diritto alla speranza non va negato a nessuno”, censura l’attuale disciplina dell’ergastolo ostativo nella parte in cui individua nella collaborazione con la giustizia l’unica via per ottenere i benefici penitenziari e ha concesso al Parlamento un anno per riscrivere la normativa, ritenendo che si tratti di scelte di politica criminale che spettano alla discrezionalità legislativa e non già alla Corte.
Con il d.l. n. 162 del 31 ottobre 2022, il Governo ha introdotto nuove regole le quali prevedono che il detenuto condannato per reati ostativi, scontato un periodo minimo fissato dalla legge (2/3 della pena, 30 anni in caso di ergastolo), possa avanzare richiesta di accesso ai benefici penitenziari, allegando elementi specifici diversi o ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è maturato nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti anche indiretti o tramite terzi.
Il detenuto dovrà inoltre dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento.
Si prevede inoltre che l’autorità giudiziaria abbia l’onere di verificare tali presupposti nonché le iniziative del condannato a favore delle vittime sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. È in ogni caso obbligatorio sentire il parere del Pubblico Ministero presso il Giudice di primo grado, nel caso di reati associativi la Procura distrettuale.
Infine, la liberazione condizionale, per condannati all’ergastolo per reati ostativi e non collaboranti, potrà essere valutata solo dopo aver scontato 30 anni di pena (per i reati non ostativi e per i collaboranti rimane il limite dei 26 anni), mentre dovranno decorrere 10 anni dalla liberazione condizionale per estinguere la pena dell’ergastolo e revocare le misure di sicurezza personale ordinate dal Giudice (che si riducono a 5 per i reati non ostativi e i collaboranti).
La nuova disciplina, convertita in l. in data 30 dicembre 2022, pur avendo trasformato da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità sociale che impedisce all’ergastolano ostativo di accedere ai benefici penitenziari, presenta una serie di criticità. Senza considerare la dubbia scelta di ricorrere alla decretazione di urgenza per una riforma molto complessa.
La novella crea un procedimento penalmente denso di requisiti aggiuntivi che rendono la possibilità di revisione della pena ostativa quasi impossibile.
Inoltre, l’onere di allegazione rischia di diventare troppo oneroso per chi è detenuto da decenni, così come l’aumento dei pareri da richiedere rischia di diventare inutile e farraginoso se non si richiede che questi siano precisi e dettagliati, in quanto le informazioni fornite dagli organi investigativi sono spesso datate e poco utili. In sintesi, la tempistica si allunga e gli adempimenti si aggravano inutilmente.
Infine la necessità di accertare eventuali iniziative a favore delle vittime da parte dei condannati rivela una concezione errata di un istituto che dovrebbe essere rimesso alla volontà libera e informata dei soggetti interessati e non può tradursi in una pena accessoria.
L’auspicio è che la disciplina possa essere ulteriormente rivisitata, per una effettiva attuazione della funzione rieducativa della pena e non in ossequio a logiche emergenziali, onde permettere a ciascun condannato per reati ostativi di rivedere il proprio percorso criminale e ricostruire la propria personalità.