L’Italia è un Paese geograficamente singolare, non solo perché sagomato come uno stivale “lanciato” in mezzo al mare (restando ancorato al continente soltanto attraverso una piccola attaccatura in cima), ma anche perché sede di vulcani conosciuti in tutto il mondo che sono diventati simboli delle sue città. Se tutti possono dire di aver sentito nominare almeno una volta nella vita il Vesuvio, però, lo stesso non vale per i Campi Flegrei. Sono in tanti, anzi, a confondere le due realtà (anche perché si trovano entrambe in Campania) e le relative pericolosità: eppure, i Campi Flegrei sono classificati come uno dei tre supervulcani più pericolosi al mondo per natura e posizione geografica.
Una teoria scientifica lega anche la loro ultima eruzione (39mila anni fa) all’estinzione dei Neanderthal.
Eruzioni catastrofiche – I Campi Flegrei costituiscono una grande caldera a più bocche (di ampiezza 12×15 Km circa) situata ad ovest rispetto al Golfo di Napoli. Attualmente si trova in stato di quiescenza anche se il livello di allerta è passato da Verde a Giallo negli ultimi anni a causa della variazione di alcuni dei parametri monitorati dagli enti competenti. La presenza del magma nel sottosuolo, infatti, comporta tutta una serie di conseguenze per gli abitanti del posto (che sono tantissimi, trattandosi di un’area che comprende, a largo giro, Napoli, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania, Bacoli, Monte di Procida e le isole flegree di Ischia, Procida e Vivara), tra cui il fenomeno del bradisismo: un lento movimento di sollevamento e abbassamento del suolo, a sua volta connesso ad attività sismiche locali. Soprattutto nelle fasi di sollevamento, infatti, il moto del suolo è più veloce e, nel corso degli anni, si sono verificate anche crisi bradisismiche importanti, come quella del 1970 che causò lo sgombero del Rione Terra (Pozzuoli), mai ripopolato e rimasto “fantasma” fino ad oggi (adesso è incluso in un bellissimo percorso turistico-culturale). In quell’occasione, il suolo si sollevò di circa 170 centimetri e, qualche anno dopo (1983/84) le banchine del porto di Pozzuoli si ritrovarono all’altezza di circa 3 metri. Dal 1984 al 2005 è seguita una nuova fase discendente e, da allora, ha ripreso un altro progressivo innalzamento. I terremoti avvertiti dalla popolazione sono diversi, anche se molti vengono intercettati soltanto dalle strumentazioni; è proprio di qualche giorno fa (16 Marzo 2022) l’evento di magnitudo 3.5 della scala Richter, il più forte dal 1983, che ha gettato nel panico i residenti.
Le eruzioni dei Campi Flegrei sono state numerose e devastanti e hanno caratterizzato – e modificato – la geologia locale (e non solo) a partire dal cosiddetto Primo Periodo Flegreo (42mila – 35mila anni fa) e finendo al Terzo (8mila – 500 anni fa). Da questa intensa attività vulcanica sono nati monti, laghi (come l’Averno, che ha sede proprio in una “bocca” spenta) e crateri vari. Basti pensare che dopo l’ultima “piccola” eruzione del 1538, che ha interrotto un periodo di quiescenza di circa 3mila anni, Pozzuoli guadagnò, nel giro di pochi giorni, un nuovo cono: l’attuale Monte Nuovo, alto circa 130 metri. E fa impressione pensare che tutte queste bocche, camuffate dalla vegetazione e rivestite di palazzi, cemento e strade, oggi siano brulicanti di vita, ospitando case, uffici, palestre, parcheggi…
Una curiosità: “flegrei” deriva dal greco φλέγω (flègo), “ardere”. Poiché l’appellativo, però, risale all’epoca greco-romana e, a quel tempo, non c’erano manifestazioni eruttive da secoli, si pensa sia legato alle numerose fumarole e acque termali, da sempre conosciute e sfruttate per il loro potenziale terapeutico (e non solo).
I Neanderthal dell’Italia centro-meridionale – L’Italia è stata a lungo terra di Neanderthal: i riscontri offerti dalle preziosissime grotte del Circeo sono stati importantissimi per datare la loro presenza in loco e anche stabilirne le abitudini, davvero sorprendenti e decisamente “moderne”. Sappiamo anche che la loro esistenza si è a lungo incrociata con quella dei Sapiens (sembra per circa 5mila anni) e che, nelle fasi più tardive, si concentrava maggiormente a centro-sud mentre il nord era già colonizzato da millenni dall’Homo Sapiens. E questa geolocalizzazione avrebbe avuto un ruolo nel fatto che, tra queste due specie, ne sarebbe rimasta soltanto una.
Studiando l’eruzione dei Campi Flegrei avvenuta 39mila anni fa, la più violenta dell’area mediterranea negli ultimi 200mila anni, gli esperti hanno appurato come quell’evento sia stato catastrofico ad ampio spettro, coinvolgendo non solo tutta l’attuale area della Regione Campania, ma anche larga parte del sud Italia. Si è stimata un’emissione di magma pari a circa 150 chilometri cubi: la Campania venne letteralmente seppellita da uno spesso strato di tufo. Un vero e proprio inferno in terra, con una colonna eruttiva di circa 44 Km che, collassando, creò nubi ardenti che raggiunsero i 50 Km di distanza.
In particolare, un gruppo di scienziati coordinato da Antonio Costa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha ricostruito il rarissimo e potentissimo evento vulcanico attraverso un’accurata simulazione basata sui livelli di cenere riscontrati in tutta Europa. L’impatto fu globale. Le ceneri in atmosfera hanno bloccato i raggi solari generando il cosiddetto “inverno vulcanico“, che durò almeno due anni. Le temperature diminuirono di 2 gradi in tutto il mondo e di 6-9 gradi in Europa, generando piogge acide che hanno distrutto e inquinato l’ambiente.
Simulazione dell’eruzione di Agnano Monte Spina, avvenuta circa 4100 anni fa. A cura dell’INGV.
In questo contesto, è stata valutata anche la possibilità che questa nube di fuoco che ha ricoperto tutto e generato catastrofi a catena abbia avuto un impatto sui Neanderthal di casa nostra. Di fatto, l’eruzione avrà di certo spazzato via tutti gli esemplari che si trovavano in Campania e in luoghi limitrofi: d’altronde, si è stimato che la ripopolazione locale – questa volta di matrice Sapiens – sia potuta avvenire non prima di un secolo dopo.
Sono stati i Sapiens che hanno ripopolato le aree devastate e forse si sono concentrati a colonizzare questi territori invece di avanzare verso ovest, garantendo così la sopravvivenza prolungata Neanderthal nella penisola Iberica.
Antonio Costa, direttore dell’INGV
Un’altra ipotesi è che i pochi Neanderthal rimasti non siano stati in grado di abituarsi ai cambiamenti climatici, finendo per soccombere o spostarsi.
Finora abbiamo ritenuto che l’Homo Sapiens sia arrivato in Europa 35mila anni fa e abbia vissuto almeno per altri cinquemila anni insieme ai Neanderthal. Al tempo dell’eruzione, gli uomini di Neanderthal erano probabilmente quasi tutti scomparsi. Certo, alcuni potevano essere ancora sopravvissuti e l’eruzione dei Campi Flegrei può aver rappresentato il colpo di grazia.
Prof. Chris Stringer del Museo di Storia naturale di Londra
Morti di freddo o soffocati dalla nube tossica, sta di fatto che l’estinzione dell’Homo Neanderthalensis è avvenuta in contemporanea a questa devastante eruzione dei Campi Flegrei. In uno di questi scenari, insomma, il passaggio da una specie all’altra sarebbe stato praticamente improvviso, molto meno graduale di quello che si era sempre pensato.