«È ormai natura che le città baciate da una prospera, insperata potenza, smarriscano la misura di loro stesse» scrive Tucidide nella Guerra del Peloponneso. Siamo nel 428 a.C., durante la rivolta di Mitilene, che abbandonò la lega delio-attica filoateniese avvicinandosi alla nemica Sparta e di conseguenza fu invasa da Atene stessa per questo affronto. Le parole dello storico greco non solo hanno tanta attualità, in particolare in riferimento alla recente invasione militare dell’Ucraina condotta dalla Russia, ma ci dimostrano, ancora una volta, come le invasioni di Stati più potenti a danno di Paesi più deboli, che intendono sfuggire alle ingerenze dei primi, siano una costante della storia antica e moderna. Lo scontro fra il rispetto delle alleanze, delle “sfere d’influenza” e degli “spazi vitali”, con le istanze di libertà e di autodeterminazione dei popoli, continua a essere presente dai tempi di Tucidide a oggi. In un mare di informazioni non controllate come fare a cercare la verità? Possiamo realmente conoscerla in queste situazioni complesse, concetto che già ci sfugge in situazioni di pace?
A questa domanda non c’è e non ci potrà essere una risposta definitiva, ma un importante pensatore del secolo scorso ci aiuta a riflettere: George Orwell, nell’antologia intitolata Verità/Menzogna, raccoglie le sue riflessioni su un concetto così sfuggente come la verità.
«Le azioni sono considerate buone o cattive non per il loro valore intrinseco, ma a seconda di chi le compie, e non c’è praticamente alcuna forma di abuso che non cambi il proprio colore morale quando è commesso dai “nostri”»[1] scrive Orwell nella sua opera, criticando l’idea secondo cui è sempre il nemico a essere dalla parte cattiva della storia e “noi” dalla parte “giusta”, sia nel caso in cui siano i “nostri” a invadere sia che i “nostri” siano invasi.
L’azione di invasione o abuso verso una nazione sovrana o un popolo, non viene più giudicata come sbagliata in sé, ma errata solo quando è il nemico a compierla mentre è giustificata quando la compiono i “nostri”. La complessa critica al nazionalismo, che Orwell inserisce in quest’opera, parte dall’idea che ogni fazione nazionalista, sia in senso proprio sia in senso politico, non cerca la verità e non giudica le azioni in base a quello che è accaduto ma, anzi, cerca di modificare la verità medesima per sostenere la propria parte. Dunque, «tutti credono alle atrocità commesse dal nemico e non a quelle commesse da chi sta dalla loro parte, senza nemmeno preoccuparsi di esaminare le prove»[2].
La verità, quindi, smette di essere un concetto assoluto, secondo Orwell, ma diventa modificabile in base alle situazioni, all’interesse personale e soprattutto alla propria parte, che viene difesa in ogni occasione, facendole perdere di significato. Possiamo anche non credere alla verità ma, secondo lo scrittore britannico, dobbiamo renderci conto che «tutta la propaganda è menzogna»[3].
Con questa consapevolezza, possiamo ricercare la verità stessa e difenderci quindi dagli attacchi del totalitarismo – in qualunque forma esso si presenti – e comprendere quanto ogni fazione cerchi di creare la figura di un “nemico”. Secondo Orwell, è necessario “combattere il nemico” per migliorare la propria condizione; nemico che spesso è identificato con il popolo oppresso più che nel pericolo delle idee violente. E spesso, per combatterlo, si abbracciano i suoi stessi metodi rinunciando ai valori che ci rendono “la parte buona” della storia.
Leggendo oggi questa riflessione di Orwell sui nazionalismi – che siano della propria patria, ideologia, religione, ecc… – contano gli eventi, ma anche tanto come essi vengono trasmessi dai media. Un’arma fondamentale nella lotta per la verità è il linguaggio dei sistemi di informazione e della politica che «è concepito per far sembrare vere le bugie e rispettabile l’assassinio e per dare un’apparenza di solida realtà anche a un colpo di vento»[4].
Il modo in cui le notizie vengono trasmesse, a seconda delle interpretazioni di parte, distorce la verità. Alla luce di questa interpretazione relativistica, esiste la verità? E se non esiste, come orientarsi tra i totalitarismi statali o militari e quelli ideologici o economici come il consumismo e il capitalismo? Come difendersi dalle menzogne?
Mi hanno stimolato e interrogato molto tutte queste riflessioni. Le letture di Orwell oggi ci aiutano a orientarci in una società complessa, con una mole di informazioni enorme, con un nazionalismo che incessantemente continua a diffondersi e con le atrocità del passato che non hanno mai smesso di essere presenti, dominando ancora la nostra storia. Queste stesse riflessioni ci aiutano a mettere costantemente in dubbio le nostre opinioni, partendo dalla difesa della libertà in tutti i suoi significati, sostenendo «che chiunque deve avere il diritto di dire o stampare ciò che ritiene vero, purché così facendo non danneggi irrevocabilmente la comunità»[5].
[1] G. Orwell, Verità/Menzogna, Mondadori, Milano 2019, p. 83.
[2] Ivi, p. 59.
[3] Ivi, p. 57.
[4] Ivi, p. 118.
[5] Ivi, p. 99.
Mi chiamo Giovanni Rustico, sono nato nel 2004 e frequento il quarto anno del Liceo scientifico L. Da Vinci di Bisceglie (BT). Mi piace scoprire mondi e realtà nuove, amo leggere di storia, filosofia, divulgazione scientifica e qualche romanzo. Mi piace confrontarmi con realtà molto diverse dalle mie per mettermi in gioco.
Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) sotto la guida del prof. Michele Lucivero.
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a cura di Michele Lucivero
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