La polarizzazione di qualsiasi questione in due fazioni totalmente opposte, una assolutamente pro, e una assolutamente contro, è un male della società contemporanea ben rappresentato dal film americano Don’t look up. Ma dato che, citando Carmelo Bene, “ognuno ha i mostri che si merita”, se nel film di Adam McKay il tema era apocalittico, cioè la salvezza del pianeta terra, in Italia ci dobbiamo accontentare di un livello ben più infimo di dibattito.
Dopo aver discusso, e politicizzato, su una canzone di Shakira, su un bacio gay a Sanremo, su un libro auto-pubblicato da un generale, adesso la nuova strumentalizzazione riguarda la pubblicità di un supermercato e in particolare una pesca comprata da Esselunga.
Lo spot
Lo spot di due minuti, recitato meglio di un film di Muccino, mostra prima una madre disperata perché non trova più la figlia dentro al supermercato Esselunga. Poi, quando la vede, la rimprovera perché si è allontanata senza avvertire. La bimba sta guardando delle pesche. La madre prende la pesca senza usare il sacchetto e senza pesarla (e qui si capisce di essere dentro un’opera di fantasia) e torna a casa.
Mentre madre e figlia stanno giocando, arriva il padre della bambina e dallo sguardo di lui in strada e di lei dietro la tenda si capisce tutto: i due non stanno più insieme ed è il turno del padre di stare con la piccola. Una volta in macchina la bambina estrae la pesca dallo zainetto, sapendo che è il frutto preferito del padre, e gliela porge dicendo: “questa te la manda la mamma”. Il padre, stupito, allora dice: “ok, allora dopo la chiamo per ringraziarla”. La bambina è soddisfatta perché è riuscita a far sì che i due genitori si parlino. La frase di chiusura è: “non c’è una spesa che non sia importante”.
Esaltazione famiglia tradizionale e critica al divorzio?
La pubblicità emozionale ha perfettamente raggiunto il proprio scopo di toccare certe corde. Ma la vera politicizzazione è avvenuta quando esponenti di destra hanno iniziato a dire “la sinistra se la prende perfino con Esselunga”. A sentirsi chiamate in causa, infatti, sono state soprattutto le donne single o divorziate con nuovo compagno, che hanno iniziato a scrivere sui social che la separazione non è necessariamente dolorosa e che lo stereotipo della famiglia da Mulino Bianco è stato sostituito dallo stereotipo dei bambini tristi perché i genitori non stanno insieme. Insomma sembrava che Esselunga volesse colpevolizzare i genitori separati.
La polemica ad ogni costo
A questi commenti si sono aggiunti quelli di psicologi che hanno detto che per i più piccoli potrebbe essere traumatico vedere questo spot, se hanno già vissuto situazioni analoghe. Entrambe le critiche però non hanno nulla di politico. Ci sono stati, sì, a titolo personale, alcuni commenti che hanno tirato in ballo una velata critica al divorzio, veicolata al messaggio caro alla destra per cui l’unica famiglia normale è quella con un padre e una madre ed altre piccole polemiche relative alla presenza di genitori bianchi ed etero.
L’identità della destra italiana
La destra italiana affonda le proprie radici nella totale contrarietà al divorzio. Nel 1974 infatti la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano fecero campagna elettorale per abolire il divorzio, che venne invece confermato con un referendum (in Veneto, Trentino Alto Adige e in cinque regioni del Sud vinse il Sì, cioè i contrari al divorzio), anche se oggi molti esponenti del centrodestra, come Salvini e Santanché, sono divorziati o separati.
Nessuno pensa ai bambini!
I bambini, si sa, sono delicati, e qualsiasi evento può essere traumatico: genitori che si separano, genitori che stanno insieme ma litigano, il cane che muore, il vicino che gira nudo in casa con le finestre aperte. È normale che le emozioni di un bambino siano amplificate, perché non ancora strutturate, e che il bambino desideri che i genitori vadano d’accordo. Caricare queste banali ovvietà di significati addirittura sociali e politici è un’operazione veramente surreale. Eppure, è successo.
Siamo lontani dal caso Barilla, in cui Guido Barilla durante un’intervista affermò che il suo prodotto è rivolto solo alle famiglie “normali”, quindi niente spot con due padri o due madri. Ma più gli anni passano e più sembra aumentare la suscettibilità degli italiani e soprattutto la stomachevole e insostenibile tendenza a far polemica su tutto.
Basterebbe ogni tanto astenersi dal voler e dover sempre commentare ogni cosa e invece i social, che ci rendono veramente tutti uguali, sembrano aver provocato questo danno permanente alla coscienza collettiva.
I commenti politici
Ecco allora che la premier e leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni non può esimersi dal dire la sua sulla pubblicità di Esselunga, facendolo però in maniera furbescamente neutra. Ha infatti definito su Facebook lo spot “bello e toccante”. Meno intelligente è stato il suo collega Alessandro Benigno, giornalista e candidato di Fratelli d’Italia a Vicenza, che ha scritto sempre sui social “Complimenti ad Esselunga, il cui spot è un inno a una realtà essenzialmente naturale: la famiglia composta da una mamma e un papà. Con buona pace del pensiero dominante“.
Come se avesse senso che i supermercati si dedicassero a una clientela precisa. Avremmo quindi supermercati appositamente per famiglie, supermercati per omosessuali, supermercati per single, supermercati per preti e suore, supermercati per mariti cornuti, specializzati in carne di cervo.
Più di buon senso mi è sembrato il commento dello scrittore di destra Matteo Fais, che su Il detonatore ha scritto in maniera provocatoria “lasciate perdere, non è cosa per voi. Nella vita, non è necessario sposarsi, fare figli, vivere sotto lo stesso tetto, condividere i pasti. Non viviamo più in una società agropastorale – non che questa fosse sbagliata, semplicemente i tempi sono mutati. Ergo, se non ve la sentite, desistete. È sempre meglio che costringere dei poveri bambini a esistere nel recinto della vostra infelicità“. E, a tal proposito, mi chiedo cosa sarebbe successo in Italia se fosse arrivato questo spot di una marca di preservativi, sempre ambientato in un supermercato.
Le emozioni al servizio del capitale
Personalmente, la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver visto lo spot è stata “ma valeva la pena spingere così tanto sul tasto delle emozioni per pubblicizzare un supermercato? L’unico settore mai in crisi, nonostante i prezzi alle stelle? Un non-luogo, che si moltiplica a macchia d’olio in tutte le nostre città, spesso a discapito di piazze e parchi pubblici?”. Si chiama marketing emozionale ed è del tutto lecito e assodato da anni. Al di là delle inconsistenti polemiche politiche a me è sembrato solo il triste simbolo di una società plastificata, lobotomizzata e iper-consumistica.