Etichette alimentari. Il Nutri-Score non penalizza i prodotti italiani, dice il suo ideatore

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 Parla a Linkiesta il professor Serge Hercberg, che ha contribuito allo sviluppo dell’etichetta nutrizionale oggi vigente in Francia e tra le candidate per l’adozione a livello europeo. «Un sistema basato su dati scientifici, ma ostacolato dai grandi gruppi industriali». Ma rimangono forti dubbi sui criteri

È un semaforo, ma non arresta le critiche. Il Nutri-Score, l’etichetta di classificazione degli alimenti utilizzata in alcuni Paesi dell’Ue, resta oggetto di aspre polemiche nel dibattito comunitario. L’ultima riguarda una proposta controversa che alle cinque lettere usate per misurare l’equilibrio nutrizionale di un prodotto ne aggiunge una sesta colorata di nero, la F, per identificare tutte le bevande alcoliche. 

Il tema è particolarmente sensibile in Italia: Federvini considera l’iniziativa parte di una «crociata insensata e irresponsabile» contro il settore vitivinicolo. La politica nazionale sembra remare dalla stessa parte: la delegazione della Lega al Parlamento europeo ha perfino presentato un’interrogazione alla Commissione difendendo il concetto di consumo responsabile e consapevole.

«Gli studi scientifici dimostrano che l’alcol ha un impatto negativo sulla salute. Non è un fatto legato solamente alla quantità: ovviamente più se ne beve, più il rischio è elevato, ma comincia anche con dosi modeste», dice a Linkiesta Serge Hercberg, professore emerito di nutrizione alla Sorbona di Parigi e protagonista della ricerca che ha prodotto il Nutri-Score in Francia. 

In realtà, spiega l’accademico, quella del bollino nero sugli alcolici è un’idea avanzata nel dicembre 2018. Ma tornata di grande attualità perché il 2022 sarà un anno decisivo per il mondo dell’agroalimentare europeo: entro la fine dell’anno verrà proposta un’unica etichetta informativa front-of-pack per tutti prodotti commestibili, che una volta approvata da Consiglio e Parlamento diventerà obbligatoria nei 27 Stati europei. 

L’Italia farà di tutto perché non sia il Nutri-Score: lo scorso 15 febbraio quattro ministri del governo Draghi hanno presentato il NutrInform Battery, un’etichetta nutrizionale che indica le quantità di nutrienti di un alimento in percentuale sulla razione giornaliera raccomandata nell’Ue. «Il Sistema Paese si è mosso in modo compatto e unito», ha detto il ministro delle Politiche Agricole alimentari e forestali Stefano Patuanelli, convinto che altri Stati europei vogliano «portare le produzioni agroalimentari verso modelli di omologazione inaccettabili».
Hercberg, però, è sicuro dell’affidabilità del suo meccanismo. «Più di cinquanta pubblicazioni scientifiche dimostrano l’efficacia del Nutri-Score per i consumatori, con analisi realizzate su una grande platea di persone in una ventina di Paesi». Secondo l’accademico, sono tante le prove che dimostrano la superiorità sugli altri metodi di etichettatura alimentare. «Per me e i miei colleghi, ogni decisione relativa alla sanità pubblica deve basarsi sulla scienza: se oggi scoprissimo un sistema più utile, non esiteremmo ad abbandonare il Nutri-Score».

La campagna di opposizione al Nutri-Score conta però parecchi adepti. Fin dalla prima proposta di un sistema di classificazione a colori avanzata in Francia nel 2014, Hercberg ha notato l’ostilità di industriali e distributori, come scrive nel suo libro «Mangia e taci», il racconto di «un nutrizionista contro la lobby alimentare». 

«Ci sono grandi marchi che si oppongono al Nutri-Score: Coca-Cola, Ferrero, Mars, Mondelez, Unilever, Kraft. Ma anche le filiere dei prodotti caseari o della salumeria, soggetti molto potenti e molto attivi», dice il professore a Linkiesta. Secondo lui gli interessi dei grossi gruppi industriali vengono spesso sostenuti adottando la narrativa della difesa dei prodotti tradizionali, come il roquefort: «In realtà la maggior parte della produzione di questo formaggio è in mano a una sola azienda, Lactalis».

Oltre ad alcuni settori economici, piovono critiche anche da parte della politica, secondo una dinamica che Hercberg considera simile in tutti i Paesi. «In Francia, ancora oggi, alcuni politici di diversi partiti screditano il Nutri-Score, per apparire come i paladini dei prodotti locali delle regioni dove sono stati eletti». La tendenza sfocia presto in una sorta di «nazionalismo culinario», a suo avviso molto diffuso ora in Italia: «Partiti come Lega o Forza Italia vogliono ergersi a difensori del patrimonio gastronomico nazionale. Ma la pretesa di difendere il Made in Italy attaccando il Nutri-Score è stupida».

Secondo il professore della Sorbona, infatti, l’argomentazione «nazionalista» è semplicemente ridicola: «Il Nutri-Score non tiene conto dell’origine degli alimenti: se un prodotto ha una D o una E è perché è ricco di grassi saturi e sale. Salumi e formaggi francesi non sono classificati meglio di quelli italiani. Anzi, a ottenere un punteggio più alto nell’etichetta sono due specialità italiane, mozzarella e ricotta». Un discorso da applicare anche alla discussa proposta di una F nera per gli alcolici, visto che «la Francia è un grande produttore di vino tanto quanto l’Italia».
Partendo da queste considerazioni, Serge Hercberg si aspetta che Commissione e Parlamento europeo scelgano il Nutri-Score come logo unico per l’Unione. «Se si guardano i dati scientifici e il sostegno dei consumatori, è il sistema migliore. Vedremo se per i politici europei sono più importanti scienza e salute pubblica o gli interessi di alcune lobby».

I limiti del Nutri-Score
Il Nutri-Score, però, non tiene conto nella sua classificazione del livello di lavorazione di un prodotto, né dell’eventuale presenza di additivi o della qualità delle materie prime. «Certo questo è un limite – dice Hercberg -, ma lo è per tutti i loghi di questo tipo, che segnalano soltanto la composizione nutrizionale, compreso il NutrInform». 

Cruciale per la comprensione dell’etichetta è capire che non indica quanto un alimento sia salutare in toto, ma quanto equilibrata è la sua composizione nutrizionale. E non sempre i due concetti coincidono: «Esistono diversi parametri su cui basare l’analisi del cibo. Bisognerebbe sempre guardare la lista degli ingredienti, prediligere prodotti poco trasformati, con meno additivi e conservanti possibile. Il Nutri-Score non considera queste dimensioni, serve solo a paragonare tra loro alimenti intercambiabili, come gli oli, i biscotti o i cereali per la colazione: alcuni sono migliori di altri sul piano nutritivo». Non bisogna attendersi altro, spiega il professore, dall’etichetta, che comunque in Francia potrebbe avere presto un bordo colorato di nero per evidenziare gli alimenti ultra-trasformati.

Pur ammettendone le limitazioni, Serge Hercberg difende l’impatto dell’uso del Nutri-Score sulla salute dei cittadini: «Uno studio condotto su 160mila persone di dieci Paesi diversi, monitorate per 15 anni, ha mostrato che il semplice fatto di mangiare elementi classificati meglio dal punto di vista nutrizionale riduce il rischio di cancro. Che si abbassa ulteriormente quando si consumano alimenti non lavorati o provenienti da agricoltura biologica». Queste informazioni, tuttavia, non si riferiscono alla componente strettamente nutritiva. Hercberg non nega che l’uso di pesticidi nella coltivazione o la presenza di additivi in un alimento giochino un ruolo importante, ma rimarca la separazione dai dati nutrizionali: «Magari un giorno si troveranno altre soluzioni, come quella di proibirli direttamente».

Troppi simboli sull’etichetta
Al momento, invece, è il consumatore che deve informarsi su origine e modalità di produzione di ciò che compra, spesso in un periodo di tempo limitato e sommerso dalle informazioni presenti sulla confezione. Uno dei rischi di un’etichetta immediata come il Nutri-Score è infatti quello di «oscurare» altri simboli rilevanti per la scelta, come la foglia su sfondo verde che indica i prodotti biologici o i marchi di Denominazione di origine protetta (Dop), Indicazione geografica protetta (Igp) o Specialità tradizionale garantita (Stg). «L’informazione essenziale va data, ma bisogna limitare il numero di loghi per non creare confusione nell’acquirente. Alcuni sono in realtà delle operazioni di marketing, come quelli apposti sui “prodotti dell’anno”».

Sicuramente, la comunicazione sul tema va accompagnata da una solida educazione alimentare. «Il consumatore deve capire ciò che legge. Una tavoletta di cioccolato sarà  sempre un alimento molto grasso e zuccherato, ma se si decide di mangiarla comunque, magari è più salutare sceglierne una biologica. Così come per salumi e formaggi è meglio privilegiare le indicazioni di origine protetta».
Ma soprattutto, sottolinea Hercberg, bisogna ricordarsi che il Nutri-Score è un elemento informativo e non demonizza il cibo: non proibisce di mangiare determinati, ma suggerisce di consumarli in quantità ragionevoli e non troppo spesso. «Il nostro compito è dare un’informazione, poi ogni consumatore decide se seguire questi consigli o se affidarsi a valutazioni che ritiene più importanti al momento dell’acquisto. Sui social network ogni tanto qualcuno mi scrive che se ne frega del Nutri-Score. È un suo diritto». I nutrizionisti, del resto, «non sono ayatollah, che vogliono impedire alla gente di mangiare con gusto e sostituire il loro piatto preferito con degli spinaci al vapore». E anche Serge Hercberg, di tanto in tanto, si concede un bicchiere di vino, un pezzo di cioccolato o una fetta di torta. L’importante, ribadisce, è sapere che non bisogna esagerare.

(Vincenzo Genovese su Linkiesta del 30/06/2022)
 
 

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Fonte: Etichette alimentari. Il Nutri-Score non penalizza i prodotti italiani, dice il suo ideatore

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