Nelle crisi delle banche esplose dal 2010 (in particolare quelle mortali delle due ex Popolari venete) non si è posta adeguata attenzione, se non sporadicamente sul piano mediatico per singoli fatti, sul ruolo degli organi di controllo e vigilanza del sistema bancario, cioè Banca d’Italia e Consob.
A Banca d’Italia (la banca centrale con molte delle sue funzioni ora accentrate nella BCE ma di cui rimane l’autorità nazionale competente nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico – Single Supervisory Mechanism, SSM – sulle banche) con il suo potente ispettorato di Vigilanza è affidato (cfr. il sito istituzionale bancaditalia.it) il perseguimento della “sana e prudente gestione degli intermediari, la stabilità complessiva e l’efficienza del sistema finanziario, nonché l’osservanza delle disposizioni che disciplinano la materia da parte dei soggetti vigilati”.
Alla Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) per le società non quotate come erano Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca è affidato (cfr. sito ufficiale Consob.it) il compito di autorizzare “i prospetti relativi alle offerte pubbliche di vendita e i documenti d’offerta concernenti offerte pubbliche di acquisto”, controllare “dati e notizie fornite al mercato… dai soggetti che fanno appello al pubblico risparmio con l’obiettivo di assicurare un’adeguata e trasparente informativa”, di sanzionare “le condotte illecite”, di comunicare con gli operatori e il pubblico degli investitori per un più efficace svolgimento dei suoi compiti e per lo sviluppo della cultura finanziaria dei risparmiatori e di collaborare “con le altre autorità nazionali e con gli organismi internazionali preposti all’organizzazione e al funzionamento dei mercati finanziari”.
Le numerose sanzioni per varie “condotte illecite” comminate alle due banche venete, ai loro amministratori e sindaci, da Bankitalia e Consob dopo la loro messa in liquidazione confermano, intanto e se non altro, il loro intervento tardivo.
Lo scontro del 2 novembre 2017 in commissione parlamentare di inchiesta tra il capo della Vigilanza di palazzo Koch, Carmelo Barbagallo, e il direttore generale di Consob, Claudio Apponi, scomparso il 4 agosto scorso, portò addirittura a una seconda loro audizione secretata, quella del 9 novembre dello stesso anno.
Eppure, tra i tre reati (gli altri sono aggiotaggio e falso in prospetto) per i quali sono imputati alcuni vertici della BPVi, tra cui il presidente Gianni Zonin, ed è in attesa di rinvio a giudizio solo l’ex Ad di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, quello di “ostacolo alla vigilanza” assolve automaticamente e preventivamente i comportamenti dei due organi di controllo e vigilanza. È un assist a loro favore.
La formulazione stessa del capo di imputazione, infatti, scherma Banca d’Italia e Consob visto che ogni loro eventuale carenza di vigilanza e controllo è esclusa dall’ipotesi giudiziaria. Un bel vantaggio, indubbiamente. Ma l’istituzionale autorevolezza dei due istituti non può toglierci il diritto a scoprire la verità di fatti così catastrofici (il dissolvimento delle due banche venete).
Quel colloquio a tre fu galeotto
Ma è, poi, vero che tutto sarebbe successo all’insaputa dei controllori, sulle cui capacità in realtà ci dovremmo comunque interrogare?
A questa domanda dà una risposta negativa ed inquietante, per lo meno sul fronte di via Nazionale, l’esame del colloquio di circa un’ora avvenuto nell’incontro che, su proposta di Carmelo Barbagallo, avvenne proprio in Banca d’Italia il 19 febbraio 2014 tra lui, responsabile della Vigilanza, Gianni Zonin, presidente di Banca Popolare di Vicenza, e Flavio Trinca, il suo omologo per Veneto Banca.
Sono significativi e dirompenti gli stralci, che abbiamo anticipato in anteprima esclusiva su VicenzaPiù.com, della trascrizione integrale dell’audio di cui siamo venuti in possesso. Quegli stralci, ricostruendone l’ambito, li proponiamo ora anche ai lettori di Quaderni Vicentini, grazie all’ospitalità concessaci dal suo direttore, uno dei pochi colleghi disposti a far luce fino in fondo su fatti così delicati. L’incontro era già confermato in documenti ufficiali, come la lettera (con oggetto “Veneto Banca S.c.p.A. – ricambio degli organi societari” in risposta a quella del 25 marzo in cui quel ricambio veniva “richiesto”), che è agli atti della procura di Treviso. La lettera fu inviata a Barbagallo il 10 aprile 2015 da Veneto Banca a firma Trinca, e se il contenuto del colloquio romano, come ci ha recentemente confermato Banca d’Italia, è stato consegnato secretato alla Commissione d’inchiesta parlamentare, ciò non significa che sui fatti non si possa fare (se si vuole) piena luce. La verità è nuda.
Tra Consoli, Antiga e Orfini
La premessa d’obbligo è che Banca d’Italia, col governatore Ignazio Visco e soprattutto col capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo, ha sempre negato che l’indicazione a Veneto Banca, una volta dichiarata in crisi a fine 2013 dall’Istituto centrale, di “confluire” in BPVi – per giunta in condizione di subalternità – andasse al di là della necessità di aggregarsi a un generico e non specificato “Istituto di adeguato standing”.
La Commissione d’inchiesta parlamentare sulle Banche (2017 – 2018) fu però vicina a smentire queste affermazioni in occasione dell’audizione di Consoli, che il 15 dicembre 2017 indicò il vice presidente di Veneto Banca, Franco Antiga (“non indagato”, egli volle sottolineare), come testimone del presunto diktat rivolto da Barbagallo a lui e al presidente a Montebelluna a fine 2013.
Il commissario del PD Matteo Orfini chiese subito l’audizione di Antiga perché la Commissione avrebbe potuto e dovuto – se il vice presidente di Veneto Banca avesse confermato le affermazioni di Consoli -, richiamare Barbagallo non più come semplice “audito” – veste nella quale aveva ribadito che nessuna indicazione specifica era stata data a Montebelluna per “darsi” a Vicenza – ma come testimone sotto giuramento.
La richiesta, però, finì nel nulla e nel dimenticatoio. Ebbene, dopo gli incontri senza esito per la possibile fusione delle due banche per incorporazione in BPVi del 27 dicembre 2013 ad Aquileia tra l’allora presidente Zonin, il collega di Montebelluna Trinca e i rispettivi direttori generali Sorato e Consoli e dopo il meeting del 19 gennaio 2014 (Ristorante “da Biasio”, Colli Berici) tra i due dg (anche questo confermato nella lettera del 10 aprile 2014), Carmelo Barbagallo ricevette su proprio invito per circa un’ora a Roma in Banca d’Italia il 19 febbraio 2014 i presidenti delle due banche. Due incontri nel giro di un mese. Una sola cosa accomunò i due: raccontarono di aver visto fare tutto a loro insaputa nei rispettivi istituti (tutto meno l’importo delle loro prebende, entrambe intorno al milione di euro l’anno, non poco per nulla controllare e sapere). La pressione ci fu, ma risultò vana.
La fusione serviva a evitare il disastro?
Dopo scambi di convenevoli Carmelo Barbagallo introdusse, quindi, di persona l’argomento (la ‘fusione’) e, dopo una serie di narrazioni e reciprche accuse tra i due presidenti affermò: “Non ho appreso nulla di nuovo, debbo dire, nel senso che sapevo e so, sappiamo perfettamente, che questa è un’operazione molto difficile… C’è qualcosa perché… può cambiare da un momento all’altro e la verità che c’è di nuovo…. l’AQR [1] … la necessità di avere le banche forti sotto molti profili… Le cose cambieranno drasticamente. A Francoforte si sta procedendo con passi velocissimi, con una grandissima determinazione… l’atteggiamento nei confronti dei paesi percepiti deboli non è…, diciamo, non fa presagire nulla di buono poi magari vedremo insomma…”
E poi l’uomo di Bankitalia pressò così i due presidenti presenti: “… Fermo restando che noi sapevamo, e continuiamo ovviamente a saperlo, che dal punto di vista personale ci sono delle difficoltà, però l’invito era e rimane questo, però poi nessuno deve fare le cose per forza, l’invito era ed è quello di verificare quali siano i presupposti tecnici, anzitutto…”.
Dopo una serie di altre affermazioni, all’argomentazione di Trinca che gli advisor di Veneto Banca, Goldman Sachs, avevano già iniziato il loro lavoro e alla sua domanda “possiamo noi valutare, valutare, fare delle valutazioni al di fuori di quello che poi sarà il responso dell’AQR, dottor Barbagallo?”, l’allora responsabile della Vigilanza sbottò: “Presidente ma lei mi sta dicendo che da qui a novembre tutto si deve fermare perché c’è l’AQR?…. Nel senso anche il sistema, che ci saranno altre operazioni, non è che uno si ferma perché c’è l’AQR…? L’AQR…. ce l’avete voi, ce l’ha Vicenza!”.
E poi ancora: “Aspettare novembre (2014, ndr) significa per noi non avere più il governo di questa cosa. Cioè, io ricordo che dal 4 di novembre non saremmo più noi a decidere, la competenza passa all’SSM, quindi noi saremo … in un contesto non certo migliore… ma in tutti i sensi, anche nel senso di una severità che purtroppo in Europa è molto maggiore rispetto a quella che noi… è domani, domani il momento… Per me arrivare a novembre o oltre novembre è una cosa che non credo possibile.”
Barbagallo, quindi, incalzò evidentemente soprattutto Trinca: “Quindi o questa cosa si fa in tempi brevi oppure se non la volete fare non la facciamo, non la si faccia e va bene così, non c’è nessun problema nel senso che poi si troveranno altre soluzioni, però ecco allora o si fa in tempi brevi o non si fa questo… se l’idea è quella di portarla alle lunghe, di arrivare oltre i risultati dell’AQR non ci siamo, ma anche per un fatto, ripeto, lo sottolineo, oggettivo: cioè non saremo più noi a decidere, quindi…”.
Double face di Barbagallo
Dopo un intervento di Zonin, che, mentre si affrontano argomenti strategici, tornava, non si capisce perché, sulla sua polemica con l’assente Consoli, l’allora responsabile della Vigilanza riprese in mano le operazioni e fu ancora più secco con Trinca: “… se lei viene incontro alle raccomandazioni della Banca d’Italia in tempo infinito… Cioè lei deve venire incontro, Veneto Banca… a Banca d’Italia, in tempo finito, in tempo preciso che è il tempo…. non in un tempo ulteriore rispetto a quello perché se no… glielo dico…”.
Barbagallo spinse per la “soluzione” BPVi già allora, circa quattro anni prima della sua audizione in Commissione in cui, concordemente con Visco, affermò deciso che Banca d’Italia non aveva mai indirizzato alcuna scelta.
Ecco allora le sue frasi finali quel 19 febbraio 2014: “… guardi, (si rivolge a Trinca, ndr) allora in questo veramente vorrei essere molto chiaro, ne approfitto della presenza…, noi non è che abbiamo tirato fuori come cilindro dal cappello la soluzione Vicenza perché, chissà, ci eravamo innamorati”.
Eppure Barbagallo in audizione nel 2017 disse sostanzialmente: “Noi abbiamo detto a Veneto Banca solo che era necessario che cercasse un Istituto di adeguato standing, senza mai dire che questo fosse BPVi!”.
Cruciale questo doppio passaggio nel ricostruire la storia del doppio crac delle due Popolari venete ed individuare le responsabilità non solo a livello locale ma anche di sistema. Perché Barbagallo cambiò versione? Sapeva che la sua insistenza era fuori norma o c’erano altre ragioni?
A circa due anni dalle audizioni di Visco e Barbagallo e dopo il confronto con Antiga negato a Orfini da Casini & C., è giunta l’ora che il confermato governatore e l’ex capo della vigilanza, ora promosso, facciano completa chiarezza su questa questione fondamentale che tocca la loro credibilità oltre che il loro operato: la loro posizione ha influito sull’evoluzione negativa delle due ex Popolari venete poi poste in liquidazione e ha bruciato, a vantaggio di altri interlocutori, miliardi di risparmi di circa duecentomila soci ancora oggi in attesa di indennizzi e verità.
Abbiamo chiesto via Pec col dovuto anticipo, l’11 luglio scorso, ai presenti all’incontro del 19 febbraio 2014 di poterli intervistare al riguardo.
Se i legali di Trinca e Zonin non hanno ritenuto, è loro diritto, di dare un riscontro, Banca d’Italia ci ha cortesemente risposto il 16 luglio per il dottor Barbagallo così: “Si fa presente che, vista la necessaria riservatezza sull’argomento legata ai processi in corso, non ci è possibile accogliere la Sua richiesta”.
Quei 254 milioni di obbligazioni emessi da Zonin per salvarsi
Eppure, perché questi processi, in cui addirittura via Nazionale si è costituita parte civile come “danneggiata”, abbiano regolare e corretto corso stante l’asserito ma ancora da dimostrare “ostacolo alla vigilanza”, non sarebbe indispensabile, lo chiediamo a Banca d’Italia e al Mef, districare la matassa della doppia verità di Barbagallo?
Tanto più che, mentre Bankitalia spingeva da fine 2013, come negarlo?, verso l’incorporamento di Veneto Banca in Banca Popolare di Vicenza, la cosiddetta “soluzione Vicenza” per Barbagallo, lo stress test della Bce, quello a cui voleva fare riferimento per eventuali accordi Trinca, bocciò, invece, in prima istanza la banca di Zonin, che, per salvarsi in angolo, dovette convertire in azioni nella notte del 25 ottobre 2014 ben 254 milioni di euro di obbligazioni con un’operazione benedetta da Bankitalia ma discutibile per le modalità e i tempi di attuazione, che hanno danneggiato pesantemente i loro sottoscrittori che oggi verranno rimborsati al 30% dal Fir invece che al 95%.
A confermare i dubbi e a rendere indispensabili chiarimenti non più differibili, soprattutto per gli azionisti vicentini e veneti delle due banche defunte, c’è ora anche la doppia decisione di Massimo De Bortoli, pm di Treviso.
Il procuratore, infatti, se da un alto vuol aprire il processo solo contro Consoli perché solo per lui ci sarebbero elementi di accusa sostenibili, come se la banca di Montebelluna fosse un negozietto qualunque, dall’altro ha chiesto il dissequestro dei beni dello stesso ex amministratore delegato di Veneto Banca. Perché? Perché la perizia del perito del tribunale di Treviso, Gaetano Parisi, dirigente di Banca d’Italia, ribalta ora quella di Luca Terrinoni, anche lui dirigente di via Nazionale e perito della Procura di Roma, inizialmente competente per le indagini, che consegnò conclusioni ben diverse da quelle più recenti del suo collega. Oggi Gaetano Parisi afferma che erano di fatto corretti i dati di Veneto Banca, quelli che l’avevano fatta promuovere da Bce…
E la confusione sotto il cielo continua.
di Giovanni Coviello per Quaderni Vicentini
[1] La revisione della qualità degli attivi promossa dalla Bce in vista degli stress test era un controllo generale della Banca centrale europea (in coordinazione con le banche centrali nazionali) che puntò a verificare la solidità delle maggiori istituzioni bancarie d’Europa. L’Asset Quality Review (AQR) – questo il suo nome anglosassone – ha preso il via nel novembre del 2013 e fu una tappa fondamentale del percorso avviato in Europa in vista del novembre 2014, quando la Bce assunse il ruolo di supervisore unico del sistema bancario Ue. Al vaglio i bilanci di 124 gruppi bancari europei che coprono circa l’85% del sistema bancario del Vecchio Continente. Tra questi c’erano anche la BPVi e Veneto Banca.