«Ora l’aria è piena di fantasmi, che nessuno sa più come evitarli»[1] scrisse il poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe. I “fantasmi” di Goethe sono sempre stati presenti nella nostra storia, anche se con le forme più varie e diverse. La superstizione è stata sempre un argomento oscuro, come i suoi contenuti: ignoranza di chi spera inutilmente o saggezza antica che porta verso un altro tipo di verità occulta e sconosciuta alla ragione?
Lo psicologo americano Burrhus Skinner ha condotto studi sul comportamento degli animali prima e sull’origine della superstizione nell’uomo in un secondo momento, partendo dal condizionamento classico di Ivan Pavlov. Secondo le teorie di quest’ultimo, le azioni e i comportamenti sono una risposta a dei precisi stimoli in una sequenza stimolo-risposta che può essere studiata scientificamente. Se ciò non sembra rivoluzionario a prima vista, in realtà lo è se si pensa al comportamentismo come alla distruzione del libero arbitrio: agiamo in un determinato modo solo perché l’ambiente circostante e la nostra esperienza ci condizionano nel nostro agire.
Seppur limitato perché non include nello studio del comportamento umano fattori sociali, come per esempio il contesto economico-sociale di partenza, il comportamentismo è supportato da un interessante esperimento di Skinner che apre la strada alle riflessioni sulla superstizione.
Skinner fece degli esperimenti con dei piccioni e dei topi, rinchiudendoli in una gabbia che aveva due pulsanti: uno che rilasciava cibo e uno che dava una piccola scossa. I topi e i piccioni appresero dopo un po’ di tentativi che un determinato pulsante poteva procurargli vantaggio, rilasciando il cibo e un altro gli procurava danno, scaricando la scossa. Dopodiché Skinner si interessò al comportamento dei piccioni in un’altra situazione, in cui non c’erano pulsanti, ma il cibo veniva rilasciato con intervalli temporali fissi. Quando ai piccioni fu somministrato del cibo per la prima volta, se essi stavano facendo una determinata attività, come lo sbattere le ali o il beccare la gabbia in un punto, tendevano a ripeterli. In sostanza, si era sviluppata nei piccioni la credenza che un loro comportamento potesse influenzare la realtà: questo tipo di superstizione fu chiamata in onore a questo esperimento superstizione del piccione.
Il meccanismo della superstizione è vantaggioso: se il cibo arriva in ogni caso, non sarà il comportamento superstizioso a modificare questa situazione, ma se l’azione di sbattere le ali fa veramente arrivare il cibo, perché non sbattere le ali? In una situazione di ignoranza sulla questione, il piccione, come l’uomo, è portato naturalmente a credere che la sua superstizione, che le sue azioni possano far cadere del cibo, piuttosto che aspettare solamente che il timer eroghi l’atteso pasto.
Lo studio delle superstizioni è andato di pari passo nella storia con lo studio sull’origine delle credenze religiose e fin dall’antichità diversi filosofi hanno espresso l’idea di un’origine umana delle credenze religiose.
Prodico di Ceo, filosofo sofista greco, affermò che la credenza nelle divinità ha origine nella divinizzazione delle cose vantaggiose della natura per l’uomo. La natura stessa, l’acqua, il sole e gli altri elementi che sembravano far vivere gli uomini furono divinizzati. Ricorre alla spiegazione naturale anche Democrito, che sostiene che l’origine delle religioni è da ricercarsi nella paura che l’uomo ha della natura selvaggia e della morte, che induce un riparo psicologico nella religione e nell’adorazione di un dio.
Insieme a queste riflessioni e studi sull’origine delle credenze umane c’è la teoria dello psicologo Jean Piaget, che associava la superstizione al pensiero magico. Secondo Piaget il nostro cervello, specialmente in età infantile, vede rapporti causa-effetto dove è dimostrabile che sono assenti o che l’effetto è stato causato dalla credenza stessa. Il pensiero magico è quindi la consapevolezza illusoria che la nostra mente e le sue costruzioni possano modificare la realtà.
Un altro filosofo sofista, Crizia, affermò in una sua opera che «dio venne ritenuto un demone infiammato di vita immortale, intelligente, dotato di vista, dotato di pensiero, interessato in queste vicende e pervaso di una natura divina, che potesse ascoltare ogni parola pronunciata dai mortali ed osservarne ogni azione»[2]. Crizia affermava che questa stessa visione di dio era frutto della creazione del concetto di dio stesso da parte dell’uomo, usandolo per giustificare l’autorità politica.
Anche autori più recenti come il conservatore Joseph de Maistre hanno riaffermato che «la società non è affatto opera dell’uomo, ma è il risultato immediato della volontà del creatore»[3].
La superstizione sembra, quindi, un qualcosa di politico, che l’autorità usa per mantenere il suo stesso potere e giustificare le ingiustizie. Anche se non possiamo dire con certezza da dove nasca la superstizione, non possiamo certo dire che oggi sia scomparsa e, tuttavia, dopo le riflessioni su come abbia avuto origine la superstizione, ci si può chiedere: è veramente possibile eliminare la credenza nell’irrazionale nell’uomo in favore della ragione e del naturalismo o saremmo, anche in quel caso, condannati ad affidarci ad altri «fantasmi»?
[1] J.W. Goethe, Faust, Feltrinelli, Milano 1992.
[2] Crizia, Sisifo, frammento 25
[3] J. De Maistre, Œuvres complètes citato in Herbert Marcuse, L’autorità e la famiglia, Einaudi, Torino 1970, p. 88.
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a cura di Michele Lucivero
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Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO).