Fase 2 senza messa. Ignorato il vissuto di fede del popolo.

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Sconcerto e amarezza. Sono i sentimenti che salgono naturali di fronte alla notizia appresa domenica 26 aprile durante la conferenza stampa del premier Conte relativa alla Fase 2 della pandemia, di non prevedere, a breve, alcuna possibilità per i credenti di riprendere la partecipazione di popolo alle liturgie, pur nel rispetto di tutti i rigidi protocolli sicurezza. Unica minima eccezione concessa, la celebrazione dei funerali.

Il partecipare fisicamente con gli altri fedeli alla Messa è vitale per il credente e per la comunità cristiana o no ?

È la domanda alla quale occorre rispondere per comprendere la portata della decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Riconosciamolo: il nostro partecipare “virtuale” alla celebrazione della messa attraverso la televisione o i social è un surrogato del prendere parte fisicamente alla celebrazione eucaristica. Riteniamo che questa forma possa durare ancora a lungo senza intaccare il cuore dell’esperienza di fede che si alimenta anche come esperienza di popolo? È questa l’altra domanda essenziale.

Certo ci sono casi in cui il popolo di Dio è stato (ed è ancora) privato per molto tempo della possibilità di accostarsi all’eucarestia (si pensi alle situazioni di persecuzione o laddove non c’è la presenza del presbitero), ma sono casi estremi che non riguardano certo l’attuale situazione italiana.

In tale prospettiva, il dubbio che l’assenza della partecipazione alla celebrazione eucaristica sia destinata a portare un grave danno alla vita spirituale ed ecclesiale va considerato seriamente. Non si tratta di avere atteggiamenti rivendicatori o di affermare il peso del potere ecclesiastico. Questo non c’entra nulla. Si tratta piuttosto di garantire che la vita spirituale personale e comunitaria possa continuare ad alimentarsi alla propria sorgente e così, tra l’altro, rappresentare quel polmone spirituale che è stato ed è fondamentale nella vita anche del nostro Paese.

In tal senso il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri che – come afferma il Comunicato della Cei – “esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo”, ignora in modo grave il valore esistenziale di tale partecipazione e, cosa non secondaria, il suo valore costituzionale relativamente alla libertà di culto.

Le imprese, giustamente, hanno spinto per la ripresa evidenziando che una ancora prolungata chiusura ne avrebbe compromesso irrimediabilmente l’operatività. Criteri analoghi sono stati assunti con riferimento ad altre attività quali ad esempio lo sport, i musei, i negozi.

Non si capisce perché l’esperienza di fede ne sia esclusa. Il senso di responsabilità mostrato dalla Chiesa italiana in queste settimane dovrebbe rappresentare la miglior garanzia sulla volontà e la capacità dei credenti e delle comunità ecclesiali di rispettare tutte le disposizioni di sicurezza e i protocolli che si renderanno necessari per avviare la ripresa graduale della celebrazione della Messa con il popolo. Come credenti siamo consapevoli che il rischio della pandemia non è passato e che dunque si dovranno adottare tutte le misure necessarie conseguenti come, peraltro, avviene in tanti altri ambienti. Si dovrà, per esempio, garantire il distanziamento sociale, essere in chiesa con mascherina e guanti, studiare la modalità migliore per la distribuzione dell’eucaristia. Gli anziani, se per decreto dovranno rimanere a casa, ovviamente non potranno essere presenti neanche in Chiesa.

Ora pare che da Palazzo Chigi ci siano segnali di qualche possibile ripensamento. Lo speriamo. Resta il disappunto per essere arrivati a questo punto, per avere assunto una decisione così grave che mostra una così scarsa considerazione del vissuto di fede di un popolo.

All’ostentazione e strumentalizzazione dei rosari di qualche leader politico non vorremmo che facesse da contraltare (!!!) il derubricare il fatto religioso a esperienza privatistica.