Figli e genitori separati, Claudia Moretti (legale Aduc): “Quanto con uno e quanto con l’altro? Tre falsi miti che conservano lo status quo”

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Figli e genitori separati
Figli e genitori separati

Chi si avvicina alle norme codicistiche in materia di diritto di famiglia, scopre presto che sono esigue, scarne, rinviano al giudice molte delle scelte in caso di dissenso fra genitori – si legge nel comunicato su figli e genitori separati della rubrica “Genitori e figli” che pubblichiamo e a firma di Claudia Moretti, legale, consulente dell’Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –.

Ma anche il magistrato, pur investito di un potere decisionale enorme (laddove entra e fissa le dinamiche e gli spostamenti, gli orari e le visite, le residenze ecc…) almeno una regola la deve osservare: la tutela del legame del figlio con entrambi i genitori. Quantomeno in assenza di gravi motivi che, si immaginano, molto residuali e non comuni.

Ma a fronte di una regola così chiara, la Giurisprudenza da subito – ed il lato Oscuro della Forza – si è ribellata. E’ del 2006 il precetto, ma oggi si fatica molto a vederne attuazione nelle aule di tribunale. E’ una realtà: il padre non è ancora equiparato, in caso di separazione, alla madre. E se molti padri ritengono la faccenda, ovvia, non solo sopportabile ma addirittura auspicabile, molti altri – e sempre di più – si arrovellano su come ottenere il giusto spazio nella vita dei propri figli.

Ci sarebbe da chiedersi come è possibile che in un sistema di civil law (dove il dettato della norma scritta conta più del costrutto giurisprudenziale), si sia arrivati allora ad una interpretazione così negazionista e stravolgente della bigenitorialità? Ma questo è un altro capitolo…

Sta di fatto che tutto il fronte conservatore del Costume e della società delle scorse generazioni, ha trovato voce in sentenze e provvedimenti che “interpretano” (per non dire “violano”) la bigenitorialità, declinandola di fatto con prevalenze, di casa, di tempi, di accudimento. Come se l’esser genitore fosse un fatto scindibile dal TEMPO che il genitore trascorre con il bambino.

La bigenitorialità non prescinde dal tempo, che ne è la cifra, la declinazione del suo attuarsi a pieno. Soprattutto con i piccoli ed in età scolare, ma anche fino a tutta l’adolescenza: esser genitore non è provvedere e basta alle esigenze materiali (pagare bollette o assegni), ma conta il TEMPO che il genitore presenzia e trascorre al suo fianco nella quotidianità. E’ fatto di abitudini ricreate (di cene, i film dopo cena, le notti, anche insonni) senza le quali non c’è nucleo familiare. E per crearne non bastano le “visite” old style.

Perché ancora si vive tutto ciò? Quali sono i pre-giudizi, gli assunti culturali mai superati, che impediscono di far decollare la bigenitorialità vera senza se e senza ma? E, conseguentemente, la società? E ancor più conseguentemente la civiltà di uguaglianza fra generi che ne deriverebbe?

Ecco solo alcuni dei falsi miti che fanno da sfondo alle decisioni, ed agli atti di parte che si leggono ancora purtroppo, contra legem, nelle aule di giustizia.

Un primo assunto è: i bimbi non possono avere due case e/o due focolari domestici a pari merito, ma deve esistere un unico domicilio nel quale concentrano tempi e spazi, per non esser spaesati, confusi, smarriti o sballottati.

Si tratta di un assioma che ha poco a che vedere con studi di neuropsicologia infantile, quanto forse di un paravento per perpetuare delle posizioni culturali inaffondabili nel nostro Paese. Se guardiamo oltralpe, infatti, ma anche in Spagna, scopriamo che molte famiglie divise vivono in perfetta parità di tempi con entrambi i genitori senza alcuna evidenza psicopatologica per i figli.

In base a questo assunto che aleggia ovunque, non c’è scelta: uno dei due genitori è depositario di una fiducia genitoriale di serie A. L’altro, generalmente guarda caso il padre, non può che subirne le tristi conseguenze, ossia pagare i costi in termini economici ma soprattutto affettivo-relazionale.

Un secondo assunto è: i bimbi molto piccoli (0-3, quando non anche 0-6) non possono separarsi di notte dalla propria madre. Ne riceverebbero indubbi traumi psicologici.

Questa è l’altra grande narrativa che pende nei tribunali e negli atti di parte materna – talvolta foraggiata da relazioni di parte di alcuna valenza scientifica.

Peccato che nessuno si occupi di cosa e quali traumi comporti per il legame la separazione notturna dal padre.

Quando invero, lo squilibrio e la negazione del pernottamento, determina un danno certo ed irrecuperabile: le relazioni intime ed i contatti fisici dei primissimi anni instaurano legami e pongono le premesse per un solido rapporto anche futuro. Privarne del tutto l’altro genitore (come ancora troppo spesso le madri chiedono al Giudice nei primi anni di vita dei figli) significa seminare nella separazione della coppia un’altra ben peggiore separazione: minare la solidità dei legami padre figlio per il futuro. Anche qui, alla base delle richieste e dei provvedimenti, e non certo su indicazione neuropsicologica, c’è una malcelata mistificazione: si può stare senza padre ma non senza madre. E così, a colpi di pregiudizio si arriva a danneggiare un legame per proteggere non già i figli, quanto le paure di una società che vuole mantenere ancora i ruoli chiari, quelli di un tempo.

Un terzo assunto – il più assurdo, non dichiarabile ma sempre sottinteso – è: la madre è ontologicamente più adatta ad accudire la prole: lava, stira, acquista i vestiti ed il materiale scolastico, taglia le unghie, cucina ecc…e/o fino ad ora il padre non se ne è mai occupato, o se ne è occupato residualmente, quindi ora non pretenda di stravolgere le abitudini dei componenti della famiglia: “sarebbe traumatico”.

E quindi? Siccome fino a ieri la famiglia si era assestata su certi steriotipi antichi, tale sarà lo schema che si adotterà per il futuro, affinché il futuro non cambi mai, affinché i legami e le dinamiche consolidino se stesse ed i luoghi comuni permangano, impedendone invece la emancipazione. Ed è così che la società patriarcale, e dalle profonde diseguaglianze di genere, conserva il suo assetto socio familiare.

Triste quando gli stessi padri, con i propri legali in prima linea, si accontentano di vedere i figli un pomeriggio la settimana e qualche weekend striminzito.

Ancor più triste è anche che molto spesso, a fronte di padri che vogliono fare i padri davvero, la stessa cultura materna, certa avvocatura e magistratura femminile per prima, si opponga in modo aspro e rivendicativo. Come se la vita e gli assetti post separazione potessero finalmente sanare e risarcire ferite e disequilibri che non si è stati in grado di evitare nel rapporto di coppia.

Il tutto a scapito dei figli e dell’esempio generazionale che i genitori offrono loro.

Claudia Moretti, legale, consulente Aduc