“Filosofia della bellezza e bellezza della filosofia” di Fabio Peserico. L’educazione alla bellezza, la recensione

1001
Fabio Peserico, Filosofia della bellezza, Aracne, Roma 2022.
Fabio Peserico, Filosofia della bellezza, Aracne, Roma 2022.

La profondità con la quale il carissimo amico e collega Fabio Peserico scava nell’animo umano alla ricerca della Bellezza in questo testo rappresenta il sintomo di quella fecondità di pensiero di chi ha raggiunto un grado di maturità che i greci definivano con il termine sophrosyne, una qualità morale che compendia e sussume al suo interno sia la sapienza, la sophia, sia la saggezza, la phronesis. E, in effetti, l’esercizio costante durante gli anni di insegnamento della Filosofia nella sua prospettiva storica ha condotto l’autore nei pressi della perfezione spirituale teoretica, quella che deriva dalla sophia, ma è da questa consapevolezza, imprescindibile per Aristotele, che muove l’urgenza di fermarsi e Guardare indietro per andare alla ricerca di un Tempo pregnante che esprima il Senso dell’esistere, il Significato dello stare al mondo.

Non è un caso, del resto, prestando la dovuta attenzione alla profondità radicale delle parole, che si scopre che quella temporalità, sulla quale si estende lo sguardo retrospettivo, è la prerogativa del raggiungimento della temperanza, come se l’appianamento della percezione del tempo, che diventa lineare per i latini ormai cristianizzati, fosse la condizione di possibilità per un bilancio esperienziale franco e disinteressato.

Scrive, infatti, Aristotele nell’Etica Nicomachea: «La saggezza riguarda anche i particolari, i quali diventano noti in base all’esperienza, mentre il giovane non è esperto: infatti, è la lunghezza del tempo che produce l’esperienza. Perché ci si potrebbe chiedere anche questo: per quale ragione un ragazzo può essere un matematico, ma non un sapiente o un fisico? Non si deve forse rispondere che gli oggetti della matematica derivano dall’astrazione, mentre i principi della sapienza e della fisica si ricavano dall’esperienza?»[1].

E, allora, nella comune radice linguistica, che vuole essere anche semantica in maniera del tutto originale, di temporalità e temperanza si gioca la partita del senso dell’esistenza. Un senso che si dischiude nella temporalità che si configura nella maturità, nella capacità di elevarsi al di sopra e al di fuori di un tratto di esistenza e guardarlo nella sua interezza.

È quel Guardare indietro che si configura come la condizione di possibilità per poter cogliere il senso, il significato retrospettivo dell’essere stati gettati, per dirla con Heidegger, in questo mondo senza chiederci il consenso. Ed è proprio quell’esorbitante e irrazionale movimento esistenziale che ci mette al mondo senza chiederci il permesso a prevaricare qualsiasi tentativo di fare ricorso alla logica, alla scienza, alla ratio, per poter trovare la forza di dire sì alla vita anche davanti alla tragicità con la quale la morte mette fine a questo percorso.

La possibilità di fermarsi e Guardare indietro, dunque, si configura come uno sguardo fenomenologico che determina l’apertura di senso, quell’istante finito che apre l’infinito e trova la meraviglia del compimento, della ricomposizione dei pezzi che, nel turbinio delle occupazioni della vita quotidiana, restavano disaggregati all’interno di un vortice privo di senso. Adesso, invece, Fabio si è fermato, si Guarda indietro e i pezzi prendono corpo, un corpo che è ben riconoscibile, sebbene sia intangibile perché dilatato e diffuso: quel corpo è la Bellezza.

Non è una competenza in dono a tutti gli scrittori e a tutte le scrittrici quella di riuscire a trasmettere i propri stati d’animo ai lettori e alle lettrici: si può condividere con Sant’Agostino quell’inquietudine profonda di chi ancora non riesce a trovare la via giusta per arrivare a sentire Dio che parla; si può rivivere con Jean Paul Sartre quel senso di libertà assoluta alla quale la vita ci condanna e che, in qualità di filosofo, egli si è sempre preso, fino al punto di rifiutare un premio Nobel; oppure si può entrare empaticamente all’interno dell’universo del collettivo Wu Ming e sentire sin dalla peculiare scelta della parole, messe in fila ad una ad una per costruire quegli oggetti letterari non identificati, la vibrante e quasi stanca denuncia per le striscianti forme di oppressione che il potere sempre mette in atto per costruire una storia di soprusi e guerre, circostanza, purtroppo, sempre attuale.

Questa specifica dote nella scrittura appartiene anche a Fabio, il quale permette al lettore o alla lettrice di stendersi su di lui ed essere trasportati nel suo mondo, dove si possono solo percepire in maniera allusiva pennellate impressionistiche di serenità. Il testo di Fabio assomiglia molto, in effetti, ad un quadro impressionistico un po’ particolare, di eterea Bellezza, ma che, al contempo, ha come oggetto la Bellezza stessa, alla quale egli cerca di educare il lettore e la lettrice per insegnare loro ad apprezzare e riconoscere la Bellezza all’interno di un percorso di formazione, di Paideia estetica e spirituale.

Eppure, sullo sfondo di questo percorso di formazione, di questo singolare Bildungsroman di Fabio, non possono non emergere prepotentemente alcuni cruciali quesiti filosofici di natura preliminare, stimolati dalla lettura del testo. Ad esempio, è lecito chiedersi: ma la Bellezza si può davvero insegnare? È pensabile un percorso per Educare alla Bellezza? E, una volta riconosciuta universalmente o intersoggettivamente, come è possibile tutelare e salvaguardare la Bellezza per lasciare ai posteri la possibilità di fruirne?

F. Peserico, Filosofia della bellezza e bellezza della filosofia, Aracne, Roma 2022.

[1] Aristotele, Etica Nicomachea, 1142a.


Qui troverai tutti i contributi a Agorà, la Filosofia in Piazza

a cura di Michele Lucivero

Qui la pagina Facebook Agorà. Filosofia in piazza