Fine Ramadan. “Tenerezza, chiave contro le paure”

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“Tanti auguri ai musulmani che celebrano in questi giorni la grande festa della fine del Ramadan”. A rinnovarli in questa intervista al Sir è mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, nuovo presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Nel mese di maggio si era rivolto con un messaggio ai musulmani per la festa dell’Aïd el-Fitr, scegliendo quest’anno come tema “Cristiani e musulmani: promuovere la fratellanza umana” e invitando loro ad “abbattere i muri alzati dalla paura e dall’ignoranza e cercare insieme di costruire ponti di amicizia che sono fondamentali per il bene di tutta l’umanità”. “Ho voluto esprimere una parola positiva”, spiega mons. Ayuso. “Credo che in un mondo dove si costruiscono tanti muri e in un tempo in cui si sta facilmente scivolando nel pessimismo, dobbiamo essere propositivi. Le paure sono insite nella nostra natura umana ma devono essere vinte. E la chiave per vincerle è la tenerezza.
La tenerezza è toccare l’umanità dell’altro. E’ diventare compagni di viaggio di ogni essere umano, di qualsiasi credo e cultura, e collaborare mano nella mano alla costruzione del bene comune”.

Cosa rappresenta per la comunità cattolica in generale la festa di Aïd el-Fitr?
«La gente si chiede, come mai ora si parla di feste musulmane, mentre prima non succedeva? La realtà è che anche il nostro mondo è cambiato e viviamo in contesti dove con sempre maggiore frequenza diverse componenti dell’umanità si incontrano.  Aïd el-Fitr è la festa della rottura del digiuno, che segna la fine del mese Ramadan. E’ una grande celebrazione al termine di un periodo dove il credente ha cercato di fare un’esperienza di ascesi, conversione, sottomissione a Dio attraverso il digiuno secondo i principi della tradizione musulmana».

Con quale spirito si può partecipare a questa festa musulmana?
«Sono momenti che rendono le circostanze e le situazioni del tutto particolari, come può essere la nascita di un bambino o la morte di un vicino di casa. Dobbiamo cogliere questi eventi come occasioni per esprimere apprezzamento e come credenti per compiere gesti di amicizia, partecipando alle loro mense o visitando le famiglie. Ispirati da Papa Francesco, anche noi possiamo collaborare a diffondere questa cultura del dialogo attraverso gesti di apertura, di rispetto e di riconoscenza».

Purtroppo, non è così.
«Se guardiamo da un altro lato, possiamo trovare persone che sono più resistenti e vedono questa presenza e queste celebrazioni come una presa del territorio. Purtroppo, si tratta di un atteggiamento negativo, segno di quanta paura oggi c’è rispetto all’altro, quanta diffidenza e timore il diverso ci provoca. Non dovrebbe essere così, perché le nostre società devono essere costruite nella diversità, conservando la nostra identità. Siamo tutti cittadini – benché credenti di diverse tradizioni religiose – chiamati a costruire la società sul bene comune, la coesione sociale a partire dalla differenza, il rispetto delle leggi del luogo. È grazie alla cittadinanza comune che ci si identifica come popolo, come nazione».

Quale antidoto permette oggi di vincere questi sentimenti di paura e diffidenza?
«La cultura della tenerezza di cui ci parla Papa Francesco. Chiede il coraggio di andare incontro all’altro, a chi è diverso da me, a colui che è credente ma il suo credo è diverso dal mio. Chiede anche l’impegno a costruire insieme la società nello spirito dell’amicizia e soprattutto della fratellanza universale. La nostra umanità grida, il nostro mondo è ferito da guerre, divisioni, timori e populismi. Papa Francesco ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di al-Azhar hanno indicato tre grandi valori, tre pilastri su cui costruire il nostro futuro, l’unico possibile: la fratellanza, la pace e la convivenza».

Ad Abu Dhabi è stato firmato un Documento importantissimo. Cosa rimane oggi di quel testo?
«Abu Dhabi è stato un grande evento che non deve essere legato né al tempo né alle persone né ai luoghi che lo hanno generato. È un messaggio universale, aperto a tutti i gruppi e le tradizione religiose sparse nel mondo. Tutti sono invitati a promuovere questo spirito di collaborazione. È un testo che deve diventare oggetto di studio e di riflessione perché ci aiuta a vincere le resistenze, le difficoltà, i problemi e trovare quell’equilibrio rispettoso che dalla diversità ricrea quella armonia e quell’unità che ci permettono di essere e sentirci tutti fratelli e sorelle in umanità».