Fis di Montecchio, la Repubblica: l’industria dove l’innovazione si fa a colpi di “like”

1947
Fabbrica italiana Sintetici

Una media azienda familiare italiana. Una piattaforma “social” in cui postare idee, proposte e progetti per migliorare i prodotti, i processi, l’organizzazione dell’impresa. Oltre 600 iscritti (sui 1.200 dipendenti dello stabilimento), oltre 400 attivi con idee, commenti, opinioni, o semplicemente con un “like”. Centotrenta idee generate, 27 delle quali innovative per la storia, il business e l’organizzazione dell’azienda. Cinque selezionate e in corso di valutazione da parte del management. Entro fine anno almeno una diventerà prassi. Montecchio Maggiore, provincia di Vicenza, profondo Nord manifatturiero.
La Fis (Fabbrica Italiana Sintetici) è un’azienda chimica da 381 milioni di fatturato (in crescita costante dai 132 di dieci anni orsono) e 106 di margine operativo. Il suo nome è sconosciuto al grande pubblico perché produce intermedi e principi attivi perle case farmaceutiche, dunque è un’azienda “business Io business”. È controllata dalla famiglia Ferrari, da quattro generazioni, e a giudicare dai numeri non ha grandi problemi nel generare profitto. Se non che – come per tutte le aziende che si confrontano sui mercati internazionali – la competizione sui costi rischia di comprimere i margini. La chance per dribblare questo rischio si chiama innovazione.

Nel triangolo industriale lombardo-emiliano-veneto le piccole multinazionali manifatturiere destinano alla voce ricerca e sviluppo quote significative dei propri profitti: la Fis, per esempio, ha investito quasi 200 milioni negli ultimi sei anni. Il punto, come spiega Enzo Baglieri, docente di Gestione tecnologia e innovazione della Sda Bocconi, è che «le aziende si interrogano su come fare innovazione non più solo sui prodotti, in molti casi già buoni, e non solo attraverso le strutture tradizionalmente dedicate. Oggi si può fare innovazione ricorrendo a tutte le risorse disponibili, raccogliendo spunti anche da soggetti fin qui non considerati. Se si riesce a socializzare il confronto sulle proposte allora si aggiunge all’impresa un vantaggio competitivo». Perle multinazionali americane l’«open innovation» è una consuetudine, soprattutto nel mondo delle tecnologie (Apple, Microsoft, Ibm, Nasa…). Per il manifatturiero italiano, aziende gestite dall’imprenditore che le ha fondate o dai suoi familiari, una strada che si è appena cominciato a esplorare. «Alla Fis – racconta Franco Moro, il manager che guida l’azienda – abbiamo coinvolto i membri dell’ultima generazione della famiglia proprietaria fin dall’inizio, anche nel gruppo di “ambasciatori” che sono andati a vedere come si fa nelle aziende californiane. E da subito si sono convinti che valesse la pena dare un’opportunità a tutte le idee di essere ascoltate e liberate, con un approccio indipendente dalle classiche strutture aziendali».

Su questo principio è nato il “Laboratorio delle idee”, che ha come base una piattaforma software accessibile a tutti i 1.200 dipendenti dello stabilimento di Montecchio. Con un massiccio lavoro di comunicazione interna formazione, manifesti, newsletter, Intranet e perfino brevi meeting nei reparti e monitor in mensa l’azienda ha creato una comunità predisposta alla generazione di nuove idee. Progetti postati sulla piattaforma e “socializzati”: ciascun dipendente ha potuto leggerli, commentarli, proporre modifiche, votarli. Una prima scrematura ha reindirizzato un centinaio di idee alle tradizionali strutture dell’azienda e ne ha selezionate 27 tra le più originali. Poi un’altra selezione per individuare i cinque progetti su cui costruire un vero e proprio business plan, e tra i quali scegliere la prima idea da adottare e concretizzare.

Tra quelle arrivate sulle scrivanie dei manager c’è anche l’idea di un operaio specializzato che propone la modifica di uno degli strumenti utilizzati nel suo reparto, opportunità riservata fin qui agli ingegneri. E quella di un tecnico che ipotizza il recupero dei principi attivi contenuti nei farmaci scaduti.

Idea «dirompente», secondo il giudizio degli stessi manager del gruppo veneto, se sarà verificata l’effettiva possibilità di applicazione e se sarà in grado di reggere un business plan profittevole.

Nel caso, potrebbe addirittura allargare il perimetro di attività dell’azienda, o generare una start up, una nuova azienda costruita intorno all’idea di partenza. Un piccolo miracolo dell’innovazione “social”.

di Roberto Rho, da la Repubblica