Le elezioni politiche del 25 settembre si avvicinano e le coalizioni affinano le armi per arrivare all’appuntamento preparati a strappare la maggioranza assoluta in Parlamento, evitando di frammentare il voto, per cui anche la consueta crociata sul voto utile non si è fatta attendere. Tuttavia, la partita più importante si gioca sui programmi sbandierati dai partiti e così non poteva non colpirci il ritorno in auge della ricetta della destra italiana della flat tax, accompagnata da una proposta inedita, ma altrettanto curiosa di Giorgia Meloni, di combattere le devianze – solo quelle giovanili al momento.
Difficile lasciare da parte le facili ironie intorno al fraintendimento del concetto di devianza, vista la pubblicazione di una card sui social del partito della Meloni, poi rimossa perché trovavano posto tra i comportamenti ritenuti devianti anche l’autolesionismo e i disturbi alimentari – cosa che ci ha fatto temere che, al posto della flat tax, le destre fossero interessate a varare piuttosto una fantomatica fat tax (una tassa sulle persone fat, cioè obese)!
Vorremmo, quindi, sfruttare gli anglicismi per gettare ulteriormente in confusione l’elettorato italiano, giacché siamo sempre più convinti, e l’Accademia della Crusca ci ha dato ragione in merito all’uso di parole di lingua straniere per spiegare cose davvero importanti, che talvolta tale ricorso sia ponderato e strumentale per adombrare la grande fregatura che c’è dietro, ad esempio, la flat tax.
Si tratta di tassa, ovviamente, non sulla casa, sull’appartamento, come la traduzione dall’inglese su Google potrebbe suggerire, ma sul reddito percepito, una tassa che da criteri di progressività, così come recita la Costituzione all’art 53: «Tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività», viene schiacciata, appiattita – piatta è la traduzione pertinente – ad una sola aliquota per tutti. In sostanza, invece di avere ben quattro aliquote, come accade oggi a seconda del crescere del reddito (23% fino a 15.000 euro; 25% oltre 15.000 e fino a 28.000; 35% oltre 28.000 e fino a 50.000 euro; 43% oltre 50.000 euro) si avrebbe una sola aliquota (dal 23% al 15%, devono ancora accordarsi bene), applicabile a tutti i redditi che superino una certa soglia di non tassabilità.
Di fatto, dunque, con la flat tax vedrebbero applicata la stessa aliquota sia l’impiegato, il docente, l’operaio con redditi intorno ai 20.000 annuali sia imprenditori, ereditieri, calciatori e paperoni dai redditi indecenti con un indubbio vantaggio di questi ultimi, che però viene adombrato nella retorica della detassazione collettiva e nella totale confusione dell’anglicismo.
E così anche noi, giusto per aumentare la confusione elettorale di questa tornata, vorremmo fare ricorso agli anglicismi per suggerire a Giorgia Meloni di fare cassa per ovviare all’evidente ammanco che ci sarà con la flat tax con una nuova tassa per punire le devianze, cioè una fat tax, una tassa su tutti coloro che mangiano e consumano troppo, pingui soggetti obesi colpevoli di misfatti alimentari.
Di certo, però, non ci è sfuggito che, mentre cercava di chiarire meglio il suo pensiero, banalizzando ulteriormente argomenti complessi attraverso richiami a Wikipedia, Giorgia Meloni aveva già strizzato l’occhio alla base del suo partito, cioè quella che conserva con nostalgia cimeli del ventennio ed è ancora restia a prendere le distanze dalla fiammella tricolore, avvertendo la necessità di «crescere generazioni di nuovi italiani sani e determinati».
Parole che, visto il pulpito da cui viene la predica, hanno fatto tornare alla memoria l’attenzione esasperata che il regime fascista ebbe per il settore sportivo, ritenuto strategico per la formazione dell’uomo nuovo fascista. Così, mentre dichiarava di essere pronto ad aumentare gli investimenti per lo sport in modo da ridurre, sul modello islandese, i comportamenti devianti, il partito di Giorgia Meloni inseriva nello stesso calderone delle devianze da combattere droga, alcolismo, tabagismo, ludopatia, autolesionismo, obesità, anoressia, bullismo, baby gang, hikikomori, mostrando definitivamente di non avere la più pallida idea di quali complessi meccanismi psichici, sociali e culturali stiano dietro fenomeni e patologie così differenti.
Offrire con uno spot una ricetta di normalizzazione estesa ad aree della salute psicofisica, mentale o, aggiungiamo noi, della sessualità, viste le varie crociate sull’argomento condotte da FdI, ci fa balzare sulla sedia e ci preoccupa oltremodo, rimandandoci alle riflessioni di Michel Foucault sui sistemi di controllo sociale, che poi, associati nel Novecento alle ideologie totalitarie, avrebbero finito per mostrare il lato terrifico della natura umana.
In particolare, Foucault aveva decostruito il concetto di normalità spiegando come la dicotomia normale/anormale fosse in realtà il risultato dell’azione di dispositivi di normalizzazione, che agiscono sui soggetti, condizionandoli in direzione della conformità a standard richiesti. La società della normalizzazione predispone tutta una serie di rituali, pratiche sociali, schemi di comportamento, ma anche spazi e strutture fisiche, tecniche e istituzioni, discipline atti a tracciare ciò che in un dato contesto può essere definito normale, discostandosi dal quale ogni soggetto deviante incorrerà in una sorveglianza più stretta, in uno stigma o anche in una punizione normalizzatrice: «L’individuo è senza dubbio l’atomo fittizio di una rappresentazione ideologica della società, ma è anche una realtà fabbricata da quella tecnologia specifica del potere che si chiama “la disciplina”»[1].
In effetti, però, al netto della proposta di sorvegliare e punire atteggiamenti che invece andrebbero compresi attraverso un concetto che a molti risulta piuttosto estraneo, cioè l’inclusione, ciò che più preoccupa delle magiche ricette della destra riguarda proprio l’intenzione di calpestare continuamente la nostra Costituzione e introdurre surrettiziamente con la flat tax vantaggi economici per una minoranza, che diventa sempre più ricca e più potente, a detrimento della maggioranza del Paese.
[1] M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 2014, p. 212.
Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.
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a cura di Michele Lucivero
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