In questi giorni, culminati nel Giorno del ricordo delle foibe, non ci si è certo risparmiati in disquisizioni più o meno dotte, spesso superficiali, su quello che è successo verso la fine della seconda guerra mondiale nel confine orientale.
C’è una equiparazione di fatto tra gli eccessi avvenuti da parte jugoslava e i genocidi pianificati e attuati dagli eserciti italiano e tedesco in quei territori. Un’equiparazione che mette sullo stesso piano causa e effetto, oppressori e oppressi, chi ha scatenato l’odio e chi ha risposto all’odio con la violenza e la vendetta.
L’obiettivo è ben preciso e si può riassumere in poche parole: comunismo e nazismo sono la stessa cosa (il fascismo un po’ meno, si insiste troppo spesso sull’idea che sia stato, in definitiva, una “dittatura benevola”), cosa che è un insulto sia storico che ideologico.
In definitiva, si vuol far capire, che l’unica vera democrazia sia quella del sistema capitalista oggi trionfante. Se non fosse questo l’obiettivo (un vero e proprio negazionismo che tende a riscrivere in bella grafia colonialismo e imperialismo sottacendo i disastri provocati da nazioni considerate civili a prescindere) si dovrebbe, allora, equiparare, tanto per fare un esempio, il bombardamento degli alleati su Dresda con l’annientamento di ebrei, “zingari”, slavi ecc. perpetuato dai nazifascisti. Ma questa sarebbe un’aberrazione, qualcosa che non avrebbe senso né logico né storico.
Quello di profondamente sbagliato, in questi giorni, non è stato il ricordo ma l’oblio. Un “errore voluto” che ha permesso di tacere e occultare tutto quello che è venuto prima degli eccessi che vengono definiti “infoibamenti”.
Ci si dovrebbe chiedere perché sono successe tali brutalità. Si dovrebbero approfondire, in maniera adeguata e non utilizzando slogan propagandistici, i fatti storici evitando magari di fornire numeri e statistiche a vanvera (tempo fa Gasparri aveva parlato di un milione di italiani uccisi nelle foibe … una informazione palesemente falsa e ridicola se non si riferisse a tragedie vere).
E ci si dovrebbero porre almeno alcune domande.
Cosa abbiamo fatto noi italiani dalla fine della prima guerra mondiale in quei territori?
Durante il fascismo come ci comportavamo, noi italiani, verso le popolazioni slave?
Quali e quante brutalità abbiamo commesso noi italiani e quante persone abbiamo ucciso nei campi di concentramento e di sterminio che noi (si, proprio noi italiani) avevamo costruito?
Siamo stati veramente “brava gente” o, forse, siamo stati oppressori della peggior specie?
Perché ci siamo rifiutati di consegnare al governo jugoslavo i criminali di guerra che ci aveva chiesto di giudicare?
E perché, se non volevamo consegnarli, non li abbiamo giudicati (e condannati) noi in Italia?
Infine, chi ha acceso quel fuoco che è diventato un incendio difficile da estinguere?
Le risposte a queste domande non devono servire a giustificare alcunché ma potrebbero aiutarci a capire cosa sia successo e perché ci sia stato odio ed esasperazione che hanno portato a eccessi e tragiche vendette che, soprattutto col senno di poi, appaiono ingiustificabili.
Se, infine, nell’immagine di copertina si vedono soldati italiani fucilano partigiani jugoslavi nella foto che segue c’è la poesia su persone da infoibare presente nel libro di testo scolastico del 1925.
Bisogna precisare che la “cultura” della “foiba” non ha proprio una matrice di sinistra. Troviamo infatti in un libro di testo in uso nelle scuole della regione durante il ventennio fascista questa poesiola molto educativa:
De Dante la Favella
Mia mama m’ha insegnà,
Per mi xe la più bella
Che al mondo ghe xe sta.
E per difender questa
E sovenir la Lega
Convien che ognun s’appresta
A fare el suo dover.
O mia cara patria
Mio dolce Pisin,
Mio nono cantava
Co iero picin.
Me par de vederlo
Là in fondo al castel
Che sempre ‘l dixeva
A questo ed a quel:
Fioi mii, chi che ofende Pisin, la pagherà:
In fondo alla Foiba
Finir el dovarà.
P.s. ho recuperato questa lettera di Stojan Spetic (ex senatore PCI) a Mattarella sulle foibe E’ dell’anno scorso ma mi sembra molto utile e opportuna.
Sulle Foibe : Lettera di Stojan Spetic al Presidente della Repubblica Mattarella
Egregio Signor Presidente
della Repubblica italiana
on. Sergio Mattarella
Quirinale
Roma
Passata la “giornata dell’odio” di orwelliana memoria verrebbe la voglia di chiudersi in casa e lasciar decantare i rancori e la rabbia per le strumentalizzazioni e le falsità dichiarate in quest’occasione.
Il 6 agosto del lontano 1989 accompagnai il giovane Gianni Cuperlo, segretario della FGCI, in un suo pellegrinaggio pacifista e contro la violenza delle guerre partito dall’isola quarnerina di Arbe, dove in un campo di concentramento italiano morirono a migliaia, anche neonati, per poi continuare al Pozzo della miniera di Basovizza, cenotafio in ricordo delle foibe, e finire nella Risiera di san Saba, unico campo di sterminio con forno crematorio in territorio italiano, ancorché ceduto dai fascisti al III Reich di Hitler. In quell’occasione venne ribadito il no alla violenza cieca che a volte colpì anche qualche innocente.
Ci furono polemiche ed iniziative discutibili. Ne seguì, dopo la dissoluzione della federazione jugoslava, la costituzione della commissione mista italo-slovena che preparò un rapporto storico sulle vicende del confine orientale ma che l’Italia inaspettatamente non volle pubblicare. Era nel frattempo iniziato il periodo del revisionismo storico e della parziale riabilitazione dei “ragazzi di Salò”.
Poi si istituì per legge la Giornata del Ricordo, sostanziale contrappeso alla Giornata della Memoria, ridotta a semplice occasione per qualche sbrigativa cerimonia. Ormai da quindici anni subiamo ripetuti tentativi di fomentare l’odio contro i popoli vicini con accuse di “pulizia etnica” ed uccisioni di massa di persone “colpevoli soltanto di essere italiani”.
A questo coro Lei ha aggiunto la sua autorevole voce. Ma è proprio così? Il fascismo non c’entra? Era solo odio etnico? Mi permetta di segnalarle alcuni fatti incontrovertibili.
L’Italia fascista ha aggredito la Jugoslavia annettendosi la provincia di Lubiana, trasformata in una prigione a cielo aperto circondata da filo spinato. Nelle sue fosse ardeatine (Gramozna jama) l’esercito italiano fucilò in un solo mese più di cento ostaggi. In tutta la Slovenia ci furono stragi e fucilazioni indiscriminate di civili. Si legga la testimonianza del curato militare Pietro Brugnoli “Santa messa per i miei fucilati”.
In Montenegro fu peggio. Ma li decine di migliaia di soldati italiani decisero dopo l’armistizio di unirsi ai partigiani di Tito formando la divisione Garibaldi. Alle migliaia di caduti garibaldini venne eretto un monumento al quale solo il presidente Sandro Pertini rese omaggio.
In Istria la caduta del fascismo e l’arresto di Mussolini il 26 luglio 1943 provocarono una sollevazione dei contadini oppressi e dei minatori di Arsia. Vi furono uccisioni indiscriminate di possidenti terrieri, funzionari dello Stato, gabellieri ed esponenti fascisti, anche qualche vendetta personale. Furono infoibate alcune centinaia di persone.
Intanto i gerarchi fascisti sfuggiti alla “jaquerie” chiamarono da Trieste le truppe naziste. Per paura dei possibili delatori le uccisioni aumentarono. Complessivamente furono 400-500 in totale gli uccisi riesumati.
Ma i partigiani nel frattempo avevano anche salvato molte vite italiane. Pochi ne parlano, ma i partigiani sloveni, croati ed italiani fermarono a Pisino un treno bestiame pieno di soldati italiani diretto nei lager in Germania. Furono liberati, circa 600, e vestiti dalla popolazione con abiti civili affinché potessero raggiungere le loro case. Lo stesso successe in tutta la penisola istriana.
Poi arrivarono i tedeschi chiamati dai fascisti locali. La “Prinz Eugen Division” bruciò una ventina di paesi ed uccise 2500 persone. Mio padre, partigiano in Istria, venne ferito e curato dalla famiglia di colui che poi divenne il primo ambasciatore croato a Roma.
Nel maggio del ’45 le truppe jugoslave della IV Armata dalmata e del IX Korpus locale aiutarono i battaglioni di Unità operaia, lavoratori armati delle principali fabbriche e dei cantieri, a liberare Trieste assieme agli alleati neozelandesi. In quell’occasione alcune migliaia di persone vennero fermate per accertamenti. Gli elenchi erano stati evidentemente preparati dalla Resistenza locale. La gran parte venne rilasciata, mentre alcune centinaia accusate di vari crimini vennero passate per le armi. Nelle foibe del Carso triestino vennero inumati anche moltissimi soldati tedeschi caduti nelle battaglie attorno la città e che in seguito furono recuperati e trasportati al cimitero militare di Costermanno.
Sia a Trieste che a Gorizia vi furono, nella resa dei conti, anche vittime innocenti tra cui persino aderenti ai CLN italiani. Così come vi furono uccisioni da parte di criminali comuni che si fecero passare per partigiani. Scoperti vennero poi giustiziati dagli stessi jugoslavi.
E’ vero. La fine della guerra in tutt’Europa vide momenti di atrocità e di vendetta, ma non si può parlare di pulizia etnica o di uccisi “soltanto perché italiani”.
E’ inutile parlare di pace ed Europa se poi la complessità storica viene ridotta a semplificazioni spesso funzionali alla progressiva riabilitazione del fascismo ed attraverso questa dei suoi nuovi fenomeni razzisti, nazionalisti e revanscisti.
Io condanno le violenze gratuite e lo spirito di vendetta che si cerca di rinnovare in questi momenti difficili in cui il continente europeo è attraversato da rigurgiti pericolosi quanto antistorici.
Mi permetta, Signor Presidente, di osservare che le sue parole non aiutano certamente la collaborazione tra i popoli del Nord Adriatico, ne la conciliazione che può rafforzarsi soltanto nel ricordo della comune lotta contro il nazifascismo e per la libertà. Vicino a Fiume operò un battaglione di partigiani italiani, croati e sloveni che significativamente si chiamava “Fratellanza”. Vicino c’è il paese di Lipa dove tedeschi e fascisti uccisero, come a Sant’Anna di Stazzema, tutti gli abitanti, circa trecento, bambini compresi.
Non le chiedo di recarsi a Lipa o alle fosse ardeatine di Lubiana, e nemmeno all’isola quarnerina di Arbe. Per capire meglio la storia del confine orientale basterebbe che Lei visitasse il cimitero di Gorizia, dove giace Lojze Bratuž, mite cattolico e musicista, che nel 1936 a Podgora diresse canti in lingua slovena durante la messa natalizia. Due giorni dopo i fascisti gli fecero bere olio di macchina mescolato con benzina e frammenti di vetro per cui morì dopo un’atroce agonia durata settimane. Lasciò due bambini e la moglie, nota poetessa, che durante la guerra venne sadicamente torturata dai poliziotti dell’ ispettorato speciale di PPSS diretto dal commissario Gaetano Collotti, giustiziato dai partigiani veneti e poi decorato dalla Repubblica Italiana con medaglia d’argento per i “meriti acquisiti nella difesa dell’italianità del confine orientale”. L’on. Corrado Belci cercò inutilmente di farla revocare. La decorazione è ancora valida come quella al carabiniere che a Trieste uccise una ragazza, la staffetta partigiana Alma Vivoda. In compenso nessun riconoscimento andò al maresciallo dei carabinieri del comune di Dolina, vicino a Trieste, che durante un rastrellamento tedesco si rifiutò di indicare le famiglie di sentimenti partigiani. Venne caricato per primo sul camion che lo portò in Germania, da dove non fece ritorno. Venne respinta persino la proposta di intitolargli la locale caserma dell’Arma…
Vede, Signor Presidente, la legge istitutiva del Giorno del Ricordo fissa la data del 10 febbraio che invece dovrebbe essere una festa per ricordare la firma del Trattato di pace a Parigi nel 1947 quando 21 paesi della vittoriosa alleanza antifascista riconobbero, grazie alla Resistenza che la riscattò, l’Italia come paese cobelligerante e quindi parte della comunità dei paesi democratici e civili, mentre la Germania e l’Austria vennero divise in zone di occupazione militare. L’Italia perse i territori conquistati nella Grande guerra. Nei due paesi rimasero minoranze slovena ed italiana.
L’esodo degli italiani dall’Istria venne regolato anch’esso dal Trattato di pace. Fu comunque una tragedia per molti, come lo fu per gli sloveni ed i croati che nel primo dopoguerra dovettero emigrare per salvarsi la vita dalla violenza iniziata già coll’incendio della Casa nazionale degli sloveni a Trieste nel luglio 1920 cui seguì una dura repressione fascista.
La pace ed il riconoscimento dei rispettivi confini col Trattato di Osimo del 1975 gettarono le basi per una convivenza pacifica e la collaborazione in tutti i settori dell’economia, della scienza e della cultura con prospettive di sviluppo inattese, che il rivangare dei sentimenti di revanscismo e di odio possono inficiare.
Spero di averla fatta riflettere.
Ossequi.
Stojan Speti?, già senatore del PCI