Fondazione Roi, o dei tormenti. Quaderrni Vicentini: Zeffirino Filippi, altri campioni di vicentinità, e il caso Coviello – Zonin – Mantovani

1340
Zeffinino Filippi, Giovanni Coviello e Gianni Zonin
Zeffinino Filippi, Giovanni Coviello e Gianni Zonin
Quaderni Vicentini di Pino Dato, n. 3 2019
Quaderni Vicentini di Pino Dato, n. 3 2019

Il 12 luglio del corrente anno il dott. Matteo Mantovani, Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Vicenza, ha emesso la sentenza di condanna a carico del direttore responsabile di “VicenzaPiù”, l’ing. Giovanni Coviello, imputato d’aver offeso la reputazione dell’ex presidente della fu Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, e dell’ex consigliere d’amministrazione della stessa, già presidente dell’Associazione Industriali di Vicenza, Giuseppe Zigliotto (di Pino Dato, da Quaderni Vicentini n. 3/2019. Precedente articolo:Fondazione Roi e Zonin & Zigliotto, Quaderni Vicentini: dove sono finiti quegli ori, avori e quadri?).

La colpa? Aver pubblicato, nel novembre 2017, due articoli (il primo qui e qui il secondo, ndr)a sua firma con i quali chiedeva conto ai due amministratori bancari circa una presunta distrazione d’una “preziosa collezione di avori e quattro quadri” ad opera dell’ex dominus Zonin, oltre ad  un acquisto “a sotto costo” d’una altrettanto “preziosa collezione di monete d’oro” da parte di Giuseppe Zigliotto.

Ebbene, la notizia si basava su un verbale della Guardia di Finanza pervenuto da fonte ignota al direttore di “VicenzaPiù”.

Argomenti di “puro sospetto”, i suoi, peraltro alimentati in modo piuttosto corposo dalla testimonianza resa alla Guardia di Finanza dall’ex componente il Cda della BPVi, Zeffirino Filippi, e dai ricordi dell’ex governante di casa Roi, la signora Gabriella Ceranto, attorno alla quale, per la nota fedeltà al marchese vicentino, ruotavano tutti gli accadimenti quotidiani. Non c’era nulla che lei, e l’altrettanto fidato “braccio destro” del marchese, il rag. Filippo Neri, non sapessero. Entrambi sempre pronti a consigliarlo con il dovuto rispetto, anche quando il parere non era richiesto.

Zeffirino Filippi, detto “Ceo”, è una persona nota a Vicenza

Uomo legato alla Diocesi, già presidente dell’ACI, già presidente della Lega contro i Tumori, già presidente dell’Università della Cucina, acceso sostenitore dello sport automobilistico, “uno che, se muore un grande dell’automobilismo, Franco Pepe va subito a chiedergli se lo conosceva bene. E lui puntuale dice che sì, lo conosceva bene.”

Anche Vicenza ha avuto (negli anni “zoniniani”) il suo “salotto buono” e Zeffirino Filippi ne rappresentava la quintessenza.

Un magistrato vicentino, che ha fama d’essere parsimonioso, lineare, dalla chiara pensata in punto di diritto penale, necessariamente cultore di quello libresco, ma vivo, che non si distacca mai dal metabolismo sociale delle figure giuridiche positive, ebbe l’ironica audacia d’attribuirgli una “immutabilità di tratti quasiminerale….”, forse per la sua coinvolgente semplicità nei tratti bonari, che la fotografia riprodotta ben rappresenta, sovente sconfinanti in una solo apparente ingenuità, nonché nel pensiero scarno e schietto che lo fa talvolta percepire traboccante d’idee. Ma il pur erudito magistrato non aveva fatto i conti con la duttilità, non solo l’energia, che l’uomo sapeva sprigionare.

Il buon Filippi si faceva vanto di non aver mai fatto un intervento nelle sedute del consiglio d’amministrazione della banca in ben 17 anni di permanenza, “ma non ce n’era bisogno, perché Gianni, il presidente, fa sempre il meglio e il massimo per la Banca e quel che decide è ben fatto”.

E aggiungeva: “Io non sono come alcuni che intervengono per piaggeria: sto zitto”. Infatti, di suoi interventi la Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea non troveranno mai traccia.

In compenso, si dimette un certo giorno dal Consiglio d’Amministrazione della BPVi – si apprende con stupore ed incredulità – a causa di “non condivise vedute strategiche”, e rilascia dichiarazioni a verbale della Guardia di Finanza che hanno “contribuito a concretizzare alcune accuse su alcuni valori (quadri e avori) che il marchese Roi aveva conferito alla Fondazione e che poi avrebbero preso altre vie….”

Nel maggio 1991, con la sua “Aurora Ristorazione”, società di catering alimentare innovativa per quei tempi, riuscì ad accaparrarsi le forniture per la 64^ Adunata Nazionale degli Alpini a Vicenza. Così pure qualche mese dopo, quando inanellò un altro ben più ambito risultato: la visita del Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II, alla Diocesi di Vicenza.

Era il settembre del 1991. “Regnavano” mons. Pietro Nonis e Achille Variati, per la sua prima esperienza da sindaco della città capoluogo. Un’esplosione di fatturato per la ditta di ristorazione targata “Ceo Filippi”. Il miglior ritorno pubblicitario fu, come si può immaginare, servire Karol Józef Wojty?a, il pontefice polacco, oggi Santo, durante la sua permanenza a Vicenza, sia in Diocesi che nella meravigliosa cornice di Monte Berico dove ebbe a pernottare.

“Ceo” Filippi, che abita a qualche centinaia di metri dalla Basilica, non dormì per notti intere. Soddisfazione e adrenalina “alle stelle”.

Quest’uomo semplice, portato a fraternizzare costantemente, incline al convivio, da sempre custode severo del verbo zoniniano, dichiaratamente assente nel contraddittorio tecnico-strategico, inspiegabilmente dissente dal capo non condividendo scelte strategiche. Stupisce questa presa di coscienza, giunta dopo ben diciassette anni dalla sua elezione.

La denuncia di Barbara Ceschi a Santacroce

Nel marzo 2017 la Guardia di Finanza di Vicenza invia un rapporto investigativo alla locale Procura della Repubblica dov’è incardinato un procedimento penale conseguente alla denuncia presentata dalla nipote del marchese Roi, Barbara Ceschi a Santacroce, concernente presunte distrazioni “in favore di persone diverse dagli eredi, di beni mobili facenti parte del patrimonio di proprietà del defunto marchese Giuseppe Roi e destinati per volontà testamentaria alla Fondazione Giuseppe Roi.”

Gli elementi informativi dei quali la Guardia di Finanza era entrata in possesso si basavano sulla denuncia della nipote del nobile mecenate vicentino, ma trovavano riscontro essenzialmente nella testimonianza della governante di casa Roi ed in quella resa da Zeffirino Filippi.

Il “Ceo” Filippi, soprattutto, dichiarava che alcuni “beni mobili – in particolare risalenti al XVIII e XIX secolo – …sarebbero custoditi presso una delle abitazioni di Giovanni Zonin, sita in Gambellara (VI), paventando così che lo stesso ex Presidente del C. di A. della BPVi possa aver sottratto indebitamente i beni dal patrimonio testamentario del defunto marchese.”

Questa affermazione sarebbe confermata“dagli altri soggetti sentiti in atti”.Filippi rievoca le cene a casa Zonin e riferisce in ordine a “quattro quadri risalenti al ‘700 e ‘800 che non avevo mai visto prima”nei precedenti incontri a casa dell’ex presidente Zonin.

Ma la Guardia di Finanza va oltre. Dalla testimonianza dell’ex consigliere d’amministrazione della banca Filippi sarebbero emersi “ulteriori elementi informativi di sicuro interesse investigativo, supportato, in parte, dalla signora Ceranto Gabriella, riguardante, nello specifico, una collezione di monete d’oro di grande valore, presumibilmente “acquistate” ad un prezzo molto inferiore al loro reale valore, dall’ex consigliere della BPVi, Zigliotto Giuseppe”.

Zeffirino Filippi racconta d’una riunione del Consiglio d’amministrazione della BPVi durante la quale “il presidente Zonin ha presentato una richiesta di acquisto, da parte del consigliere Zigliotto, di tutta la collezione di monete. Il prezzo presentato era di 500 mila euro.”

Quindi, se si capisce bene, questa “collezione di monete d’oro” esisteva. Non solo. La governante di casa Roi afferma che una parte di questa collezione di monete d’oro era stata acquistata dalla BPVi e la rimanente era previsto venisse devoluta, alla morte del marchese “Boso” Roi, alla stessa governante e ad altri due legatari.

Queste erano le originarie volontà del marchese Roi contenute in un primo testamento “redatto dal de cuius unitamente al ragionier Neri di Vicenza (amministratore del patrimonio del marchese Roi ed ex esecutore testamentario)”.

Il ragionier Filippo Neri, è morto nel 2014. Amministrava il patrimonio del marchese con estrema oculatezza. Il suo proporsi non passava inosservato perché si caratterizzava per gentilezza, bonarietà, una grande empatia. Pacato nell’esporre, risultava sempre convincente con argomentazioni che trasudavano cultura, conoscenza.

C’è quindi da presumere che quelle richieste in acquisto dal dott. Zigliotto Giuseppe, secondo la testimonianza del suo ex collega di CdA Zeffirino Filippi, fossero quelle di proprietà della BPVi, perché non c’è ragione di credere che venisse portata all’ordine del giorno di un consiglio d’amministrazione della BPVi una possibile alienazione di beni mobili di proprietà altrui, pur considerando le interessenze tra la BPVi e la Fondazione Roi strettamente legate alle nomine dei componenti il consiglio d’amministrazione di quest’ultima, ma non alla sua autonoma gestione.

C’è quindi da presumere, stante le affermazioni della governante di casa Roi, che di due lotti di monete d’oro si debba trattare e che se uno ha preso la strada della BPVi, attraverso una regolare vendita, l’altro dovrebbe essere rimasto nel perimetro del patrimonio del marchese Roi e, quindi, debitamente inventariato.

Ecco perché la Guardia di Finanza bene ha fatto nel proporre alla Procura della Repubblica di Vicenza l’emissione d’un decreto d’acquisizione documentalenei confronti della Fondazione Giuseppe Roi. Ciò al fine di eseguire un riscontro analitico e senza mettere in dubbio l’onestà dei componenti il CdA della Fondazione o del suo consigliere delegato a seguire la successione del marchese, il dott. Sergio Porena, già prefetto di Vicenza, già probiviro della Banca Popolare di Vicenza che, al pari di altri personaggi in vista nella Pubblica amministrazione e nella Giustizia, sono approdati a suo tempo alla corte di Zonin.

“Zonin, come sempre nella sua vita, ha fatto le cose in grande anche quando si è trattato di comporre i cda di fondazioni e controllate” scriverà il giornalista Franco Vanni de ‘La Repubblica’, riferendosi a prefetti e ambasciatori, per poi aggiungere: “Il prefetto è Sergio Porena, rappresentante degli Interni a Vicenza fra il 1989 e il 1991, e già probiviro di BpVi. Zonin gli apre le porte del cda della Fondazione Roi, di cui lui stesso è presidente. Il diplomatico è Sergio Vento, già ambasciatore a Parigi, ingaggiato da Zonin come vice presidente di Nord Est Merchant Due, società di risparmio gestito di BpVi. Nulla di straordinario”.

Ma delle conclusioni istruttorie non se n’è più saputo nulla.

Nel frattempo Zonin e Zigliotto querelano Giovanni Coviello, che rimedierà una condanna per diffamazione.

I vicentini si interrogano. Cornuto e mazziato? Beh, sì, visto il risultato. Ma se l’ingegnere Coviello ha diffamato, è possibile capire se la denunciante la distrazione dei preziosi quadri antichi e della collezione di altrettanto preziose monete d’oro, Barbara Ceschi a Santacroce, era nel giusto?

Inoltre, è possibile sapere se i testimoni ascoltati dalla Guardia di Finanza hanno fornito riscontri tali da sostenere l’accusa di distrazione di parte del patrimonio del defunto marchese Roi?

In altre parole che la collezione di quadri antichi e quella ugualmente preziosa di monete d’oro siano esistiti non ci sono dubbi, e che delle stesse non se ne trovi traccia, idem.

È bizzarro il fatto che Gianni Zonin, interrogato dal giudice Mantovani, ne abbia negato l’esistenza. Ma l’ex presidente BPVi rispondeva al giudice come querelante, non come testimone, e dunque non giurò “di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità” (in effetti Zonin da testimone anche se querelante ha testimoniato giurando…, ndr) . Se Giovanni Coviello non avesse chiesto il rito abbreviato, l’iter giudiziario sarebbe stato diverso. Sia Zonin, che Filippi, che Barbara Ceschi a Santacroce, che Porena, che Zigliotto, che la brava Gabriella Ceranto avrebbero potuto (e dovuto) essere sentiti come testimoni. E avrebbero giurato. Monete e quadri sarebbero emersi dall’oblio.

Non c’è pace per il marchese Giuseppe “Boso” Roi che, ne siamo certi, aveva immaginato tutt’altra pubblicità per il suo mecenatismo. Tanto in vita ha dato lustro e luce, quanto da morto ha creato ombre, ambiguità, sospetti.

Di male in peggio. E al peggio, come l’esperienza insegna, spesso non c’è mai fine.

di Pino Dato, da Quaderni Vicentini n. 3/2019