Il governo italiano incapace di spendere i Fondi strutturali europei 2021-27: questa l’apertura odierna de Il Sole 24 Ore. In un articolo firmato da Giuseppe Chiellino, il quotidiano economico fa i conti e tratteggia le cause di questo forte ritardo
Quanto alla prima questione, vengono riportati i dati del Dipartimento per le politiche di coesione allegati al Documento di economia e finanza recentemente consegnato al Parlamento: “Al 31 dicembre 2023 risultavano attivati progetti per 4,8 miliardi di euro, meno del 6,5% degli oltre 74 miliardi complessivi del Fondo di sviluppo regionale (Fesr) e del Fondo sociale plus (Fse+) per il periodo 2021-2027“, si legge.
Inoltre, di quei 4,8 miliardi di euro, soltano lo 0,7% è stato finora pagato: appena 535 milioni e – annota l’autore del pezzo – bisogna ringraziare le regioni italiane, quelle più sviluppate, che sono riuscite a spendere mentre i programmi gestiti dai ministeri sono fermi a zero.
Questa situazione spalanca le porte al “disimpegno” delle risorse la cui disponibilità è legata appunto al loro effettivo utilizzo. In sintesi è difficile che in questi 3 anni l’Italia riuscirà a spendere il restante 99% delle somme, come del resto è anche difficile che si riesca a centrare l’obiettivo fissato a fine 2025 di 7 miliardi di euro di spesa, indispensabile per scongiurare il disimpegno automatico. Una bella grana, insomma, per il ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto.
Sul tavolo c’è una proposta del governo per accelerare la spesa: ovvero, la riforma della politica di coesione nazionale che Fitto stesso ha lodato e che avrebbe dovuto essere approvata entro marzo.
Il “Sole” poi spiega i motivi per i quali l’attuazione non va avanti: “Alle cause storiche che rallentano la spesa dei fondi strutturali europei in Italia, dai ritardi iniziali dei regolamenti europei alla debole capacità amministrativa di enti locali e ministeri, ai tempi biblici per le opere pubbliche (dieci anni per quelle oltre 100 milioni di euro), se ne sono aggiunte almeno altre due.
La prima, prevista, è l’effetto “spiazzamento” provocato dalle sovrapposizioni con il Pnrr da 194 miliardi più i 30,6 del piano complementare: da un lato impegnano e stressano il lavoro già difficile delle amministrazioni e dall’altro portano via progetti ai fondi strutturali.
La seconda, che per qualche addetto ai lavori è più rilevante, sono gli accordi per la coesione tra ministero e regioni voluti da Fitto. Da settembre a oggi ne sono stati firmati 17, tutti – a memoria – alla presenza della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dando un giusto rilievo mediatico a questa politica redistributiva. Solo ieri, però, sono stati approvati dal Cipess. Ora è necessaria la registrazione della Corte dei conti. E mancano all’appello Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia: le tre regioni con la dote maggiore del Fondo sviluppo e coesione la cui erogazione si sblocca solo con questi accordi. Si tratta di risorse a loro volta necessarie per assicurare il cofinanziamento obbligatorio dei fondi europei. Senza le risorse del Fsc molte regioni non possono garantire il cofinanziamento e ciò ha contribuito finora a bloccare la spesa. Presentarsi con una spesa irrisoria al confronto europeo sul nuovo bilancio comune post 2027 (già iniziato) non è un buon biglietto da visita”.
Fonte: Il Sole 24 Ore