Lombardia über alles… Le giravolte e le quattro D di Attilio Fontana

248
Fontana con Salvini e Zaia
Fontana con Salvini e Zaia

Le proposte/decisioni di Attilio Fontana sul “che fare” in Lombardia tra qualche settimana dovrebbero suscitare un senso di imbarazzo. Il presidente regionale lombardo (non si capisce perché ci si ostini a chiamare lui e gli altri presidenti “governatori” quasi le regioni fossero veri e propri Stati… forse per scopiazzare l’impero di oltre atlantico) vuole riaprire tutto il 4 maggio (tutte le attività, sì, tutto).

Naturalmente Fontana dice di volerlo fare con le “quattro D” (mai lasciarsi scappare qualcosa che assomiglia a una rèclame, vero?): Distanza, Dispositivi, Diagnosi e Digitalizzazione. Salvini applaude e dà il via alla proposta (forse un “vai preventivo” al quale è seguita la proposta di Fontana?). Il presidente del Veneto, Luca Zaia si accoda (e qua sorge il dubbio che ci sia una specie di ordine di scuderia leghista … come diceva un Politico importante qualche tempo fa “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”) chiedendo di riaprire tutto anche prima del 4 maggio.

Il governo, logicamente, è perplesso. E dovremmo esserlo tutti. Perplessi e sconcertati. Ma come? Fino a un paio di giorni fa, Fontana invocava e imponeva misure più restrittive anche rispetto a quelle nazionali e adesso, invece, bisogna “ripartire”, “riaprire” il massimo possibile di attività. Invoca l’inizio della “Fase 2”, il toccasana di tutti i mali. Lo fa nonostante i dati della pandemia di Covid-19 proprio in Lombardia non siano certo entusiasmanti. Sono, anzi, i peggiori tra le regioni italiane.

La cosa che potrebbe essere buffa ma è decisamente inquietante è che, dopo le prime “perplessità nazionali”, Fontana ha dichiarato di essere stato frainteso. Un passo indietro? Mah … forse no, visto che dopo qualche ora è ritornato a chiedere la riapertura di tutto con le “quattro D”: Distanza (un metro di sicurezza tra le persone), Dispositivi (ovvero obbligo di mascherina per tutti), Digitalizzazione (obbligo di smart working per le attività che lo possono prevedere) e Diagnosi (dal 21 aprile inizieranno i test sierologici grazie agli studi in collaborazione con il San Matteo di Pavia)”).

Forse ci stiamo abituando alle varie giravolte di vari esponenti leghisti che, probabilmente (è un dubbio più che legittimo), seguono la politica dell’essere sempre e comunque contro le decisioni del governo centrale. A prescindere.

Ma non è, forse, strano sentire questi amministratori (sic) regionali (presidenti e assessori) continuare a sentenziare quasi sapessero cosa succederà … e non risulta fastidiose che a emettere profezie e proporre qualcosa siano proprio “lorsignori” che non sembra abbiano gestito bene (e neppure in maniera sufficiente) l’emergenza coronavirus.

Che fiducia si può concedere loro? Il dubbio che sorge è che, forse, “lo vuole Confidustria” alla quale è meglio ubbidire. Ma questi amministratori (sic) sapranno o vorranno controllare qualcosa (proprio le quattro D”) o lasceranno fare a “lorpadroni” fidandosi di un’autocertificazione o di qualche “raccomandazione”? Che garanzie possono dare riguardo, per esempio, l’esistenza e l’uso di dispositivi idonei se non riescono a fornirli neppure al personale che sta lottando in prima linea contro il contagio negli ospedali, negli ambulatori, nelle RSA?

Visto come hanno affrontato l’emergenza non sarebbe stato più logico (e anche in un certo senso “elegante”) ammettere di non essere stati in grado di prevedere né di agire efficacemente contro l’epidemia? Ammettere i proprio errori o le incapacità (o qualcosa d’altro) sarebbe utile oltre che necessario.

Ma l’autocritica non li tocca, anzi. L’assessore regionale lombardo Gallera si scaglia contro l’opposizione e scrive “…Assisto poi disgustato a molteplici azioni di gigantesca deformazione della realtà e di sciacallaggio politico e mediatico … Abbiamo vissuto qualcosa di pazzesco Ci siamo trovati a dover prendere decisioni immediate per problemi giganteschi. Senza consultare un avvocato, scegliendo sempre per salvare la vita alle persone. Il senno di poi è un gioco facile per chi è rimasto a guardare. Noi eravamo in trincea, e lo siamo ancora.

Peccato che le critiche più severe all’operato dell’amministrazione regionale siano venute dai medici che hanno scritto una lettera indirizzata proprio all’assessore e che in trincea, loro, c’erano eccome. Ma questo, evidentemente, non importa, basta alzare un polverone, affermare di essere le vittime di “sciacalli” e tutto viene perdonato. Strana maniera di “fare politica”.

L’improvvisazione e il palleggiamento di responsabilità, l’abbiamo toccato con mano, crea disastri. Riaprire le attività produttive (senza deroghe, né autocertificazioni, né silenzio-assenso) si può fare se la sicurezza di chi lavora viene garantita al massimo livello. Tornare al lavoro non può significare doversi ammalare e rischiare di morire ma essere sicuri di tornare a casa in salute (cosa che “lorpadroni” non garantiscono neppure in tempi normali … ma già lorsignori hanno obiettivi diversi e per loro “più importanti” della salute degli altri).

Ci vogliono regole precise e controlli seri, senza distinguo né giustificazioni. Non ci si può fidare né di chi non ha previsto, né di chi non ha controllato, né di chi ha contribuito a depotenziare la sanità pubblica, né di chi pensa solo al profitto di impresa. Devono essere i lavoratori (con le loro organizzazioni e i loro rappresentanti) che in prima persona rischiano la vita, a controllare che il lavoro sia sicuro.

Nessuna delega a nessun altro soggetto, questa è l’unica garanzia possibile. Ricordiamoci comunque che prima viene la salute e la vita di lavoratrici e lavoratori, poi tutto il resto (e, per ultimo, l’eventuale profitto di lorpadroni).


Clicca qui se apprezzi il network VicenzaPiù: #iorestoaacasa tanto viene #vicenzapiuacasamia

#iodacasapensoatuttinoi: scrivi a cittadini@vipiu.it storie ed emozioni belle per un libro anche tuo dopo il Coronavirus

Clicca qui per la situazione ora per ora sul Coronavirus e qui per tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)

Articolo precedente“Posto ergo cogito?” n. 2, la web (dis)informazione nel e sul video di Solenghi: la storia, il negazionismo e la semplificazione
Articolo successivoWar Room di Enrico Cisnetto con Pier Andrea Chevallard, Marco Gay e Stefano Quintarelli: dopo il Coronavirus la digitalizzazione
Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.