Foodora, sfruttati e sfruttatori

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La notizia (cfr. ANSA – 11 aprile 2018 ore 18.57) è che “il Tribunale del lavoro Torino ha respinto il ricorso, primo del genere in Italia, dei sei rider di Foodora che avevano intentato una causa civile contro la società tedesca di food delivery, contestando l’interruzione improvvisa del rapporto di lavoro dopo le mobilitazioni del 2016 per ottenere un giusto trattamento economico e normativo.” In questa notizia c’è l’esempio di cosa sia diventato il nostro paese nelle questioni del lavoro e c’è, anche, la dimostrazione plastica che il lavoro è sfruttamento e che gli sfruttati non hanno, ormai, nessun diritto.
Questa decisione del Tribunale del lavoro di Torino è grave perché crea un precedente secondo il quale il lavoro non è più un diritto, che, il lavoro, non deve essere garantito, sicuro e giustamente retribuito, ma diventa qualcosa a discrezione dello sfruttatore che decide se, quando e quanto retribuirlo. È lo sfruttatore (si finisca di chiamarlo “datore di lavoro” ma si ritorni a definizioni più realistiche) che decide tempi e modi; che usa l’arma del ricatto per ottenere quello che vuole. E lo sfruttatore, nel sistema capitalista trionfante, non può e non deve essere condannato, neppure giudicato. Gli sfruttati vengono considerati “lavoratori autonomi” ed è fatta. Vengono “messi alla pari” con il padrone. Diventano quasi “imprenditori”. Non importa se vengono pagati pochi euro per l’attività imposta dal padrone. Non importa se i turni che devono fare sono alienanti e inumani. Non importa se vengono “licenziati” se osano protestare perché non accettano condizioni prossime alla schiavitù. No. Sono loro, gli sfruttati, i colpevoli. Colpevoli di cercare di sopravvivere. Colpevoli di chiedere i diritti normali che sono sanciti dalla nostra Costituzione. Colpevoli di non piegarsi alla volontà del padrone e non sottostare a qualsiasi suo capriccio.

Attenzione. La decisione del Tribunale del lavoro di Torino permetterà agli sfruttatori di qualsiasi tipo di fare quello che vorranno. Non ci saranno più freni nello sfruttamento di chi vive del proprio lavoro. Saranno costretti a subire qualsiasi angheria se vorranno sopravvivere.

Attenzione. Un paese dove gli sfruttatori non vengono perseguiti, dove si continua a morire di lavoro e nessuno viene giudicato responsabile perché la sicurezza nel lavoro è considerata un costo, dove i padroni possono inquinare quanto, dove e come desiderano perché altrimenti perdono competitività, è un paese malato, profondamente incivile.

Subire e chinare la testa non porta a nulla. Pensare di farcela in maniera individuale significa essere ininfluenti. Rassegnarsi allo stato di cose presente è dichiararsi sconfitti e rinunciare alla propria dignità. Bisogna capire che la lotta di classe esiste, che esistono sfruttatori e sfruttati. Che gli sfruttati possono perdere la propria debolezza solo unendosi. Che è necessario ribellarsi e lottare ogni giorno.

L’autore Giorgio Langella è anche segretario regionale PCI Veneto

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.