Prima o poi tutti coloro i quali, politici o tecnici che siano, arrivano in Viale Trastevere a Roma ad occupare la calda poltrona del Ministro della Pubblica Istruzione si prendono la briga di mettere mano e cercare di risolvere una volta per tutte, perlopiù senza successo, la questione della formazione dei docenti e della connessa problematica della valutazione meritocratica di questo strano corpo burocratico dello Stato.
Senza dover necessariamente risalire ai tempi che furono di Giovanni Gentile, ministro e filosofo fascista che inaugurò circa un secolo fa una riforma scolastica che grossomodo rimane quasi totalmente ancora in piedi, se non per gli aspetti meramente organizzativi della scuola, potremmo far riferimento, quantomeno, al varo, da parte del Governo di Matteo Renzi con il Ministro Stefania Giannini, della Legge 107/2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, perché fu in quel frangente che per la prima volta si cominciò a parlare di “formazione obbligatoria” per i docenti e di “valutazione del merito”.
Diciamo subito che dal 2015 ad oggi chi aveva premura di formarsi si è di sicuro formato, senza che questo generasse immediatamente un riconoscimento di merito da parte dell’istituzione scolastica, mentre chi non lo ha fatto ha continuato ad occupare la propria posizione lavorativa e ha conservato il suo stipendio. Diciamo, inoltre, che quel gruzzoletto di fondi, una sorta di surplus destinato alla valorizzazione del merito, gestito sostanzialmente dal Dirigente, circostanza che aveva fatto pensare ad una gestione sceriffesca della scuola, dopo essere stato utilizzato per rimpinguare le tasche dei suoi fidi collaboratori su cui grava, bontà loro, tutta la macchina organizzativa della scuola, è stato abolito nel 2020 in piena pandemia, quando eravamo preoccupati per altre questioni.
Non poteva ora mancare il Ministro Patrizio Bianchi, soprattutto per il suo piglio economicistico ed efficientistico, di tornare sulla questione della formazione dei docenti, aggiornamento e, di conseguenza, della valutazione meritocratica con una riforma per decreto, il n. 36 del 30 aprile 2022 “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, che ha portato già allo sciopero del 30 maggio, indetto dalle principali sigle sindacali, compresi i confederali, che finora avevano sonnecchiato, con un’adesione del 18% del personale scolastico.
Uno degli aspetti più spinosi della questione riguarda ciò che è contenuto al Capo VIII, “Istruzione”, art. 44, “Formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole secondarie” del Decreto, il quale introduce alcune modifiche al Decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 59 e, in particolare, aggiunge l’art. 16-ter, relativo, appunto, alla formazione e alla valutazione dei docenti.
Noi avevamo già avanzato dubbi in merito all’invadenza del settore privato in ambito pubblico e, per di più, con carattere e finalità formative, invadenza che il Decreto, di fatto, continua a legittimare. Tuttavia, a scanso di equivoci, vorremmo ribadire che uno dei nodi cruciali su cui si gioca lo sviluppo di ogni professionalità – compresa quella dei docenti – è proprio quello relativo alla formazione e all’aggiornamento, anche e soprattutto se in gioco ci sono la possibilità di una non ben definita progressione di carriera e un meccanismo premiale, un abbozzato sistema di valutazione del merito, capace però di introdurre una discriminante, che potrà essere usata anche in modo ideologico, tra il docente bravo e il docente non bravo, per non dire cattivo.
Ora, il punto è che se con la Legge 107/2015 «la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale», ma «le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche», l’architettura ideologica prevista dal Ministro Bianchi introduce surrettiziamente una struttura “altra” ed “esterna” alla singola istituzione scolastica, una struttura che non tiene conto dell’autonomia di ogni scuola.
E così nasce con il Decreto n.36 la Scuola di Alta Formazione del sistema nazionale pubblico di istruzione, posta sotto «la vigilanza del Ministero dell’istruzione», il quale indica al Capo del governo il Presidente da nominare. Tale Scuola collabora con altri due enti, l’INVALSI e l’INDIRE, che a nostro avviso erano già più che sufficienti con le loro piattaforme, come quella dello svolgimento dell’anno di prova per l’accesso ai ruoli, nell’organizzare percorsi per docenti, su cui poi i docenti dovranno articolare percorsi di verifica da sottoporre a valutazione.
È chiaro, almeno a noi, che l’architettura neoliberista, calata dall’alto, verso la quale questo Governo sta traghettando la scuola, a partire dall’indottrinamento dei suoi docenti, rasenta quella che il sociologo Luis Althusser definiva Apparato ideologico di Stato, vale a dire una struttura istituzionale mediante la quale viene veicolata una ideologia, che è quella neoliberistica del delirio ossessivo efficientistico, e su cui poi lo Stato, attraverso enti di cui le nomine restano sempre oscure, si assume l’onere della valutazione, del discernimento, della collocazione al di qua o al di là della linea di demarcazione tra buono e cattivo dipendente.
La cosa che più ci rammarica è che ciò accade, come ammoniva Althusser nel 1970, nella totale noncuranza di coloro i quali sono presi all’interno di questo sistema ideologico di Stato che si va realizzando attraverso la scuola: «E quanti sono (la maggioranza) quelli che non sono nemmeno sfiorati dal dubbio circa il “lavoro” che il sistema li costringe a svolgere, o peggio, quelli che mettono tutti se stessi, il loro ingegno a compierlo con piena coscienza (i famosi nuovi metodi)! Sono così lontani dal dubitare che contribuiscono, con la loro stessa abnegazione, a perpetuare ed alimentare questa rappresentazione ideologica della scuola, che rende oggi la scuola “naturale” e indispensabile, e persino benefattrice per i nostri contemporanei»[1].
[1] L. Althusser, Ideologia ed apparati ideologici di Stato, in M. Barbagli, Scuola, potere e ideologia, il Mulino, Bologna 1972, pp. 35.
Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.
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a cura di Michele Lucivero
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