Formazione per giornalisti, ma non solo. Primopiano è una cooperativa giornalistica nata nel 2003 e attiva come service editoriale per importanti testate nazionali. Fiore all’occhiello di questa realtà è l’area formazione rivolta in particolare a giornalisti, comunicatori, ma anche a professionisti e aziende. Ogni anno la cooperativa – accreditata dal 2015 come ente formatore terzo dall’Ordine nazionale dei giornalisti – organizza presso la propria sede di Milano numerosi corsi in aula sempre molto apprezzati.
Da quest’anno la società ha deciso di proporre la propria formula di formazione anche in altre città e, come debutto, grazie all’interessamento di VicenzaPiù, ha scelto proprio la nostra città. Il primo corso, a cui i colleghi giornalisti iscritti all’Ordine dei Giornalisti potranno iscriversi gratuitamente tramite la piattaforma Sigef (info per i non giornalisti scrivendo a corsi@primopiano.it o a info@vipiu.it) sarà il 25 febbraio, dalle 15 alle 19, presso la sede di Apindustria Vicenza in Galleria Crispi 45 e ha come titolo: “Fact checking, tool pratici e deontologia contro le fake news”.
Un argomento sicuramente di interesse per gli operatori dell’informazione e sul quale la nostra testata da sempre si batte per far emergere la verità anche in situazioni scomode. È per questo motivo che VicenzaPiù, in collaborazione con studio dell’avv. Sergio Calvetti di Treviso, per celebrare al meglio il 13° anniversario della testata (il n. 1 è del 25 febbraio 2006 in allegato a un altro settimanale per poi diventare autonoma da agosto 2008) ha pensato di offrire gratuitamente questo corso a tutti.
Ai partecipanti giornalisti verranno attribuiti sei crediti deontologici nell’ambito della formazione professionale continua.
Abbiamo, quindi, intervistato Filippo Tramelli, giornalista e responsabile formazione di Primopiano, oltre che relatore, insieme all’avvocato Marisa Marraffino, nel corso del 25 febbraio.
Di cosa parlerete nel corso su fake news e fact checking?
Nell’epoca della cosiddetta “post-verità”, del proliferare quotidiano delle fake news, del click baiting e dell’omologazione delle notizie non verificate, insieme all’avvocato Marraffino mostreremo come ci si può orientare online e offline per non cadere nella trappola della disinformazione e come difenderci nel caso in cui ne fossimo stati vittime. Dopo una breve panoramica per inquadrare il problema, verrà mostrato il quadro deontologico e il riferimento normativo legato al fenomeno, i reati annessi e gli strumenti (anche gratuiti) che il web offre per verificare le fonti e i contenuti generati dagli utenti.
Come mai avete scelto Vicenza per questo evento di formazione?
Abbiamo volentieri accettato l’invito del vostro direttore, Giovanni Coviello, che ha partecipato a diversi workshop nella nostra sede di Milano. Ci siamo conosciuti un paio di anni fa e grazie a lui abbiamo scoperto la vostra realtà di editori multimediali in prima linea sul territorio. La sua disponibilità, intraprendenza e sensibilità su un argomento così importante e delicato ha reso possibile il concretizzarsi di questo corso in una città per noi ancora da esplorare sul fronte formativo. Fondamentale quindi è stata la volontà e la proficua collaborazione di VicenzaPiù che si è unita al nostro interesse per portare la formazione in altre città oltre a Milano e ha reso possibile la gratuità del corso del 25 febbraio (aperto a tutti e valido 6 crediti deontologici per la formazione professionale dei giornalisti).
Contro le fake news tempo fa la polizia aveva inserito sul proprio sito un sistema di segnalazione, cosa ne pensa?
È un segnale positivo, ma purtroppo spesso i tempi delle istituzioni e della giustizia non riescono a bloccare tempestivamente la notizia falsa o diffamatoria sui social. La polizia può agire lì dove c’è un reato, chiudere i siti accusati di truffa, odio razziale, diffamazione. Ma non sempre può agire su Facebook o su altri social. Nel tempo di una indagine, l’utente può aprire tranquillamente un’altra pagina e continuare a diffamare o a turbare l’ordine pubblico indisturbato. È evidente che la questione non è così semplice. E che le soluzioni adottate fino ad oggi difficilmente raggiungono l’obiettivo in tempi brevi.
Esiste davvero una emergenza italiana per le fake news in Rete?
Forse è troppo parlare di emergenza visto che le bufale ci sono sempre state, ma sicuramente è un fenomeno diffuso che va arginato, non solo in Italia. Di certo problemi ci sono anche quando poi il cittadino si trova davanti alle urne. È un suo diritto essere informato correttamente per esprimere liberamente il proprio diritto di voto. Purtroppo oggi conta di più il verosimile rispetto al vero e se una persona di media cultura si trovasse davanti a una notizia palesemente falsa, che però è in linea con il proprio pensiero, le crederebbe comunque. Siamo al relativismo estremo in cui la luce della verità non conta più.
La soluzione migliore secondo lei potrebbe essere quella di dare una identità fisica agli utenti della rete?
Il problema è serio e complesso. In ballo ci sono la libertà di informazione e il suo contraltare, il reato a mezzo social network. Sono convinto tuttavia che dare a Internet una interfaccia il più possibile verificata per l’utente sia oggi una necessità. Ad esempio anche identificandolo con il codice fiscale. Questo toglierebbe il paravento della realtà virtuale, scaricando le conseguenze nel mondo reale: se anche solo un like diventasse istigazione alla violenza e fosse rintracciabile attraverso il codice fiscale di chi ha aperto l’account, scatterebbe in modo automatico la responsabilità di ogni “gesto” in rete. Gli strumenti per verificare la falsità o meno di una notizia o di un account sono accessibili. È la volontà che manca.
Come dice l’amico Daniele Chieffi, chi scrive sui social sperimenta il cosiddetto “effetto abitacolo” che si verifica ad esempio all’interno della nostra auto quando per strada insultiamo gli altri automobilisti. Chi getta odio e fango sul web si sente protetto dallo schermo, dalla disintermediazione della tastiera e non si rende conto dell’effetto che potrebbero avere le sue affermazioni scritte magari senza connettere il cervello, perché tanto “è solo online”. Virtuale invece è anche molto reale, basti pensare ai tanti casi di odio e diffamazione in rete, alcuni sono sfociati purtroppo anche in tragici suicidi.
Il fenomeno delle fake news è diffuso anche tra i giornalisti?
Il giornalismo è sempre più alla ricerca dei click. Ma è qui che si deve giocare la professionalità di un giornalista che è sempre più nel mirino della politica e dell’opinione pubblica. Anche i giornalisti non sono immuni dalle fake news. Se un giornalista diffonde dolosamente una notizia falsa contravvenendo alla deontologia abbiamo un grosso problema. A volte invece servirebbe solo una maggior attenzione a quello che si pubblica. Se il giornalista utilizzasse alcuni degli strumenti della rete che vedremo al corso del 25 febbraio a Vicenza per verificare la fondatezza della notizia, il lavoro di redazione e l’informazione ne gioverebbero. Anche perché sono tutti pronti a mettere alla berlina un giornalista, considerato come un’espressione delle élite e dei poteri forti, ma questo è un altro discorso….
Non crede che sia utile contrassegnare come fake una notizia falsa?
Dati Censis, in accordo con uno studio dell’Università di Yale, mostrano che il 44% dei giovani italiani ritiene che le fake news siano una macchinazione dell’élite. E una recente indagine Doxa riporta come tre italiani su dieci credano a notizie false anche se sono state palesemente certificate come tali. La verità, purtroppo, è che oggi non interessa più la verità. È un bel problema. La verità non è più considerata. Ci va bene vivere dentro una “bolla” creata dai social senza confrontarci con chi la pensa diversamente da noi perché tanto basta togliergli “l’amicizia” .
Bisognerebbe affrontare il problema partendo dalla cultura prima che dagli strumenti tecnologici. Affinare lo spirito critico, confrontarsi con la diversità, approfondire temi complicati (come la Tav o la politiche europee che sembrano cose lontanissime da noi). Ma per questa ci vuole tempo e soprattutto sforzo. E il tempo sui social, purtroppo, è una frazione di secondo, mentre far fatica per capire non interessa più a nessuno. Faccio mio un pensiero di Rainer Maria Rilke: “Sappiamo poco, ma che dobbiamo attenerci al difficile è una certezza che non ci deve abbandonare”.