Aveva appena compiuto 100 anni e Franca Valeri se ne è andata lasciando un vuoto nella cultura italiana. Sarebbe giusto dire nella Storia del nostro Paese che Lei ha attraversato con quell’ironia e quel sarcasmo che hanno le intelligenze fuori dal comune.
Di lei vorrei ricordare alcune frasi riportate in un recente articolo del Corriere.it
Sono frasi intense, dure, che dimostrano la giusta severità e l’onestà intellettuale di una Signora che ci ha regalato sorrisi mai banali e che ci mancherà molto:
«Papà era ebreo. Ricordo quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse. Fu il momento più brutto della mia vita».
…
Per qualche tempo (Franca) vive in una casa di via Mozart bombardata, dove trovano rifugio altre persone braccate. Tra loro c’è una ragazza che si è appena sposata. Poi Franca cerca riparo in casa di amici; «in via Mozart avevo lasciato i gatti. Così ogni tanto andavo a trovarli. Uno era nero e l’altro tigrato, si chiamavano Mignina e Milù». Di solito il cancello era chiuso; ma quel giorno è aperto. Franca ha un’intuizione, non entra, si nasconde, e assiste alla scena: dalla casa di via Mozart escono i tedeschi, trascinando dietro i prigionieri, tra cui la sposina ebrea. È una storia che le costa molto dolore ricordare. Dalla gola le esce come un gemito: «Poverinaaaa!». Perché la giovane sposa fu portata ad Auschwitz, e non è mai tornata.
Anche per questo Franca Valeri andò a guardare i cadaveri del Duce e della Petacci appesi a testa in giù a piazzale Loreto. «Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo».
(dall’articolo di Aldo Cazzullo intitolato “Franca Valeri: «Vidi Mussolini in piazzale Loreto, non mi fece pena. Da ebrea ho sofferto»”)