Frodi finanziarie: TAR e Consiglio di Stato bocciano il MEF dal… 2005 e riaccendono le speranze dei risparmiatori. Non solo delle Popolari in LCA.

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Palazzo Spada a Roma
Palazzo Spada a Roma

(Articolo di Fulvio Cavallari da VicenzaPiù Viva n. 7sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Per i dimenticati e i “maltrattati” del FIR c’è un’altra strada non facile ma percorribile.

Siamo agli sgoccioli della arcinota Legge 145/2018, quella ‘rabberciata’, anche se rivoluzionaria per il principio ora stabilito che chi sottoscrive titoli, bancari e/o finanziari, non quotati in presenza di controlli carenti o assenti ha diritto a un indennizzo.
Anche se molto, troppo parziale per i risparmiatori soci delle banche popolari venete e delle banche del centro Italia messe in LCA, in questi giorni stanno arrivando gli ultimi bonifici del sospirato 10% aggiuntivo per coloro che hanno già percepito il 30% del prezzo di acquisto storico delle azioni pur se col limite dei 100.000 euro e con soglie di sbarramento all’accesso troppo basse, penalizzando chi, non speculatore, era stato indotto a rimpinguare il ‘patrimonio fasullo’ di quelle banche anche con i ben maggiori risparmi di una vita, liquidazioni ed eredità incluse. Restano, comunque, ancora fuori dalla partita i circa diecimila bocciati dal FIR che non hanno visto un euro e al momento non si sa nulla della sorte di coloro che hanno fatto ricorso alle carte bollate.
Nulla avranno, ovviamente, tutti quelli che non hanno fatto domanda al fondo e sono tanti.
Vi è un ordine del giorno del senatore Pierantonio Zanettin che impegna il Governo a trovare una soluzione per consentire ai respinti di far riesaminare la domanda presso l’ACF
(Arbitro delle Controversie Finanziarie) ma al MEF tutto tace: un silenzio che non fa dormire sonni tranquilli a parecchia gente.
Nel frattempo non manca chi invoca una rapida chiusura dei rubinetti del FIR mentre gli articoli di una nota giornalista, Milena Gabanelli, apparsi su un quotidiano a tiratura nazionale hanno fatto sobbalzare d’indignazione sia i risparmiatori che le loro associazioni.
L’aria insomma pare stia cambiando, il vento della protesta (per stanchezza e consunzione di chi è stato truffato, se non in base alla legge ma almeno eticamente) va calando e come spesso accade si concretizza sempre di più il rischio che anni di lotte al fianco dei risparmiatori svaniscano dai ricordi e dall’attenzione della classe politica, che sa promettere 100 e mantenere, se va bene… 30.
A tener viva l’attenzione vi sono, però, due sentenze che vi segnaliamo su ViPiu.it visto che non ne troviamo traccia sulla stampa mainstream ma solo in alcune note legali*: una del TAR del Lazio del 13.03.2023. N. 04279/2023 Reg. Prov. Coll., l’altra del Consiglio di Stato del 27.12.2023. N. 11222/2023 Reg Prov. Coll., entrambe, quindi, recentissime.
Com’è noto la vecchia legge n. 266 del 23 Dicembre 2005, istituita per le (tutte!) vittime di frodi finanziarie (qui una nota addirittura del MEF stesso, ndr), sta attendendo oramai da anni un regolamento attuativo che consenta finalmente l’accesso dei frodati ai denari del fondo che, ricordiamolo, provengono dai cosiddetti conti dormienti del sistema bancario, gli stessi a cui avrebbe attinto al 100% la politicamente bistrattata legge 205 e di cui, poi, si
è insufficientemente (al 30%, poi diventato 40%) la 145. La sentenza del Consiglio di stato
citata stigmatizza l’atteggiamento del Ministero dell’Economia e Finanza, che ha rifiutato l’accesso al fondo a due risparmiatori, annullando il diniego immotivato di accesso e rincarando, per così dire, la dose: «L’oscurità della motivazione nel provvedimento, anche e a maggior ragione a fronte della mancata previa adozione di atti amministrativi aventi o meno natura regolamentare che rendano applicabile la normazione primaria, costituisce la violazione di un obbligo fondamentale da parte della pubblica amministrazione, in uno Stato di diritto, perché non consente al cittadino di comprendere nel loro significato e, se del caso, contestare con gli strumenti previsti dall’ordinamento gli atti lesivi della propria sfera giuridica».
Come a dire, caro MEF, non è che, siccome non adotti un regolamento che avresti dovuto fare in trenta giorni, puoi saltare a piè pari il tuo obbligo di motivare un atto di diniego d’accesso al fondo, anzi è proprio il contrario.
In sostanza il Consiglio di stato riafferma un principio sul quale i giudici amministrativi (TAR del Lazio) si erano già pronunciati: «Al contrario, essendo decorso più che largamente il termine ivi previsto (trenta giorni dall’entrata in vigore della disposizione), il ritardo del Ministero nell’adozione e trasmissione della proposta di decreto costituisce inerzia antigiuridica, da stigmatizzare giacchè protrattasi in violazione dell’obbligo generale di concludere il procedimento, in attuazione e nel rispetto del temine direttamente fissato ex lege».
Più chiaro di così il TAR del Lazio non poteva essere, ed anzi nelle sue conclusioni si spinge anche oltre: «Per quanto precede, in conclusione, il ricorso va: – accolto, ai sensi e nei limiti esplicati in motivazione, nei riguardi del Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, occorre:
1) dichiarare il persistente inadempimento del predetto Ministero nell’adottare la proposta di decreto di cui all’art.1, co.343-novies L.n.266/05 e contestuale trasmissione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini dell’adozione del conseguente DPCM;
2) ordinare al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, di adottare la suddetta proposta, trasmettendola altresì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, concludendo il procedimento entro il termine perentorio di giorni 90 (novanta) decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza o, se anteriore, dalla sua notifica;
3) nominare, per l’ipotesi in cui il Ministero non ottemperi alle statuizioni della presente sentenza nel termine sopra indicato, quale commissario ad acta, il Direttore Generale del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con facoltà di delega a un dirigente dello stesso Dicastero, affinché si insedi e provveda, su istanza di parte, nell’ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni, ed il cui eventuale compenso, da liquidarsi con separato decreto, si pone a carico dello stesso Ministero;
3) respinto nei riguardi della Presidenza del Consiglio dei ministri».
In sostanza, cari risparmiatori vittime di frodi finanziarie, si dice al MEF o adempi, adottando la proposta di DPCM entro 90 giorni, o lo fa un commissario ad acta.
Sappiamo, però, che i Tribunali amministrativi sono competenti anche in materia di risarcimento del danno: «Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma». (Art 7 Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104).
La tesi non è poi così peregrina perché il caso è specificatamente previsto dal decreto Legislativo 2 luglio 2010 n. 104 di riordino del processo amministrativo dove all’art.
133 si dice: «1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: 1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo»; va ricordato infatti il passaggio della citata sentenza del Tar del Lazio che testualmente richiama la: «…violazione dell’obbligo generale di concludere il procedimento, in attuazione e nel rispetto del temine direttamente fissato ex lege».
La domanda conclusiva che ne consegue è la seguente: a fronte di un’inerzia persistente del MEF, che oramai dura da più di diciotto anni, quanto ci vorrà prima che i risparmiatori perdano la pazienza e comincino ad intraprendere anche questa via?