Generazione Z: come stanno gli adulti di domani? Come si relazionano? Possono essere una speranza per un futuro migliore?

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Giovani della generazione Z
Giovani della generazione Z

La settimana appena trascorsa ha visto 39.433 studenti veneti alle prese con gli esami orali di maturità. L’esame di maturità non segna più l’ingresso nell’età adulta, ma l’ingresso nel mondo senza rete per la generazione Z, quello dove l’accudimento protettivo della scuola non ci sarà più, che i giovani vadano a lavorare o che proseguano gli studi. Il vero scopo dell’esame non è più tradurre correttamente la versione dal greco o indovinare i collegamenti da sfoggiare all’orale, ma allenarsi all’ultima prova in cui verrà loro richiesto di esibirsi come funamboli con la rete di protezione. Da luglio inizieranno finalmente a prendere la vita nelle loro mani e sarà sicuramente difficile e disorientante.   

Generazione Z
Generazione Z

Come comunica questa generazione?

L’attuale generazione Z ha visto impennare il livello di disagio psicologico a livelli di guardia, si esprime nel fare, nel creare e nel lasciare il segno. Completamente immersi nel digitale e con una vita vissuta prevalentemente online, questi giovani incarnano pienamente l’idea di globalizzazione: un mondo multiculturale e senza frontiere. Nascondono anche importanti fragilità sul piano mentale, come dimostra il vertiginoso aumento di casi di ansia, depressione, autolesionismo e suicidio (Twenge 2018). Si sentono paradossalmente più soli ed esclusi.

Una generazione iper-tecnologica. Come si relazionano?

I social, soprattutto attraverso video brevi e incisivi (Reels, TikTok), sono il loro mezzo di comunicazione privilegiato, tramite il quale condividono racconti visivi creati mediante applicazioni e immediatamente diffusi attraverso la condivisione. Ore e ore trascorse sui social dove le fantasie amorose si traducono spesso in continue interpretazioni dei potenziali significati di storie che possono voler dire tutto o nulla, e la distanza tra gli innamorati virtuali aumenta; i non detti e i mancati confronti lasciano buchi, in una relazione che si nutre di ciò che si crede che l’altro sia, a seconda di ciò che pubblica.  Il vero problema non è lo strumento, ma chi lo utilizza e che uso ne fa. Se è piuttosto semplice instaurare relazioni virtuali, viverle come reali è un’altra cosa.

Il momento dell’abbandono all’interno di una “relazione d’amore” è complicato, ci si lascia prevalentemente con l’ausilio tecnologico, con un semplice click, si sparisce dalla vita dell’amato/a improvvisamente e senza dare spiegazioni, perché il tutto avvenga nel modo più indolore possibile e senza doversi assumere la responsabilità della sofferenza altrui, o evitando di doversi confrontare con il possibile giudizio altrui. Un forma di non-contatto emotivo. Chi è stato lasciato spesso arriva nei miei studi, in preda al dolore e allo sconcerto, ma cosa ancor più grave con un forte senso di auto-svalutazione.

In famiglia come sono i giovani?

In famiglia i rapporti sono caratterizzati da alcune parole d’ordine, che hanno un unico filo conduttore: vogliono tutto e subito, sembrano non conoscere un possibile banale divieto. In realtà gridano la necessità di quei limiti che non sono in grado di autoimporsi e di quelle regole che, se assenti, impediscono loro di ribellarsi e di gestire la frustrazione derivante dal “no” o di pensare alle conseguenze dei propri agiti. Anche in questo ambito sperimentano il non con-tatto con le proprie emozioni. Da un lato, infatti, l’evitamento rassicura la persona, che in questo modo ha la sensazione di poter controllare o prevenire le proprie reazioni; dall’altro il semplice fatto di evitare qualcosa implica, a livello di percezione biologica, la sua pericolosità, come ha provocatoriamente fatto notare l’importante psicologo William James: “Noi non scappiamo perché abbiamo paura dell’orso, abbiamo paura perché scappiamo”.

Perchè l’attuale generazione è così violenta?

La violenza come testimoniano i fatti di cronaca ( https://www.ilgiornale.it/tag/violenza-giovani-148348.html#google_vignette

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2024/06/17/transcrime-cattolicacresce-la-violenza-giovanile-ma-non-i-reati_72f3ca83-2e8b-4abf-8aba-78f5af143a76.html) diventa un modo per gestire le emozioni, sia nel senso della ricerca di sensazioni forti, che di sedazione delle sensazioni di dolore o di rabbia percepite come non controllabili. Chi attacca gli altri fa più notizia, ma sono tanti anche i minori che attaccano il proprio corpo, con: disturbi alimentari, ritiro sociale e autolesionismo.

Alla famiglia e alla scuola, oggi è richiesto di riprendere in mano il ruolo educativo con forza e autorevolezza, interrogandosi sul significato dei comportamenti di ragazzi e ragazze che cercano disperatamente di costruirsi un futuro.

Come comunicare e interagire con i giovani?

Come spesso dico durante i miei seminari, è necessario parlare la loro lingua, usare il dialogo in modo che possano essere continuamente stimolati. Lavorare con questa generazione, nonostante tutte le loro ansie e insicurezze, mi ispira la fiducia che il futuro sia più tutelato, nelle loro mani capaci.

La speranza di un futuro migliore con la Generazione Z

La generazione Z, è sicuramente attiva, pragmatica e disincantata, sono attenti all’ambiente e impegnati socialmente, a loro è richiesto di avere il coraggio di affrontare le proprie fragilità, dovranno imparare a tollerare più efficacemente l’ansia e l’incertezza, diventando più autosufficienti, ma non credo che siano in media meno resistenti o meno intraprendenti, anzi hanno sviluppato in questi ultimi anni il coraggio e al tempo stesso la “normalità” nel chiedere aiuto ai professionisti della salute mentale, per farsi accompagnare ad esplorare tutte le sfaccettature di chi possono e vogliono diventare!

Bibliografia:

Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti, di Jean M. Twenge

“Generazione Z. Fotografia statistica e fenomenologica di una generazione ipertecnologici e iperconnessa”, di Ettore Guarnaccia