Pubblicato il 18 alle 19 e riproposto oggi giorno dell’udienza di Zonin contro Coviello. Gianni Zonin – cavaliere fino a quando l’onorificenza non gli dovesse essere revocata o egli stesso non decidesse di rinunciarvi – ha sicuramente a cuore la sua onorabilità (o ciò che eventualmente ne resta, se qualche briciolo ancora ne resta), molto più di ogni preoccupazione per i danni plurimiliardari (parliamo di molti miliardi in euro) che la sua più che ventennale gestione della Banca Popolare di Vicenza ha prodotto, scippando a migliaia di persone, ignare e incolpevoli, tutti i risparmi di una vita.
Quanto al “cavaliere del lavoro” (anche del “lavoro” portato a termine alla guida della Banca) stia a cuore la sua “attuale onorabilità” risulta, almeno nel caso che è il tema di questo articolo, da una vicenda che non attiene alla sua scellerata gestione della BPVi ma a quella – non meno disinvolta e spericolata – della Fondazione Roi e che con la prima s’intreccia in uno scabroso conflitto d’interessi.
La Roi è la fondazione creata nel 1988 dal marchese Giuseppe Roi, pronipote di Antonio Fogazzaro, esclusivamente per finalità di “promozione, valorizzazione, divulgazione della cultura e dell’arte” e “in particoiare la Fondazione ha lo scopo di favorìre il Museo Civico dl Vicenza nel perseguimento delle proprie finalità“.
Il mecenate la presiedette fino alla morte, avvenuta nel 2009, quando la consegnò di fatto a Zonin del quale si fidava ciecamente. Per sua volontà, infatti, la BPVi avrebbe indicato tre membri su cinque del consiglio d’amministrazione della fondazione (il quarto “dovrebbe” essere il direttore pro tempore del suddetto Museo Civico, il quinto è da cooptare mentre altri due sono cooptabili, ndr). E Zonin scelse se stesso come presidente e due suoi fidati sodali.
Messe le mani sulla fondazione, ne investe un terzo del patrimonio in azioni di quella banca che, sotto la sua gestione, sarebbero diventati titoli spazzatura.
Inoltre compra l’immobile dell’ex cinema Corso nel cuore di Vicenza: è accanto a Palazzo Repeta, l’ex sede Bankitalia acquistata un anno dopo da BPVi per 9,6 milioni (la base delle aste sempre deserte era 9 milioni…, ndr). «Cinema e palazzo – scrive La Stampa il 24 giugno 2016 – avrebbero dovuto diventare un unico complesso ricettivo-commerciale. Magari con l’aggiunta della vecchia Camera di Commercio, che sta proprio in mezzo. Zonin con il cappello della Roi proprietario di un pezzo, Zonin banchiere proprietario dell’altro pezzo».
E così siamo al punto. Se anche un quotidiano nazionale estraneo ad ogni indizio di volontà eversiva dei poteri costituiti e degli interessi economici forti (e quelli in capo a Zonin in Veneto lo erano certamente) non riesce a stare zitto dinanzi alla scellerata gestione di tanti miliardi di euro che ignari cittadini affidano alla Banca del vignaiolo di Gambellara e dinanzi alle scelte – ombrose, sospette, inopportune e potenzialmente dannose – compiute nell’interesse (apparente) della Fondazione, ovvio che un organo d’informazione come VicenzaPiù, indipendente e radicato proprio nel territorio in cui avvengono le scorribande di Zonin, sia stato molto più vigile e pronto a segnalare ogni pericolo alla comunità proprio nel momento in cui i suoi interessi rischiavano di essere mortificati e le sue risorse saccheggiate.
Per avere assolto a questo compito – doveroso e meritorio – il direttore di VicenzaPiù Giovanni Coviello viene citato da Zonin in sede civile con richiesta di risarcimento di un milione di euro.
In questo caso il “cavaliere del lavoro” agisce in nome e per conto della Fondazione Roi e ne… tutela quindi l’interesse: è uno di quei casi di tragicomico travisamento della realtà che talvolta si presentano. Ad un certo punto, separati gli interessi della Fondazione dagli affari di Zonin, quando la sua permanenza al vertice finisce di propagare tutti i miasmi e i veleni di quella commistione, il nuovo presidente della Roi, Ilvo Diamanti, rinuncia all’azione civile e stipula una transazione con VicenzaPiù.
Ma Zonin detto “cavaliere” per onorificenza conferitagli dal presidente della Repubblica, nonostante a dicembre scorso abbia dato prova di essere solo uno “smemorato” passato per caso di tanto in tanto nei pressi della BPVi (ascoltare la sua audizione dinanzi alla Commissione bicamerale d’inchiesta sui crac bancari per credere), non dimentica affatto gli scritti di VicenzaPiù.
E così il 21 dicembre 2016 presenta querela per diffamazione in relazione all’articolo del direttore Giovanni Coviello che, il 31 ottobre 2016 (nella citazione lo smemorato scrive 26…, ndr), riferisce anche della solidarietà espressa da tanti cittadini su fb in seguito a quell’azione civile per danni intentata da Zonin e della quale il 25 ottobre si era tenuta l’udienza.
Il pubblico ministero Claudia Brunino, titolare del procedimento, il 9 febbraio scorso chiede l’archiviazione perché «nel caso di specie (e quindi non solo nell’articolo di diretta produzione di VicenzaPiu ma anche nei commenti degli utenti face book) sussiste il legittimo diritto di manifestazione del pensiero che si specifica nell’esercizio del diritto di critica». Secondo il magistrato «le affermazioni oggetto di denuncia pubblicate sul social network fb, piattaforma virtuale nell’ambito della quale le offese vanno comunque valutate diversamente rispetto a quelle pubblicate sulla stampa, essendo notoria l’istantaneità e gli effimeri effetti che scaturiscono dai commenti e dai post ivi pubblicati, appaiono possedere tutti i requisiti richiesti dalla Suprema Corte per l’esercizio del diritto di critica».
Al magistrato inquirente non sfugge che i post contengano «giudizi fortemente negativi» ma, a suo avviso, «va valutato il particolare contesto all’interno del quale le frasi ritenute dal querelante lesive della sua reputazione sono state pubblicate». E il contesto – spiega il pm motivando la sua richiesta d’archiviazione – «si innesta nella tragica vicenda che ha visto numerosi soggetti che avevano investito nei titoli della Banca Popolare di Vicenza sgretolare i propri risparmi, e visto il ruolo apicale rivestito dal querelante, appare legittimo che la sua posizione sia oggetto di critica. Tutt’al più – prosegue il magistrato – le affermazioni a lui rivolte sono infarcite in una critica alla Magistratura, alla Guardia di Finanza in un clima esasperato che vede da anni avvolta la città di Vicenza. I fatti oggetto di offese – conclude il pubblico ministero – rivestono un particolare rilievo sociale e vanno in esso contestualizzati».
Insomma il magistrato, pur non escludendo che qualche singola affermazione contenuta in alcuni commenti espressi da utenti facebook possa essere in astratto offensiva, ritiene che non si possa prescindere dalla drammatica verità dei danni incalcolabili che Zonin con la sua condotta ha prodotto a tante migliaia di persone.
Ma di ciò, evidentemente, lo “smemorato” non sa nulla e continua a non ricordare nulla di tutto ciò che ha fatto, mentre la sua memoria e la sua attenzione rimangono altissime su tutto ciò che sul suo operato viene detto. Non solo da parte di giornalisti, ma anche sui social da persone comuni tra le quali, probabilmente, le sue stesse vittime rimaste senza un euro e con la tragedia di un’intera famiglia dalla vita distrutta.
E così il 5 marzo scorso il “cavaliere del lavoro” si oppone alla richiesta d’archiviazione del procedimento scaturito dalla sua querela contro VicenzaPiù.
A Zonin non viene il dubbio – anche solo il dubbio – che l’articolo di Giovanni Coviello abbia avuto il fine di informare i lettori secondo le finalità naturalmente proprie del giornalismo, ovvero riferire fatti veri di pubblico interesse con l’ausilio, sempre salutare e auspicabile, dell’esercizio del diritto di critica. No. Per lui la volontà era quella, solo quella, di diffamarlo.
In questo senso si può scorgere una logica coerente nella sua visione delle cose. Se egli non ricorda nulla dei fatti oggetto di notizie e commenti e ha presenti solo questi ultimi, può apparire comprensibile che non si dia pace per queste critiche che, semplicemente, lo infastidiscono.
Nell’opposizione redatta nel suo interesse dall’avv. Prof. Enrico Mario Ambrosetti, difensore del “Cav. Lav. Dott. Gianni Zonin”, non vengono condivide le valutazioni del pubblico ministero in ordine alla «minore carica lesiva delle offese su fb» e inoltre si sostiene che i commenti su fb non possono rientrare nei limiti consentiti «in quanto espressi in relazione ad una vicenda di particolare interesse sociale, poiché essi trasmodano dai limiti di verità e di continenza dell’espressione e sono dirette alla sola demolizione della figura del dott. Zonin».
Insomma, VicenzaPiu, che peraltro ha riferito solo in sintesi quei commenti di cittadini arrabbiati, non avrebbe avuto altra finalità che diffamare Zonin in quanto le affermazioni «trascendono in attacchi diretti a colpire, su di un piano personale e senza alcuna finalità di pubblico interesse, la dignità del dott. Zonin».
In questi termini tutto sembra spiegarsi alla luce di quella smemoratezza, manifestatasi platealmente dinanzi alla commissione parlamentare in diretta streaming ed evidentemente persistente.
Ovviamente sarà il gip Roberto Venditti, lo stesso del processo BPVi in cui Gianni Zonin è imputato, nell’udienza fissata il 5 luglio, a decidere se si possa scorgere, anche solo in ipotesi, il reato di diffamazione nei commenti degli utenti fb i quali sono anche cittadini comuni che hanno direttamente subito nella loro vita la violenza devastante – probabilmente criminale (ma ciò lo accerteranno i processi in corso) – degli atti compiuti dal patron della BPVi, o, quanto meno, sono amici, parenti, conoscenti di qualcuno che, tra tante migliaia, ha subito la stessa sorte.
Ogni commento sulla condotta di Zonin – prima e al di là di ogni reato di cui è accusato e che in ipotesi può aver commesso – così come traspare da quest’ultima sua iniziativa sarebbe superfluo.
E’ sufficiente soffermarsi sul valore supremo dell’informazione – con tutti i suoi corollari di diritti soggettivi e libertà strumentali, da quello di cronaca e di critica alla manifestazione del pensiero – rispetto al patetico accanimento che in senso figurato, pur nell’esercizio formale di una facoltà concessa anche al cittadino Zonin, potremmo definire “persecutorio” e sprezzante del dramma, immane e autentico, in cui la sua condotta ha gettato tante migliaia di persone.
VicenzaPiu ha servito, unicamente e limpidamente, quel valore. A testa alta al punto da poterlo rivendicare con orgoglio e da potere indossare le accuse e le pretese di Zonin come medaglie, di metallo purissimo, a differenza di certe onorificenze che, anche con la buona fede di chi le concede, nel tempo possono ossidarsi e andrebbero separate dall’agente nauseabondo che le abbia contaminate.
Ovviamente una cosa è la scelta di Zonin di querelare chi lo infastidisca nell’esercizio delle sue trame, tutt’altra l’opera di assistenza legale prestata dal suo difensore il quale, come ogni professionista, offre i suoi servizi.
Sono in molti però, in quella vastissima popolazione la cui vita, a Vicenza e non solo, è stata distrutta da Zonin, a desiderare, o a sperare quantomeno, che non un euro del patrimonio attuale di Zonin – fatto salvo ovviamente il suo diritto di difesa, nei processi in cui è imputato, che peraltro lo Stato garantisce a tutti, anche a chi non ha o non ha più mezzi e risorse – possa essere disperso o distratto rispetto alla finalità primaria del soddisfacimento, anche parziale, dei diritti delle tante persone da lui danneggiate: inserendo nel computo, ovviamente, anche i beni e le somme che, al manifestarsi del crac della BPVi, Zonin – lo smemorato di Vicenza – si è ricordato di voler cedere ai suoi parenti.