Giants Being Lonely, l’occhio di Pino Dato sulla Mostra del Cinema di Venezia

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VVenezia 76: Grear Patterson e Olmo Schnabel protagonisti di Giants Being Lonely (foto Elle)
Venezia 76: Grear Patterson e Olmo Schnabel protagonisti di Giants Being Lonely (foto Elle)

Il rischio supremo, quasi ineluttabile, corso dalla nostra società globalizzata, definita con precisione chirurgica liquida (Baumann) o dominata da tre o quattro algoritmi fatali (Harari) è, comunque la si voglia leggere, quello di non essere più in grado di capire, dei propri eventi, le vere ragioni. Oppure, se le ragioni le trova, non sapersene capacitare secondo un’etica accettabile erga omnes. È una specie di determinismo alla rovescia. Siamo in grado di risalire alla formula fatale (algoritmo)  ma quando arriviamo all’origine del misfatto siamo al punto di prima.

La giro in un altro modo: se anche le ragioni le troviamo, ci ritroviamo sempre più ansiosi: ritrovare, ad esempio, le ragioni di un misfatto terribile non ci consente di eliminarne né la causa né l’effetto a venire. Sappiamo perché, ma siamo impotenti a modificarne l’algoritmo fatale.

Per dirla con Baumann, non solo la società è liquida, anche la morale lo è.

Sintesi: l’unica vera consolazione, comunque, è la consapevolezza che sapere è meglio di non sapere.

Premessa lunghissima per parlare di un film visto alla Mostra veneziana ieri? Forse sì ma non in linea di principio. La grande qualità della mostra veneziana è quella di consentire indagini non approssimative sullo stato del mondo. Attraverso il cinema di paesi diversi e lontani si percepisce talvolta, se non spesso, il livello delle condizioni politiche, sociali, etiche delle corrispondenti società. Stare alla Mostra una settimana e saltare da una sala all’altra ti offre un assedio di messaggi, mondi, paesi, lingue, società. Il cinema è di fatto un occhio impegnato sugli affari, i delitti, le virtù (rare) di questo mondo globalizzato ma profondamente diverso: non è più concepibile il cinema di evasione. La realtà del resto è così varia e complessa che, in ogni caso, la noia è bandita.

In Giants Being Lonely, del giovane americano Grear Patterson, la solo apparente tranquillità della società Usa odierna, l’America della media borghesia, con i figli che escono dalle scuole superiori e vanno all’università, madre e padre nell’età giusta per vivere la crisi forse decisiva della loro unione, con lo sport di mezzo, lo sport di oggi, con tutti i fanatismi che si trascina anche nelle serie più innocue – il baseball nel caso – è uno spezzato ideale per far emergere, attraverso la vicenda raccontata le contraddizioni, i conflitti, le negatività di una società che spesso e volentieri sfociano in tragedia.

Siamo in un piccolo centro della Carolina del Nord. Da come vestono, da come parlano, da come bevono, tutti i personaggi vivono una vita ricca di consumi, mode, rimandi, amicizie. Tutto bene in apparenza. Lo sport prediletto dalla piccola comunità è il baseball. Adam è un giovane alle soglie del salto più bello nella vita, il passaggio agli studi superiori, che gli aprirà, si presume, le porte del mondo che conta. Intanto gioca a baseball ed è il migliore, il più richiesto, ha la battuta più imprendibile. Un piccolo dio di provincia. Il baseball lo distrae anche dal sesso, che è lì ad attenderlo, con le forme suadenti della bella ma insoddisfatta Caroline. Il padre di Adam è allenatore feroce, che carica i suoi ragazzi come farebbe un sergente di una compagnia del Vietnam. È violento di modi con i giocatori in erba e con il bravo figlio a casa. La moglie è sottomessa. Si rifà una vita “vergine” tradendolo con l’amico di Adam, Bobby.

Il contesto, ci dice il giovane regista, è quello della società americana più ovvia, che sposa senza riflettere i miti della prevalenza, senza curarsi che possa diventare prevaricazione. Nessuno ferma nessuno. I limiti sono avbondantemente superati. Avete presente la cronaca americana dei figli di papà che vanno al campus e fanno una strage? Non siamo a quei livelli, ma la strada etica è quella. Il padre è un pessimo allenatore, un pessimo marito, un pessimo padre. Se vogliamo, il tutto è semplicistico. Ma siamo nel campo del reale, purtroppo. Come dicevo all’inizio, conosciamo l’ignobile algoritmo che determina tutto ciò ma conosciamo e basta: siamo impotenti.

Non rivelerò nei dettagli il finale per non rovinare la sorpresa a chi mi legge. Il film non è ancora pronto per essere distribuito in Italia ma lo sarà. La regia è eccellente, le immagini curate. Lo stile ricorda quello del grande autore dell’Albero della Vita.

Il bravo regista, giovanissimo e già consapevole, ha detto: “La vita è infelicità e non so quando può arrivare la morte. Intanto giochiamo a baseball.” Magnifico.

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Pino Dato
Pino Dato (all'anagrafe Giuseppe Dato) è uno scrittore, editore e giornalista italiano. Dal 1953 si è stabilito nel Vicentino dove vive, a Creazzo. Si è laureato in Economia e Commercio a Ca' Foscari, Venezia, nel 1968, discutendo con Agostino Gambino una tesi su Associazioni non riconosciute e personalità giuridica. Si è laureato in Lettere a Ca' Foscari, Venezia, nel 2004, discutendo con Ilaria Crotti una tesi su Goffredo Parise Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza. Si è laureato in specialistica Letteratura e Filologia Italiana, sempre a Ca' Foscari, nel marzo 2007.Pino Dato era diventato giornalista pubblicista presso l'Ordine dei giornalisti di Venezia il 4 maggio 1971, e collaborò per alcuni anni a: Paese Sera, Il Secolo XIX, Il Mattino di Padova.Nell'agosto 1964 fonda a Vicenza il periodico Il Sospiro del tifoso, che si autodefinisce periodico di critica e politica sportiva e, dal 1975, periodico di sport e cultura. Il periodico nei primi anni di vita è distribuito gratuitamente nei luoghi pubblici e allo stadio di Vicenza, successivamente è posto in vendita al prezzo del quotidiano. Il Sospiro del tifoso esce continuativamente con la periodicità stabilita, quindicinale, fino al 1989, per 25 anni,e Pino Dato ne è direttore responsabile oltre che editore. Ha una periodicità molto limitata - da uno a due numeri l'anno - dal 1990 al 1994, per poi riprendere con la consueta quindicinale nel gennaio 1995 fino al 2002.Nel 1983 Pino Dato fonda la casa editrice Dedalus e nel dicembre dello stesso anno dà alle stampe il suo primo libro Dimenticare Vicenza?. Protagonista del libro è la città di Vicenza e il suo ricco prontuario umano di personaggi politici, sportivi, letterari, contemporanei e no. Il libro ha una distribuzione solo provinciale ma in breve esaurisce le 2000 copie stampate. Nel febbraio 1984 ne esce una seconda edizione di altre 1000 copie.Dall’autunno del 2010 collabora al giornale on line LETTERA43.it.Tra le sue pubblicazioni:• Quasi erotica, poesie, 1985;• Vicenza, briganti e gentiluomini, racconti e articoli, 1988;• Dimenticare Vicenza? 2, ritratti vicentini, 1991;• Vicenza, la penombra che stiamo attraversando, saggi politici, 1996;• Vicenza, la città incompiuta – Da Maltauro a Ingui nell'urbanistica negata. Il caso del Parco delle Fornaci, con Fulvio Rebesani, 1999 – un saggio sulla mancanza di un disegno urbanistico della città;• Un laccio al cuore, romanzo (di ambientazione americana, periodo maccartista), 2001;• Storia del Vicenza (Acivi, Lanerossi e Vicenza nel secolo breve) – storia ragionata del primo secolo di vita della società più prestigiosa del calcio vicentino – 2002;• Sillabario vicentino - personaggi e interpreti dalla A alla Z - 2003;• Onisto Un vescovo pastore nella sacrestia d'Italia) – Con Fulvio Rebesani. Storia di un vescovo in perenne conflitto con i poteri forti – 2005;• Vicentinità (Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza), 2007.• L'ultimo anti-americano (Goffredo Parise e gli USA: dal mito al rifiuto), 2009, Aracne editrice, Roma