“Gioielli” Banca Popolare di Vicenza invendibili, Il Gazzettino: “l’ultima beffa”

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Tutto ruota attorno a due prestigiosi immobili: il quattrocentesco Palazzo Thiene a Vicenza e il duecentesco Palazzo degli Alberti a Prato, storiche sedi rispettivamente della Banca Popolare di Vicenza e della Cassa di Risparmio di Prato, ma anche scrigni di inestimabili tesori artistici. L’elenco delle opere custodite nell’edificio veneto è sterminato: una collezione di 115 dipinti dal quindicesimo al diciannovesimo secolo, firmati da grandi maestri veneti come Palma il Giovane, Jacopo Bassano, Jacopo Tintoretto, Giambattista e Giandomenico Tiepolo; 317 incisioni settecentesche della stamperia Remondini; 151 piatti popolari dell’Ottocento; 296 oselle veneziane e 199 monete antiche (fra cui 73 zecchini); 4 busti di Orazio Marinali; 16 sculture di Arturo Martini. 


Meno vasta, ma se possibile ancora più preziosa, è la galleria ospitata nello stabile toscano: 140 fra pezzi di pittura e scultura, prevalentemente del barocco sei-settecentesco, tra cui spiccano quattro quadri di Bronzino (“Ritratto di Tommaso di Guccio Soderini”), Caravaggio (“Coronazione di spine”), Filippo Lippi (“Madonna col Bambino”) e soprattutto Giovanni Bellini (“Cristo crocifisso in un cimitero ebraico”), che da soli secondo gli esperti vengono quotati almeno 70 milioni di euro, per quanto in questa vicenda il valore di mercato sia un concetto assolutamente teorico.

L’ACQUISIZIONE E I TRASFERIMENTI Ma questo lo vedremo più avanti. Ora torniamo al 2003, quando Cariprato viene acquisita da Bpvi. Siamo in pieno fulgore finanziario, a cui si aggiunge la grandeur culturale. «E anche compito di una banca, soprattutto di una Popolare, guardare alla cultura, alla tradizione, al territorio», dichiara il 7 dicembre 2011 il presidente del gruppo berico Gianni Zonin, inaugurando a Vicenza la mostra “Lippi, Bronzino, Caravaggio”: da Prato sono state infatti trasferite le tre meraviglie, in aggiunta a quella di Bellini che in assoluto è considerata la più preziosa, in cambio del prestito del nucleo pittorico dei Bassano padre e figli. “Capolavori che ritornano”, si intitola il tradizionale appuntamento di fine anno promosso dall’istituto di credito. Peccato che invece quegli splendori, e alcune altre tele per un totale di una ventina, non tornino più.

LA PROTESTA E LE SOPRINTENDENZE Passano gli anni. Già nel 2013 a Prato scoppia la protesta per il mancato rientro delle meraviglie toscane. Il 23 luglio Riccardo Mazzoni, deputato pratese dell’allora Popolo della Libertà, presenta un’interrogazione al ministro Massimo Bray (Beni culturali) in cui grida al «ratto» e riferisce le seguenti affermazioni di Zonin: «La collezione fa parte dei beni della banca», «La Popolare di Vicenza potrà disporne a proprio piacimento», «Qualora la banca volesse vendere i quadri, non sarebbe nemmeno tenuta a informare le istituzioni cittadine». Il tempo dimostrerà che, al di là della protervia nei toni, si tratta di una pura ipotesi di scuola: di fatto quelle collezioni non sono né smembrabili né cedibili, a causa dei vincoli via via apposti, come riferiranno negli anni i soprintendenti Andrea Pessina (Firenze, Pistoia e Prato) e Fabrizio Magani (Verona, Rovigo e Vicenza). Il 9 giugno 2016 la commissione regionale per il patrimonio culturale del Veneto pone il vincolo sulle “Raccolte museali di Palazzo Thiene”, dichiarandone la pertinenzialità all’edificio: «Si ritiene che le raccolte esposte nel prestigioso contenitore rivestano eccezionale interesse storico-artistico, quale unicum inscindibile con il complesso denominato Palazzo Thiene». Ma così vengono ricompresi anche i capolavori che appartenevano a Prato, sicché otto mesi dopo la Soprintendenza di Firenze chiede al ministero e alla commissione veneta di rettificare il provvedimento, il che effettivamente avviene il 5 giugno 2017, quando perlomeno il Bellini viene espunto dal vincolo pertinenziale di Vicenza e inserito in quello di Palazzo degli Alberti, dichiarato per l’intera galleria il 27 febbraio dello stesso anno.
IL PROTOCOLLO E I PROCEDIMENTI Nel frattempo è però scoppiato il bubbone delle banche venete, vedendo in particolare a Vicenza calare il sipario sulla gestione Zonin. Non a caso il 18 gennaio 2017 il nuovo presidente Gianni Mion firma a Prato, con il sindaco Matteo Biffoni e i vertici della Fondazione Cariprato e della locale Confindustria, un protocollo d’intesa per la restituzione delle opere: «Vogliamo ricostruire il rapporto di fiducia con le istituzioni, il mondo della cultura e, soprattutto, i cittadini». Ma già a maggio, cioè un mese prima del definitivo crollo delle ex Popolari, la stessa Bpvi presenta un ricorso amministrativo al Tar della Toscana contro la dichiarazione di vincolo di Palazzo degli Alberti e dei beni pertinenziali. Inoltre ad ottobre i commissari liquidatori Giustino Di Cecco, Claudio Ferrario e Fabrizio Viola (poi sostituito da Francesco Schiavone Panni) depositano un ricorso straordinario al presidente della Repubblica per chiedere la revoca del vincolo sul “Cristo crocifisso in un cimitero ebraico”. In entrambi i giudizi si costituisce il Comune di Prato, «pur comprendendo il mandato di legge in capo ai commissari liquidatori nominati con decreto governativo», precisa il sindaco Biffoni. I procedimenti sono tuttora pendenti, anche se il 25 gennaio 2018 la liquidazione coatta amministrativa conferma l’intenzione di far rientrare i quadri in Toscana, tanto che a febbraio viene avviato un tavolo tecnico e ad aprile trapela che almeno una parte delle tele è stata riportata in patria.

INTERESSI DIVERSI Ormai però è evidente che gli interessi in gioco sono diversi, anche per la differente sorte toccata ai beni di Vicenza e di Prato dopo l’ingresso di Intesa Sanpaolo. Palazzo Thiene e il suo tesoro sono entrambi rimasti in capo alla liquidazione di Bpvi, che ha mantenuto la proprietà anche della galleria degli Alberti, mentre l’omonimo Palazzo è passato a Ca’ de Sass. Dunque da una parte i commissari devono assolvere all’obbligo di provare a vendere i beni del defunto istituto, così da recuperare fondi con cui risarcire i creditori. Dall’altra i due territori rivendicano i propri gioielli e ne invocano la fruibilità pubblica, forti dei vincoli che di fatto inchiodano per sempre i quadri ai rispettivi muri, a tutt’oggi tuttavia invalicabili. La domanda che tutti si fanno è: c’è qualcuno davvero disposto a spendere cifre stellari per comprare, nel caso di Prato, una collezione destinata a rimanere a casa di un altro (Intesa Sanpaolo) o, nel caso di Vicenza, addirittura sei collezioni deputate a restare in un edificio che a sua volta è vincolato e che dunque non potrà mai ottenere il cambio di destinazione d’uso? «Temo proprio nessuno», risponde Achille Variati, sindaco uscente del capoluogo berico, che nel settembre scorso aveva inviato una lettera al ministro Dario Franceschini, sull’onda dell’ordine del giorno approvato nel luglio precedente dal Senato su iniziativa dei vicentini Giorgio Santini e Rosanna Filippin (Partito Democratico), con cui veniva chiesto che Palazzo Thiene fosse «acquisito al patrimonio dello Stato e messo a disposizione della città».

LO STALLO Spiega Variati: «So che il titolare dei Beni Culturali ha preso in esame la questione, anche dopo un mio sollecito, ma purtroppo l’attuale stallo politico e istituzionale non aiuta di certo a fare delle scelte. La nostra proposta è che il ministero riconosca il valore artistico e museale di Palazzo Thiene, opera di due geni dell’architettura quali Lorenzo da Bologna e Andrea Palladio, nonché del suo contenuto, straordinario emblema dell’arte veneta, attribuendo a questa struttura una valenza nazionale. Questo permetterebbe, una volta esperiti i tentativi di vendita all’asta e preso atto del loro prevedibile fallimento, di condurre il compendio immobiliare e artistico sotto l’egida pubblica, dimostrando frattanto ai creditori che nulla è stato sfilato loro e dotando ovviamente l’ente gestore delle necessarie risorse. Ma per fare questo occorre naturalmente una volontà politica». Servono quindi una nuova giunta e un nuovo governo: le elezioni comunali sono fissate per il 10 giugno, mentre com’è noto sul fronte nazionale è ancora tutto in alto mare. «Per quanto ci riguarda riteniamo che Palazzo Thiene non vada messo sul mercato e che debba avere un uso pubblico», dice Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia di un esecutivo che però è in scadenza. Per il finale della storia, occorrerà aspettare ancora un bel po’.

di Angela Pederiva da Il Gazzettino