Tu passerai per il camino: per molti questa frase sarà quasi priva di significato mentre per alcuni evocherà il contenuto di un libro il cui impatto emotivo può essere definito devastante – si legge nella nota sul Giorno della memoria che pubblichiamo a firma Sara Astorino, legale, consulente Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatorisu ViPiu.it, ndr) –.
Quando si pensa all’Olocausto spesso si rammentano, se non sempre, libri come il “Diario di Anna Frank” oppure testi più recenti come il “Bambino col pigiama a righe” o anche “La Ladra di Libri”.
Caratteristiche dei tre testi citati è quella di narrare la vita, se così possiamo definire il terrore di essere rastrellati ed il vedere perdere la propria famiglia e la propria quotidianità, di tre bambini/ragazzi nel pieno regime nazista.
In tutti questi testi i campi di concentramento sono appena accennati, costituiscono un grande timore per i protagonisti, anche se il termine mi sembra poco adatto, ma non sono descritti, narrati o vissuti.
L’unico dei tre che approfondisce, sebbene limitatamente, cosa sia un campo di concentramento è il bambino col pigiama a righe.
Ebbene se questo libro vi ha commossi, vi ha dato una sensazione di malessere allora leggere anche solo qualche frase del libro “Tu passerai per il camino” sarà, ripeto, qualcosa di fortemente destabilizzante.
Il titolo è evocativo poiché ripete la minaccia che quotidianamente i Kapò e le guardie naziste urlavano ai deportati presso il campo di concentramento di Mauthausen ove i forni crematori erano giorno dopo giorno costantemente in funzione.
La narrazione del libro è viva, vibrante, capace di trasmettere tutte le sensazioni provate dai prigionieri.
Una narrazione che spesso porta il lettore a doversi interrompere per via della commozione e della necessità di metabolizzare quello che si è appena letto.
Questo accade perché il libro è stato scritto da un sopravvissuto, ogni singola parola è una mera trasposizione della realtà che è stata vissuta.
Una realtà che fa male, che colpisce direttamente allo stomaco.
Vincenzo Pappalettera, nato a Milano il 28 Novembre 1919 e deceduto a Cesano Maderno il 01 Dicembre 1998, era un giovane antifascista e partigiano quando, tra il 1940 -1945, venne deportato a Mauthausen.
Nel 1966 l’autore pubblica il libro che vincerà il premio Bancarella.
Il testo ha una struttura particolare perché parte dalla liberazione dal campo di concentramento e man mano che Vincenzo si guarda intorno comincia a narrare tutto ciò che in quegli anni ha vissuto ed ha visto.
Narra il suo arrivo nella baracca numero 11, le dosi di cibo scarse, i lavori (spaccare e trasportare pietre e massi) sempre più duri, le malattie che colpiscono i prigionieri e la morte.
Morte che non avviene solo nei forni crematori ma che arriva in diverse modalità per la fame, per le epidemie soprattutto di tifo, perché i prigionieri preferiscono lanciarsi sulle reti elettriche piuttosto che continuare ad essere torturati, per le torture, per le frustate e soprattutto durante i lavori forzati.
E’ veramente impressionante il passaggio in cui l’autore con una lucidità paurosa narra la morte di un suo compagno che, ridotto ad un mucchietto d’ossa, viene costretto da un Kapò a trasportare un enorme masso per una discesa a vortice e finisce per essere ucciso dalla fatica.
Il tutto mentre i restanti compagni sono costretti a guardare, rimanendo inermi mentre i Kapò e le guardie ridono e sbeffeggiano il prigioniero.
Ebbene posso dire che nel leggere la descrizione delle reazioni avute dalle donne che arrivano al campo per aiutare i sopravvissuti sembrerà quasi di essere li con loro.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro, che molti hanno iniziato ma non sono riusciti a terminare, perché una volta letta la realtà vissuta dall’autore, grazie alla potenza delle emozioni che la scrittura trasmette, diventerà un libro impossibile da dimenticare.
Non potendo dimenticare il testo ne deriva che non potrà essere dimenticato l’Olocausto e cosa questo ha significato.
I sopravvissuti all’Olocausto sono sempre di meno, le loro testimonianze purtroppo tendono ad essere dimenticate per questa ragione siamo noi a dover ricordare.
Ringrazio mio padre che mi ha spinta, ovviamente avvertendomi, a leggere questo libro e spero che alcuni dei nostri lettori, spinti dalla curiosità o dalla volontà di approfondimento, vogliano fare altrettanto e chissà un domani a consigliarlo.
Sara Astorino, legale, consulente Aduc