Giovani contro sfruttamento e PCTO, destre europee a favore. “Filosofia in Agorà”: bocciato emendamento UE contro tirocini non retribuiti

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Giovani in protesta per sfruttamento e PCTO
Giovani in protesta per sfruttamento e PCTO

Da qualche giorno i nostri studenti e le nostre studentesse sono scesə in piazza per manifestare contro la deriva che l’alternanza scuola-lavoro (oggi PCTO) ha preso, soprattutto all’interno dei Centri di Formazione Professionale regionali e degli Istituti professionali, dove ormai è diventata strutturata e integrata, ma anche per urlare il grido di rabbia e di dolore per la perdita di due giovani loro compagni, Lorenzo Parelli in provincia di Udine e Giuseppe Lenoci di sedici anni in provincia di Fermo, morti proprio mentre svolgevano attività legate all’alternanza scuola-lavoro.

E proprio l’alternativa tra “scuola e lavoro”, che andrebbe riportata esattamente in questi termini, senza abusare di anonimi acronimi che svuotano di senso le parole (PCTO), ci appare ancora più beffarda nel leggere ciò che al Parlamento europeo sono stati capaci di fare i nostri rappresentanti italiani in relazione allo sfruttamento del lavoro nei tirocini non retribuiti.

L’occasione propizia in questa settimana era quella di dare un segnale concreto alle richieste dei ragazzi e delle ragazze italianə, riunitə all’interno di collettivi e contenitori studenteschi in pericoloso fermento, come non accadeva da molto tempo, che chiedono la soppressione di qualsiasi sfruttamento del lavoro minorile, mascherato da formule legittime che penetrano fin dentro la scuola. L’occasione per i nostri politici era quella di ascoltare la voce di chi si sente tradito dal proprio paese, la voce di migliaia di studenti e studentesse, da Milano a Palermo, che hanno occupato le loro scuole e insieme ad altre associazioni hanno aperto tavoli di discussione, come gli Stati generali della scuola in corso da venerdì 18 fino ad oggi a Roma con l’obiettivo di rimettere in discussione la riforma della Buona scuola e discutere del loro futuro.

E, infatti, al Parlamento europeo si è presentato l’ennesimo contrasto tra i sostenitori dei diritti formali e i difensori dei diritti sostanziali, perché, evidentemente, c’è enorme differenza, da un lato, nel mero proposito di “combattere la pratica del tirocinio non retribuito” e, dall’altro, nell’urgenza di “mettere fuori legge qualsiasi pratica di tirocinio non retribuito ”, così come è evidente che c’è una smisurata differenza tra il proposito di voler combattere l’evasione fiscale, da un lato, e la decisione di aumentare a duemila euro il tetto del contante utilizzabile nelle transazioni. Ecco, con queste premesse, che sono poi quelle storiche, non deve essere difficile, dunque, intuire chi si è schierato a favore dei diritti formali e chi, invece, per i diritti sostanziali.

La desolante moltiplicazione delle tipologie di contratti, ormai deregolamentati, sempre più sfuggenti, precari, ma, soprattutto, privi di garanzie di stabilità, ha condotto in tutta Europa, ma in Italia in maniera massiccia, ad un abuso di contratti stage, tirocinio, apprendistato, tutti rigorosamente non retribuiti. La discussione all’interno del Parlamento europeo si è aperta con un emendamento, presentato da Socialisti e Verdi, al testo sulla regolamentazione dei contratti di tirocinio all’interno della risoluzione dal titolo “Rafforzare il ruolo dei giovani europei: occupazione e ripresa sociale dopo la pandemia”, con il quale alla mera condanna si proponeva di sostituire l’espressione “vietare in modo effettivo e applicabile”, proposito che, se fosse stato adottato, avrebbe costretto i singoli Stati a procede rendendo illegali i contratti non retribuiti.

E, invece, l’occasione è sfuggita, per cui le destre europee, cioè popolari, conservatori, liberali e sovranisti, tra cui compaiono la Lega e Forza Italia, hanno votato contro l’idea che per risolvere realmente le questioni, soprattutto se riguardano le nuove generazioni, si debba far ricorso a dispositivi giuridici fattuali, sostanziali e non a mere prese di posizione di facciata e condanne formali, che nei fatti poi non hanno alcuna efficacia.

Tuttavia, l’aspetto interessante di questa vicenda, qualora non fossero abbastanza chiare ad una parte considerevole degli italiani e delle italiane le logiche della politica di casa nostra, è che a votare insieme alle destre europee, contro i diritti sostanziali e per i diritti formali, c’è stato anche Carlo Calenda, già esponente di punta dei governi Letta e Renzi e adesso rappresentante liberal-progressista della neoformazione politica Azione.

Dalle vicende di questi giorni, dunque, tra proteste studentesche e decisioni istituzionali è evidente che i giovani e la politica parlino due lingue diverse e l’emblema di questa dissonanza semantica e linguistica, che adombra una più corposa dissonanza ideologica e progettuale, è tutta racchiusa in quella alternanza/alternativa tra scuola e lavoro. Proprio in questa dissonanza si palesa in tutta la sua crudezza l’orientamento ideologico alla base del ragionamento che guida l’attuale politica, che, nell’alternativa, assegna le precedenza al lavoro e non alla scuola.

Il riconoscimento, diremmo biopolitico, di soggetti in qualità di studenti e studentesse all’interno di processi di crescita intellettuale, morale, sociale e civile nella scuola è oggi totalmente subordinato all’esistenza biopolitica di soggetti in qualità di lavoratori e lavoratrici. Se non si comprende questa logica, che è esattamente quella neoliberista, non si comprende nemmeno il disegno assolutamente pregiudicato che conduce a inserire l’alternanza scuola-lavoro nei Licei e ad innestare i percorsi dei Centri di Formazione Professionale (CFP) e degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), di competenza regionale e privata, orientati al lavoro, nel segmento dell’istruzione alternativa alla scuola pubblica, statale e laica, nella convinzione, sostenuta dal Ministro Bianchi, che «le persone, oltre a una conoscenza di base, possono apprendere dallo stesso lavoro che stanno realizzando»[1].

Con queste premesse e con questa classe politica come rappresentativa del nostro Paese, nonostante il clamore suscitato e l’entusiasmo naïf dei vecchi sessantottini, che di occupazioni e manifestazioni si sono nutriti, il monito dei nostri studenti e delle nostre studentesse rassomiglia brutalmente a quello inascoltato del profeta Isaia nel deserto: «Vox clamantis: in deserto parate viam».

[1] P. Bianchi, Nello specchio della scuola, il Mulino, Bologna 2020, p. 89.


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a cura di Michele Lucivero

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