Da anni si va rafforzando l’opinione che il più utile strumento di miglioramento del sistema giudiziario italiano (ma il rilievo vale anche per tutti gli altri Paesi) sia quello di una “ forte professionalità” dei magistrati, conseguente, soprattutto, da una loro attività tendenzialmente specialistica a fronte della varietà di reati.
In effetti, la straordinaria complessità dell’ordinamento giuridico, sconosciuto nel passato, l’uso continuo, da parte del legislatore, di un lessico difficile e connotato da molti tecnicismi, spesso eccessivi, in una società a crescente globalizzazione hanno determinato l’evidente superamento di quell’ormai arcaico modello organizzativo degli Uffici Giudiziari che prevedeva una ripartizione del lavoro ai magistrati in modo pressoché casuale, quasi essi fossero onniscienti conoscitori delle molteplici materie del diritto.
La realtà ha, invece, evidenziato il valore della specializzazione (intesa come esigenza non di un giudice “speciale“, giustamente avversato dalla Costituzione, ma di un giudice “specializzato”) e del buon andamento degli uffici, nell’interesse generale; da tempo, è opinione diffusa quella secondo cui, di fronte al progressivo intensificarsi e e complicarsi dei fenomeni sociali, è necessario potenziare la selezione attitudinale e la marcata specializzazione dei giudici.
Tuttavia, anche se il modello antico del giudice tuttofare (come il vecchio Pretore), che opera svolgendo indifferentemente le funzioni più disparate e promiscue, è radicalmente superato, la realtà dimostra, invece, che il legislatore italiano stenta a stare al passo con i tempi e con l’evolversi della società. E così, continua ad assegnare alla cognizione di giudici non specializzati materie (sia in civile, sia in penale) che, per la loro particolare complessità, richiederebbero l’intervento di veri e propri specialisti, divenuti tali in virtù non solo di una forte preparazione nei singoli campi, ma altresì dell’esercizio concreto e continuo delle relative funzioni per un tempo adeguato.
In Italia si è data un’importanza eccessiva al principio della temporaneità delle funzioni dei magistrati e della specializzazione tabellare, frutto della scelta del legislatore di privilegiare una più accentuata tutela di presunta garanzia, rappresentata soprattutto dalla necessità di assicurare l’astratta imparzialità del giudice. Ma la scelta legislativa (peraltro, sorprendentemente suggerita e sollecitata dalla stessa magistratura associata) si è dimostrata miope ed ha creato non pochi problemi al “sistema giustizia”, per aver determinato, con accentuata frequenza, una diffusa disarmonia anche nelle pronunce della Suprema Corte ed un preoccupante pressappochismo decisionale in talune materie, maggiormente tecniche, che trovano frequente riscontro anche nei media.
Significativi esempi di un tale negativo fenomeno sono, per ciò che riguarda il penale, i reati finanziari e quelli di diffamazione a mezzo stampa.
I primi già sono di incerta definizione ed hanno diverse fonti normative: T.U.F. (dlgs n. 58/1998), codice penale, codice civile il successivo dlgs. N. 21/2018 ecc.). Ma le difficoltà di perseguirli sono soprattutto legate alle loro frequenti implicazioni internazionali (per movimentazioni di ingenti quantità di denaro in cosiddetti paradisi fiscali o in contesti malavitosi), alla normale complessità della loro struttura, che richiede particolari sforzi nel seguire, anche dal punto di vista fattuale, gli intrecci dei vari interessi economici. Soprattutto, però, la difficoltà delle indagini è legata al fatto che, solitamente, in tali reati sono coinvolte persone legate ad una criminalità non violenta, ma astuta e rappresentata da persone apparentemente rispettabili e di elevato status sociale, per di più in grado di avvalersi di avvocati difensori loro sì iperspecializzati.
E, di fronte a tali comportamenti criminali, può lo Stato tentare un’adeguata difesa della Società avvalendosi di giudici generalisti, che quotidianamente si devono occupare delle più svariate materie. La risposta ci pare scontata.
Analoghe considerazioni valgono per altre ipotesi di reato, fra le quali, come si è detto, la diffamazione a mezzo stampa. Per esse, infatti, è molto elevato il pericolo di scelte ideologiche (come tali, essenzialmente basate su valutazioni ondivaghe e prettamente soggettive) nelle decisioni, con il conseguente rischio che la discrezionalità del giudice (necessariamente presente) si trasformi in arbitrio. Non è infatti, poco frequente che i medesimi comportamenti vengano considerati diffamatori da alcuni giudici e, invece, del tutto legittimi da altri.
Gli intrecci dei singoli elementi di questo reato ed il necessario bilanciamento dei diversi diritti tutelati (soprattutto quello alla reputazione con quelli di cronaca e di critica), richiedono una professionalità forte e specifica da parte del giudice, che si acquisisce solo nel tempo e sulla base di una prolungata esperienza.
Ancora una volta, dunque, sembra doversi sottolineare un concetto che deve essere alla base del “sistema giustizia”: occorre pensare alla centralità del valore dell’efficienza e, quindi, della professionalità e della specializzazione dei giudici, che non possono occuparsi, indifferentemente, di ogni materia. L’astratta garanzia della terzietà del magistrato deve essere insita nella stessa funzione giudicante e non può essere collegata alla sua specializzazione professionale.
Qui il precedente intervento dell’avv. prof. Rodolfo Bettiol
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