Per una settimana, la quotidianità di milioni di italiani è stata scandita dalla speranza in un esito diverso, in una risoluzione rincuorante che non rendesse Giulia Cecchettin, ventiduenne veneziana di Vigonovo, la centottesima vittima di femminicidio. Ma ieri, 18 novembre, ci siamo tutti dovuti scontrare con una verità che si nascondeva già da giorni dietro gli sguardi reticenti e nelle menti più sincere.
Nonostante articoli, libri, discorsi che sono stati scritti e pronunciati a iosa come denuncia della violenza sulle donne e dei suoi, frequenti, esiti drammatici, quello che si può definire l’ennesimo scossone mediatico, di cui sono molto spesso prodotto, è e rimane cosa di qualche settimana, forse ha la pretesa di resistere per massimo un mese fino poi a lasciare spazio alla quotidiana ultim’ora.
La vicenda di Giulia Cecchettin colpisce ancora di più per la giovane età della vittima, ma soprattutto del carnefice, Filippo Turetta: anche lui, come Giulia, poco più che ventenne. Eppure anche questo figlio del nuovo millennio dovrebbe aver potuto godere dei passi avanti in campo scolastico, sociale e famigliare: avrebbe potuto partecipare agli incontri nelle scuole di prevenzione della violenza sulle donne, alle lezioni di educazione all’affettività, avrebbe potuto avere un maggior dialogo con i genitori e maturare una sensibilità diversa verso la psicoterapia e la richiesta di aiuto per disagi mentali. Allora cosa sfugge se questo è avvenuto? Perché questo sistema educativo apparentemente progredito e disponibile fallisce nell’insegnamento del valore del rispetto, del significato dell’amore?
Per prima cosa, è necessario smettere di concepire la scuola come un luogo a sé stante rispetto all’ambiente famigliare o a quello sociale, sottraendolo al suo attuale dovere non scritto di essere esclusivamente votato alla singola impartizione di nozioni. I fatti che si verificano tutti i giorni dimostrano come non bastino dei moduli di educazione civica sparsi qua e là durante l’anno scolastico, senza un filo logico definito e soprattutto trasversali a tutti i professori, per formare cittadini responsabili e attivi e promuovere un’effettiva partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità.
Allo stesso modo, introdurre solo saltuariamente un incontro con enti e professionisti, per quanto competenti in determinati temi quali l’affettività o la prevenzione alla violenza, preclude la possibilità di assicurare allo studente un percorso di crescita e di sviluppo. La scusa del “è tutto a portata di click” ha progressivamente portato la scuola ad affidarsi, non tanto alla famiglia che ben presto si è dimostrata disattendere questo ruolo valoriale, quanto al ragazzo stesso per temi considerati meno utili per la formazione culturale e professionale dell’alunno medio. Ecco quindi che tra le mura scolastiche perde di consistenza ogni lezione di vita e del vivere, nella speranza che il ragazzo impari da sé gestendo ogni esperienza positiva e negativa.
Ugualmente non si può negare una presenza a più livelli di un residuo di mentalità sessista che definisce le donne oggetto e non soggetto dell’amore dell’uomo e, quindi, “cose” di proprietà di quest’ultimo che a lui non possono sottrarsi: ecco, quindi, la dinamica anche di questo femminicidio, che da una settimana ha sconvolto l’opinione pubblica.
La tragica scomparsa di Giulia ha provocato una movimentazione sociale fortissima che nasce da un senso di impotenza cieca unito a una rabbia che grida a una pena esemplare perché Giulia ha portato via con sé il tappeto sotto cui vi era la polvere, una finta perfetta organizzazione del sistema sistema scolastico. Quest’ultimo infatti, seppur produttore di risultati eccellenti, ha progressivamente abbandonato alla discrezione del singolo e delle famiglie, in cui talune volte persiste l’oggettificazione della donna o la sua sottomissione all’autorità maschile, la trasmissione dei valori base su cui si regola il vivere civile e con i quali si misurano le proprie azioni e reazioni.
In un momento così straziante e disumano, non bisogna però abbandonarsi a una rabbia infruttuosa. Le numerose frasi e riflessioni che circolano sui social, sulle prime pagine dei giornali e negli sguardi sconvolti possono concretizzarsi in qualcosa di altro rispetto al dolore e alla rabbia, in una spinta verso un’ azione fattuale nella vita di tutti i giorni. Non lasciamo che questa fiamma, che si è alzata, si spenga con il passare dei giorni. Non permettiamo che quello di Giulia Cecchettin sia l’ennesimo femminicidio che risente di una grande attenzione mediatica e poi diviene un nome qualunque tra quei centootto. Fino ad oggi.