Al via oggi 20 febbraio 2024 davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma il processo ai quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso in Egitto nel 2016.
Nelle liste dei testi depositate dalle parti compaiono, tra gli altri, i nomi del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, dell’ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, di Marco Minniti, ex responsabile della autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, dei tre capi dei servizi segreti che si sono succeduti nel tempo, dell’allora segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni e dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.
Al processo sì è arrivati dopo la decisione del Gup Roberto Ranazzi di rinviare a giudizio i quattro egiziani accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco al termine dell’udienza preliminare ripresa dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha sbloccato il processo.
I quattro agenti della National Security che andranno a processo sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
Giulio Regeni, 28 anni, sparisce al Cairo il 25 gennaio del 2016 mentre si trova lì per svolgere una tesi di dottorato per l’Università di Cambridge sui sindacati egiziani. A dare l’allarme sono gli amici del ricercatore con un tam tam sui social e l’hashtag #whereisgiulio.
Meno di una settimana dopo, il 1 febbraio 2016, il corpo di Giulio con evidenti segni di tortura, viene ritrovato abbandonato ai bordi di una strada non lontano dalla capitale egiziana. Mentre la salma del ricercatore rientra in Italia dove, nel suo paese natale, Fiumicello, si svolgono i funerali, la Procura di Roma apre un’inchiesta per far luce sulla vicenda. Ma fin da subito la collaborazione con l’Egitto appare difficile.
A marzo dal Paese fanno sapere di aver individuato gli assassini di Regeni nei membri di una banda criminale rimasti uccisi in una sparatoria con la polizia e di aver trovato i documenti di Giulio a casa della sorella del capobanda. Ma la ricostruzione non convince.
E’ un video trasmesso dalla tv egiziana il 23 gennaio 2017 a mettere gli inquirenti sulla pista giusta. In quel filmato il capo del sindacato degli ambulanti Mohamed Abdallah afferma di aver denunciato Giulio Regeni credendolo una spia. Ma la collaborazione con gli inquirenti egiziani è opaca e in salita. Sarà lo stesso procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, a due anni dalla scomparsa di Giulio, il 25 gennaio 2018, a denunciare gli ostacoli con la procura egiziana.
Ma nel dicembre dello stesso anno la procura di Roma chiude le indagini accusando quattro 007 egiziani, ufficiali della National Security egiziana di concorso in sequestro di persona e uno di loro anche per omicidio. E’ il 25 maggio del 2021 quando il gup Pierluigi Balestrieri manda a processo i quattro 007. Il 14 ottobre 2021 si apre il processo in Corte d’Assise ma durerà pochissimo perché i giudici rinviano gli atti al Gup in quanto manca la prova che gli imputati egiziani siano certamente a conoscenza del procedimento nei loro confronti. Ma gli agenti non si trovano e l’Egitto non collabora.
Nel settembre 2023 la Consulta sblocca il processo accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma e stabilendo che si possa procedere anche in assenza degli imputati egiziani. Processo che si apre oggi.
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