C’è chi rischia 4 anni di carcere per aver rubato due bottiglie di liquore. Chi finisce arrestato e processato per direttissima – un giovane pescatore di Sant’Agata di Militello (Messina) – perché “colto in flagrante” a prelevare sette pietre dal lungomare: le stava caricando su un furgone per fissare le sue reti da pesca in fondo al mare. E chi – come il giovane etiope El Israel – è già stato condannato in primo grado per aver spezzato due rametti da un cespuglio, cogliendone dei fiori la fidanzata: ha danneggiato un oleandro con l’aggravante d’aver commesso il fatto su “bene esposto alla pubblica fede”. E che dire dei 10 anni di carcere rischiati da quel rumeno che, nel 2015, fu arrestato a Roma per aver rubato ben 22 pigne con l’aggravante della violenza commessa al pino (nel senso dell’albero)?
Si rischia meno, bisogna ammetterlo, a trafficare in mazzette. O a frodare il fisco. O a corrompere, più in generale. I dati del ministero di Giustizia ci dicono che le carceri italiane, di detenuti – tra imputati e condannati – per corruzione, ne contano 432. E comunque, dovendo scegliere tra frodare il fisco per milioni o mettersi in saccoccia un paio bottiglie di liquore o due fiori per la fidanzata, bisogna ammettere che si rischia meno coi milioni. Qualche esempio.
SILVIO BERLUSCONI. Dopo aver infilato due amnistie e 8 prescrizioni, nel processo sui diritti Mediaset viene condannato per frode fiscale a 4 anni. È il maggio 2014. La frode fiscale ammonta a 368 milioni di dollari ma viene prescritta, salvo che per una fetta, pari a 7,3 milioni di dollari, pari a circa 6,6 milioni di euro. Volendo convertire la cifra in bottiglie di liquore, ipotizziamo da 15 euro cadauna, saremmo di fronte a uno stock da 440 mila pezzi. Ben 439.998 bottiglie in più dell’u om o condannato a quattro anni dal Tribunale di Torino. Impossibile la conversione in fiori per la fidanzata o pigne prelevate dai pini. Pur tuttavia, Berlusconi ha usufruito di 3 anni d’indulto. E soprattutto: in carcere non c’è mai stato. Ha saldato il suo conto con la giustizia attraverso 168 ore trascorse, dal maggio 2014 al marzo 2015, tra i vecchietti dell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone.
CESARE ROMITI. Ex presidente Fiat, accusato per bilanci falsi e mazzette dell’azienda torinese ai partiti, viene condannato in via definitiva nel 2000 a 11 mesi e 10 giorni. Nel 2003 viene revocata la condanna per il falso in bilancio perché il fatto non è più previsto come reato.
PAOLO SCARONI. Per le tangenti versate al Psi in cambio di appalti Enel, quando lavorava per Techint, nel 1996 patteggia un anno e 4 mesi. Il governo B. nel 2005 lo nomina a Eni. Ottima intuizione: oggi è imputato a Milano per corruzione internazionale nel processo per la presunta tangente versata da Eni in Nigeria per l’acquisto del giacimento Opl 245.
BELSITO E BOSSI. Il procuratore generale della Cassazione Marco Dall’Olio, a maggio, ha chiesto la condanna a 3 anni e 9 mesi per l’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito. Accusato di appropriazione indebita, Belsito è stato condannato a 1 anno e otto mesi di reclusione, con pena sospesa. La Suprema Corte ha stabilito il non luogo a procedere per Umberto Bossi.
CIRINO POMICINO. Esponente di primo piano nella Democrazia cristiana, durante Mani Pulite viene più volte indagato e anche arrestato. Le condanne sono due: 1 anno e 8 mesi di reclusione, per finanziamento illecito ai partiti nel processo Enimont, e 2 mesi di reclusione per corruzione, patteggiate per l’ambito dell’inchiesta sui fondi neri Eni. Nel 2011 Pomicino chiede e ottiene dal Tribunale di sorveglianza di Roma un’ordinanza di riabilitazione.
GIANCARLO GALAN. Ex ministro delle Politiche agricole e dei Beni culturali, con Berlusconi premier, nonché presidente della Regione Veneto dal 1995 al 2010, Giancarlo Galan è stato a lungo uno dei politici più potenti del Nord Est. Nel 2014 viene indagato per corruzione quando la Procura di Venezia scoperchia il giro di mazzette legato al Mose. Galan patteggia due anni e dieci mesi di reclusione. Gli viene confiscata la villa sui Colli Euganei. E gli viene richiesto un risarcimento di 5 milioni e 808 mila euro per danni all’immagine e da disservizio. Ad aprile gli investigatori della Guarda di Finanza di Venezia, coordinati dal procuratore aggiunto Stefano Lancillotto, alla ricerca dell’eventuale “tesoretto” di Galan, ha indagato per riciclaggio Paolo Venuti e Alessandra Farina, ovvero il suo commercialista e la moglie del professionista. Galan non è indagato, avendo peraltro già patteggiato. Non sappiamo se la procura individuerà il presunto tesoro dell’ex ministro. Di certo, però, la sua condanna è inferiore di 14 mesi rispetto al ladruncolo delle due bottiglie di liquore.