Ezio Glerean, ex giocatore professionista e allenatore ormai di lungo corso visto che è in panchina dal 1988, ha rilasciato recentemente un’intervista al Giornale di Vicenza in cui dice cose importanti sul calcio di oggi. Il suo è un punto di osservazione oggettivo e disinteressato perché, dopo le esperienze fra i Professionisti, è tornato fra i Dilettanti ed allena dal 2017 la Marosticense, che gioca nel campionato di Promozione.
Glerean è un tecnico dalle idee chiare e dalla visione tecnica moderna: è stato, fra l’altro, l’artefice della doppia promozione del Cittadella dalla C2 alla Serie B e ha nel curriculum anche due panchine (1990-1993 e 2006-2009) nel Bassano Virtus di Renzo Rosso.
C’è stata soprattutto un’affermazione molto forte del tecnico friulano: “gli allenatori non contano più niente, devono solo gestire il gruppo, mentre sono i direttori sportivi che fanno le squadre e scelgono gli allenatori, ma se poi i risultati non arrivano viene cacciato il tecnico. I direttori sportivi hanno troppo potere”.
Niente male come bordata, coraggiosa per di più, perché con essa Glerean si sarà inimicato l’intera categoria dei ds. L’analisi, pur lucida è forse un po’ troppo generica, perché è evidente che va contestualizzata da società a società. Comunque, porta all’evidenza che è molto diffuso uno squilibrio nei due principali ruoli dell’area tecnica (allenatore e direttore sportivo) che privilegia l’uomo-mercato rispetto all’uomo-panchina, emarginato nella costruzione della rosa.
Se così fosse davvero, si spiegherebbero certi inspiegabili fallimenti di squadre che, pur dotate di organici importanti, non riescono a fornire un rendimento pari alle aspettative e alle potenzialità (presunte?). L’allenatore si troverebbe, infatti, a lavorare con giocatori non adatti alla sua idea tattica o scelti per caratteristiche che non sono quelle da lui preferite.
Ai maliziosi sarà senz’altro venuto spontaneo pensare a quello che sta succedendo al Vicenza, penultimo in classifica e sconfitto sette volte su otto dall’inizio del campionato, pur disponendo di uomini che non sono proprio gli ultimi arrivati almeno fra i Cadetti. Molti tifosi hanno puntato il dito sul direttore sportivo Giuseppe Magalini, accusandolo di cattiva gestione del calciomercato e, in particolare, di non aver messo a disposizione di Di Carlo, prima, e di Brocchi, poi, una rosa adeguata non solo ad “alzare l’asticella”, come promesso dai vertici societari a inizio stagione, ma nemmeno a una salvezza tranquilla.
È innegabile che, dopo un quinto di campionato, la costruzione della identità tecnica e agonistica della squadra sia ancora incompiuta: una formazione-tipo non c’era con Di Carlo, portato per di più a un turn over sistematico e spesso poco motivato, e il successore l’ha messa fra i primi obbiettivi del suo lavoro. Gli avvicendamenti dei giocatori sono stati numerosi, dal portiere (con la staffetta Pizzignacco-Grandi) al regista, dal trequartista alle mezzali per finire con la coppia di attaccanti. Non tutti questi cambi sono stati motivati da infortuni o squalifiche, anzi quasi sempre sono stati il risultato di scelte tecniche e ciò significa che l’allenatore non ha trovato nei prescelti le risposte che si attendeva.
Non sapremo mai quale quota di responsabilità abbia avuto Di Carlo negli acquisti di certi giocatori, ma è pacifico che era il direttore sportivo a portare a Vicenza quelli che servivano a realizzare il progetto tecnico dell’allenatore. Un esempio lampante: se Di Carlo voleva giocare con il centrocampo a rombo imperniato su regista-coppia di mediani-trequartista, ebbene era il ds che doveva trovare gli uomini giusti. Di mediani, invece, il Lane ne ha anche troppi ma un trequartista proprio no (ed è dall’anno scorso che si trascina questa lacuna) e il play maker è arrivato solo alla chiusura del calciomercato e, dopo un mese e mezzo, non è ancora in grado di giocare una gara intera. Di ciò si può dare la colpa all’allenatore? Certo che no, però è Di Carlo che è stato licenziato.
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