Goleto, Greco di tufo DOCG. Eccellenza d’Irpinia sul “Wine Specialists Journal”

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Vigneti Greco di Tufo DOCG, ph. Simona Servillo
Vigneti Greco di Tufo DOCG, ph. Simona Servillo

La valorizzazione della regione collinare dell’Irpinia passa attraverso il recupero della terra e dei vitigni autoctoni, tra cui sicuramente c’è il Greco di Tufo, una della quattro DOCG della Campania. Si tratta di una regione, situata tra le province di Avellino e Salerno, che viene quotidianamente addomesticata e di cui i suoi abitanti si prendono magistralmente cura con grande rispetto, come fanno molti produttori della zona, alcuni giovanissimi, tra cui spiccano soprattutto le donne per capacità, competenza e dedizione al loro lavoro, come nel caso della nostra cara amica Milena Pepe delle Tenute del Cavalier Pepe.

Tra le nostre esplorazioni enonautiche in Campania ci siamo imbattuti in una piacevole sorpresa, infatti, proprio in provincia di Avellino, a Lapìo (n. 180), si trova una delle Panchine Giganti del Big Bench Community Project. Recentemente installata a cura dell’Associazione culturale Laboratorio Teatro Lapiano, la Big Bench arancione, illuminata anche nelle ore notturne, si staglia su un panorama mozzafiato, bellissimo sia in piena giornata, caratterizzato da una distesa collinare di vitigni e altre coltivazioni tipiche, come la nocciola e la castagna, ma suggestivo anche in serata, perché dal pendio si possono ammirare le luci dei borghi in lontananza, incastonati nelle montagne limitrofe.

Ora, la verità è che noi, imperterriti viaggiatori ed enonauti, alla Big Bench siamo arrivati colpevolmente in ritardo, solo in tarda serata, perché non ci siamo sottratti al piacere di trascorrere l’intera giornata presso la Cantina dei Feudi di San Gregorio. Situata nel paesino di Sorbo Serpico, la Cantina dei Feudi di San Gregorio è una delle etichette più prestigiose dell’Irpina, la cui notorietà a livello internazionale l’ha spinta a realizzare numerose collaborazioni con artisti, fotografi e designer di fama mondiale.

Non vi è soltanto una ricerca nell’architettare le bottiglie dell’azienda, come quelle satinate e sfiziose del DUBL, così come non vi è soltanto la cura dei particolari all’interno dell’edificio, diventato quasi un museo, ma anche la stessa struttura che ospita la cantina, realizzata dall’archistar giapponese Hikaku Mori, si presenta come un progetto futuristico. Qui la natura e la cultura s’intersecano, infatti i giardini di rose e fiori all’esterno conferiscono la giusta umidità alla cantina sottostante.

Tra le tante eccellenze degustate presso i Feudi di San Gregorio, tutte perigliosamente selezionate da un maestro enologo come Pierpaolo Sirch, siamo rimasti piacevolmente colpiti dal design e dall’etichetta di una bottiglia, raffigurante un curioso portale ad ogiva, che faceva bella mostra di sé sugli scaffali e di cui non c’è, purtroppo, alcuna traccia sul sito della cantina dei Feudi per le ragioni che presto vi diremo.

Ciò che abbiamo puntato, infatti, è Goleto, un Greco di Tufo DOCG del 2017, un esperimento voluto e curato personalmente, insieme a Gulielmus, un Taurasi Riserva DOCG 2015, dal patron dell’azienda Antonio Capaldo, il quale ha voluto dedicare due bottiglie davvero particolari, di circa 6000 esemplari l’una, alla misteriosa Abbazia di Goleto, fondata nel XII secolo da San Guglielmo, da cui, si racconta, Capaldo sia rimasto molto colpito.

Goleto, Greco di Tufo DOCG 2017
Goleto, Greco di Tufo DOCG 2017

Goleto proviene da uve Greco di Tufo selezionate da un cru di 2,5 ettari nell’areale di San Paolo, nel paese di Tufo, all’interno del disciplinare, in vigneti di oltre trent’anni, dopo una sperimentazione di circa dieci anni. La sperimentazione pare abbia coinvolto anche l’altro vitigno gemello della zona, il Fiano di Avellino, ma solo il Greco di Tufo è stato ritenuto idoneo all’invecchiamento e così l’ha spuntata sul Fiano, il quale, del resto, si presta molto alla spumantizzazione. Dopo la raccolta a mano e la pigiatura, l’80% del vino fa affinamento in legno, in tonneaux leggermente tostati, mentre il restante 20% va a finire in anfora, per poi riposare ancora un altro anno in bottiglia. Il risultato è un vino spettacolare da 13,5% vol. alcolici, che alla vista si presenta di colore giallo dorato, brillante, mentre al naso la sua ampiezza restituisce sentori fruttati e floreali di fiori d’acacia e di frutta esotica, un’interessante nota minerale, proveniente dalla terre sulfuree, ma, soprattutto, si avvertono tostature davvero insolite per un bianco, che, però, risultano assolutamente piacevoli.

All’assaggio il vino conserva solo in parte la memoria e la freschezza del Greco di Tufo giovane in purezza, infatti si presenta secco, caldo nell’alcool, rotondo, sapido e di corpo esile, con tutti i crismi per rendersi conto di essere davanti ad un vino unico, di grande bevibilità, sicuramente con lunghe prospettive ancora di affinamento. Per le sue caratteristiche questo vino avrebbe bisogno di essere accompagnato da piatti dal gusto deciso, come frutti di mare, noci bianche, cozze pelose, ma anche primi di crostacei e secondi di frittura, sempre di pesce, ovviamente.

Prosit!