Oggi (a partire dalle 15, fonte Public Policy) e domani Mario Draghi vede per la seconda volta i partiti. Apparentemente ottenere il sì dei partiti che hanno sostenuto il Conte II, più Forza Italia e Lega, era la parte poiù difficile e ora la strada per un esecutivo Ursula, o di larghe intese, con un’ampia maggioranza insomma, dovrebbe essere in discesa. E invece no, non è così, perché il partito che in Parlamento ha più voti, il Movimento 5 Stelle, ha posto delle condizioni, cioè che il governo non sia interamente tecnico. Quindi Draghi dovrà tenerne conto nella scelta dei ministri. Ma poi c’è anche il nodo programma: il M5S, con il suo 32% raccolto alle elezioni del 2018, difficilmente potrà rinunciare a cavalli di battaglia come il reddito di cittadinanza e la riforma della giustizia. D’altra parte, dato per acquisito il fatto che Salvini, convinto da Giorgetti, possa fare un passo indietro rispetto al sovranismo, difficile pensare che possa accettare di rinunciare a Quota 100. Difficile quindi pensare che Draghi possa 1) fare delle scelte politiche e 2) che possa durare fino al 2023 data di scadenza naturale del mandato, mentre è più probabile che di fatto si limiterà a gestire i 209 miliardi del Recovery Fund e il piano vaccinale e le misure anti-Covid in un modo che vada bene a tutti i partiti che lo sosterranno. Ma le riforme della scuola, della sanità, della giustizia, della legge elettorale, saranno probabilmente rimandate al prossimo governo, tutto politico, che sarà o di centrodestra o di centrosinistra.