Gramellini contro Orsini tra “pacinarcisismo” e “pacifismo cinico”, “Filosofia in Agorà”: fraintendimento pacifica equivicinanza

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Massimo Gramellini e Alessandro Orsini
Massimo Gramellini e Alessandro Orsini

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca. Lo spettacolo indecoroso e imbarazzante al quale assistiamo basiti da qualche settimana con la ridicolizzazione, banalizzazione e riduzione di complessità da parte di Gramellini, Parenzo e altri delle argomentazioni filosofiche di Donatella Di Cesare in favore della necessità di trattative di pace e quelle sociologiche di Alessandro Orsini a sostegno della inopportunità di alimentare la guerra tra Russia e Ucraina con più armi assomiglia molto, vogliamo ricordarlo, a quello al quale abbiamo assistito qualche mese fa e che abbiamo documentato nelle nostre pagine di “Filosofia in Agorà” a proposito della ridicolizzazione, banalizzazione e riduzione di complessità del discorso di Agamben e Cacciari, filosofi, e di Ugo Mattei, giurista, sulla necessità di fermarsi a riflettere sull’imposizione (politica), sulla quale deve essere sempre legittimo discutere, di un green pass per risolvere una questione di carattere sanitario.

Si tratta di una banalizzazione che, in quanto tale, raccoglie l’opinione mainstream, la quale non è abituata a problematizzare e a insinuare il dubbio nelle questioni, attività che richiede molto esercizio ed equidistanza dai fatti. Da questo punto di vista, è evidente che non può avvenire sullo stesso piano un confronto nel formato del talk show televisivo tra un bravissimo giornalista come David Parenzo e un docente universitario come Alessandro Orsini, giacché l’attribuzione di “supercazzola” da parte del primo all’argomentazione del secondo obbedisce ad una logica dicotomica e volgare in cui ha la meglio il più navigato, cioè il bravissimo giornalista.

E anche lo stesso intervento di Massimo Gramellini, che resta un bravissimo giornalista, non manca di banalizzare, nella sua modalità scarna e ad effetto, tanto quanto può valere un caffè ristretto, la posizione di Orsini, associata addirittura ad un “pacinarcisismo, ridicolizzando il professore che, evidentemente, non è abituato ai tempi televisivi. Ed è, del resto, lo stesso schema che Gramellini aveva seguito per ridicolizzare Cacciari e Agamben sulla questione del green pass.

Ora, per restare nell’ambito della complessità dei fenomeni e associarci al coro di chi chiede che si riprendano al più presto le trattative per una soluzione pacifica del conflitto, senza armi e senza ulteriore spargimento di sangue tra i poveri ragazzi mandati al fronte, sarebbe bello se potessimo sostituire il concetto di equidistanza con quello di equivicinanza, non foss’altro che per ribadire definitivamente uno spirito di solidarietà, di connessione e compassione nei confronti di ogni uomo e ogni donna che continua a vivere sulla sua pelle la brutalità della guerra.

Chiariamo anche che con l’equivicinanza non vogliamo sostenere l’equivalenza delle posizioni in campo, a meno che non ci accontentiamo, ingenuamente e colpevolmente, di una conoscenza vacua, come quella che otterremmo nella celebre notte (e il nostro periodo in effetti di luce ne vede ben poca) in cui tutte le vacche sono nere, come diceva il caro filosofo Hegel[1].

Giusto per non essere fraintesi, quindi, vorremmo ricordare come, durante l’imperversare della pandemia, abbiamo fatto incetta ed abusato di metafore militari, che avrebbero dovuto chiarire l’atteggiamento, alla fine responsabile, da assumere collettivamente per fermare la diffusione del virus, anche con l’aiuto di un generale in prima fila. Abbiamo, quindi, creato e condiviso questo collegamento, retorico e dalle forti ricadute psicologiche, tra responsabilità collettiva e comportamenti militanti e irreggimentati nella guerra al virus-nemico. Nel frattempo, fomentati ad arte, visto che il nemico numero uno non lo abbiamo mai compreso fino in fondo, i format televisivi ci hanno disposto ad accettare nemici molto più tangibili. I nostri nemici sono diventati quelli che avevano posizioni diverse, critiche, rispetto alle soluzioni politiche messe in atto nell’emergenza e senza alcuna precauzione altra rispetto a quella di combattere la guerra al virus.

Abbiamo notato che nella transizione dal rischio pandemico al rischio atomico la postura collettiva è rimasta la stessa: non si ferma l’ansia di ricorrere ad un uso incauto delle analogie per sponsorizzare le proprie posizioni in merito al conflitto Russo-Ucraino: lo fanno giornalisti e persone di chiara fama, sacrificando l’interpretazione critica alla propaganda, rinunciando all’equidistanza da ogni forma di violenza e all’equivicinanza ad ogni dramma umano.

E così, quando si tratta di trovare le ragioni e la forza per proporre la PACE, noi torniamo sempre sulle pagine di don Tonino Bello, il quale, sempre criticato per il suo impegno pacifico ad oltranza, affermava: «Dire che, piuttosto che costruire cittadelle militari, sarebbe meglio edificare scuole o palestre, spetta agli studiosi di scienze umane. Affermare che i megapoligoni snaturano la vocazione del territorio, tocca agli ambientalisti. Indignarsi per gli sprechi dell’industria bellica e ipotizzare il dirottamento delle spese militari per risanare la disoccupazione, è compito degli economisti. Indicare l’assurdità di ogni guerra, visto che oggi essa si risolverebbe inesorabilmente in una catastrofe planetaria, è dovere dei pensatori. Sostenere che i soldi impiegati per costruire bombe sono un furto perpetrato a danno dei poveri, è ufficio degli educatori»[2].

È strano che proprio Gramellini, che pure aveva difeso una volta, in una polemica con Flavio Briatore, il valore della cultura e auspicato che «il virus dello studio si diffondesse anche tra i figli di papà», non apprezzi le argomentazioni e lo sforzo di docenti esperti di scienze umane, economisti, pensatori contro la guerra. Anche perché in quel caso Briatore, che pure se la gioca bene sul piano della riduzione di complessità, ricordava al mondo intero che Gramellini non era nemmeno laureato (fonte Wikipedia, lui citava), eppure a noi pare che abbia un incarico da docente presso l’Università IULM di Milano (sempre fonte Wikipedia)…come dire: chi di tastiera ferisce, di tastiera perisce!

[1] G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Bompiani, Milano 2000, p. 67.

[2] Don Tonino Bello, La teologia degli oppressi, Manni editore, Lecce 2003, pp. 122-123.


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a cura di Michele Lucivero

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