Il lettore G.F.F. mi chiede di rispondere a una domanda non facile: “Secondo lei, qual è stato il centravanti più forte del calcio biancorosso?” (qui la rubrica “Poggi risponde ai lettori“, ndr). La risposta non è semplice perché, in centovent’anni, sono cambiate molte cose nel football e, una di queste, è proprio l’interpretazione tecnica e tattica di un ruolo.
Come si fa a mettere a confronto un centravanti di un secolo fa, che probabilmente sapeva appena palleggiare, e uno moderno che, invece, dev’essere in grado di colpire il pallone con entrambi i piedi e di testa e magari anche saper difendere? L’attaccante centrale di oggi è diverso anche da quello di quaranta anni fa, che era il re dell’area di rigore diversamente dal suo pronipote che, invece, spesso è obbligato ad avviare i suoi movimenti anche fuori dei sedici metri.
Fatta questa premessa e tenutone ben conto, dovrei rispondere che il miglior numero 9 del calcio vicentino non potrebbe essere che Paolo Rossi. È stato l’unico attaccante biancorosso a diventare una star mondiale ed ha vinto tutto o quasi quello che può vincere un calciatore.
Eppure, per me Paolo Rossi non è stato il miglior centravanti che abbia giocato sotto i Berici. Perché non era un tipico centravanti nella visione classica del ruolo: giocatore strutturato, muscolare, potente, tiro forte e incornata in alta quota. “Paolino”, per usare il suo soprannome vicentino, è stato tutt’altro. È stato il primo attaccante moderno, che ha fondato sulla mobilità e sull’anticipo la sua vena di goleador in un’epoca in cui la punta centrale era ancora un giocatore che aveva come area di pertinenza quella di rigore, che si faceva largo nelle difese con il vigore fisico e l’esuberanza atletica, che doveva superare solitamente solo la coppia stopper-libero per aprirsi lo spazio per il tiro.
Paolo Rossi, invenzione tattica del suo allenatore e mentore Giovan Battista Fabbri, partiva invece da fuori area e, sfruttando scatto e imprevedibilità, sfuggiva ai difensori arrivando quasi sempre a concludere senza marcatori addosso. Il paradigma, cioè, dell’attaccante moderno, non solo finalizzatore ma anche funzione del gioco offensivo di una squadra. Il suo essere così in anticipo sui tempi ha reso Rossi, oltre che unico, anche incontrollabile per i difensori italiani almeno nei tre campionati che ha giocato vestendo il biancorosso e, nel Mundial dell’82, anche per i presuntuosi brasiliani.
Se, quindi, devo eleggere il miglior centravanti classico nella storia del Vicenza punto piuttosto su Luis Vinicio De Menezes detto “o lione”. Lui sì incarna perfettamente il ruolo qual è inteso tipicamente. Val la pena di raccontare la sua storia vicentina, perché è un pezzo di quel calcio romantico che oggi non c’è più. Campionato di Serie A 1962-1963, Vinicio è l’acquisto più importante fatto dal presidente Maltauro durante il suo settennato. Glielo consiglia Sergio Campana – sono stati insieme nel Bologna due anni prima – che garantisce sulla sua efficienza e sulla sua integrità non ostante non sia più giovanissimo (ha trent’anni) e abbia già undici campionati alle spalle.
La leggenda racconta che il centravanti brasiliano sia stato fermato dalla proposta del Lane quando si sta imbarcando a Genova per tornare in patria. Luis ha giocato cinque stagioni nel Napoli e due nel Bologna, è un bomber: sessantanove gol in azzurro (o bianco azzurro), diciassette in rossoblu. È proprio il Bologna a scaricarlo, preferendogli il più giovane Harald Nielsen. Nessuna squadra lo cerca, il campionato è già alla quinta giornata, il futuro sembra in Brasile. A metà ottobre il contatto, Vinicio accetta l’offerta di Maltauro e si mette a disposizione, senza riserve o remore, di una provinciale.
Nel campionato successivo, trascinata da Vinicio e dai suoi diciotto gol, il Lane – unica squadra veneta della A – centra il miglior piazzamento nella massima serie: sesto posto con trentasei punti. Per la seconda volta consecutiva vince lo “Scudetto delle Provinciali”. Metà dei gol segnati portano la firma del centravanti brasiliano, che si attesta al terzo posto fra i cannonieri.
L’annata migliore di Vinicio è quella 1965-1966: alla bella età di trentaquattro anni vince con venticinque gol la classifica marcatori e il Lane, sesto, eguaglia il miglior piazzamento assoluto in A. Vinicio va in prestito all’Inter di Helenio Herrera, campione d’Italia, per cinquanta milioni e la comproprietà di Sergio “Bobo” Gori. Ma a Milano “o lione” non ha lo stesso successo e, dopo un solo anno, fa ritorno a Vicenza.
La storia vicentina di Vinicio finisce il 12 maggio 1968. Nell’ultima partita con la Fiorentina il Lane conquista la salvezza matematica grazie allo storico gol su punizione di “o lione”, l’ultimo della sua lunga carriera. Centoquarantuno presenze e sessantotto gol sono il contributo di Luis Vinicio alla Nobile Provinciale.
Perché, dunque, incoronarlo come miglior centravanti del Vicenza? Perché lo è stato al cento per cento sia nelle caratteristiche tecniche e fisiche sia nel tipo di gioco e nella qualità di grande cannoniere. Chiudo con un ricordo personale: quando il Lane conquistava una punizione dal limite, Luis prendeva in mano il pallone e lo portava, con la sua tipica andatura dovuta alle gambe arcuate, sul punto della battuta. Il Menti letteralmente ammutoliva per esplodere in un coro di decine di migliaia di voci quando la sassata di Vinicio immancabilmente finiva in rete. Grande calcio.