Subito dopo l’introduzione dell’obbligo delle cinture di sicurezza circolava una storiella divertente su un sindaco che aveva previsto un premio in denaro da conferire alla prima persona rispettosa della nuova norma. L’agente di polizia preposto ai controlli, trovato finalmente il “cittadino virtuoso”, chiede: – Cosa farà con i soldi del premio? – Semplice, comprerò la patente! Accorgendosi della gaffe del marito, la moglie, seduta accanto, si affretta ad aggiungere: – non gli dia retta agente, mio marito straparla quando è ubriaco; l’agente è già incredulo quando, per ultimo, interviene il figlio del conducente dal sedile posteriore: – Papà ti avevo detto che era meglio non uscire con la macchina rubata!
La storiella ci fa riflettere su alcune contraddizioni proprie delle politiche dello Stato, che mentre predispone nuove misure di sicurezza e i necessari controlli per verificarne il rispetto, spesso si dimentica che altri obblighi, direttamente collegati alle nuove misure, vengono ripetutamente violati. Inoltre, capiamo pure che le imposizioni dall’alto, tese a modificare in modo repentino abitudini consolidate, vengono meglio digerite dai cittadini se accompagnate da un contemporaneo rinforzo positivo.
Bene, tutte le nuove misure, cui ci siamo adattati nell’ultimo anno e mezzo, hanno portato, consapevolmente o meno, ad aggiustamenti del nostro modo di intendere la realtà sociale, economica, culturale; in molti, per tener fede ad un alto principio di responsabilità, e pur mantenendo il cruccio della critica sulla fronte, hanno pensato che rinunce e sacrifici affrontati sarebbero presto o tardi serviti a garantire un bene superiore, un premio: la sicurezza e la salute personale e collettiva.
Anche l’introduzione del Green pass – gravato dall’opprimente sospetto di misura discriminatoria tra Vaccinati e Non-Vaccinati – può essere ricondotta, dalla narrazione istituzionale fatta propria dai Cittadini Responsabili col Cruccio in Fronte, nell’alveo delle politiche securitarie varate dai governi allo scopo di garantire un graduale ritorno alla normalità.
Del resto, ci dicono le statistiche, già nell’imminente attesa dell’entrata in vigore del Green pass, abbiamo assistito alla corsa verso l’hub più vicino da parte di numerosi cittadini attratti dal premio della riconquista delle loro sacre abitudini.
Stando ai dati, dunque, l’aumento dei responsabili che hanno deciso di seguire l’appello del Capo dello Stato non dovrebbe lasciar dubbi sull’accettazione condivisa della nuova misura e invece: il dibattito politico si è fatto incandescente, le manifestazioni di piazza si susseguono e a foraggiare posizioni estreme ha osato intromettersi persino la Filosofia.
Dopo la oramai ben nota ‘nota’ con cui Massimo Cacciari e Giorgio Agamben sono stati proclamati, senza volerlo, nuovi guru dei no-vax, il dibattito filosofico si è animato rimettendo in gioco interessanti argomentazioni. Alla ‘nota’ ha fatto seguito una levata di scudi dei Filosofi-Responsabili (ben riassunta dall’articolo di Lucivero) e un ultimo intervento ricco di richiami costituzionali e giuridici del solo Cacciari. Immaginiamo ulteriori sviluppi filosofici sulla questione, ma, nell’attesa notiamo che, per quanto la certificazione verde sia apparsa ai critici quantomeno una misura intempestiva, essa, rientrando nella categoria delle misure per l’esercizio in sicurezza delle attività sociali ed economiche, non è immune dalle contraddizioni insite nelle politiche securitarie.
Come ha messo in rilievo Byung-Chul Han nel suo recente testo La società senza dolore, nonostante il proliferare di «una moltitudine di istituzioni sanitarie e sociali che si fanno carico della salute, dell’educazione, delle incapacità connesse all’età, delle deficienze fisiche e mentali (…), le preoccupazioni relative alla sicurezza rimangono onnipresenti»[1]. Questo dipende dal fatto che i rischi che gli individui devono affrontare (economici, ambientali e, oggi più che mai, sociali) superano le loro capacità individuali di farvi fronte e, allora, essi preferiscono farsi rassicurare in seno alle istituzioni che promettono, a volte superficialmente, esoneri[2] alle minacce dell’incertezza.
Ciò accadeva ben prima del Covid-19, e succede anche adesso, benché esista sempre una radicale asimmetria tra l’aspettativa di sicurezza, che è socialmente costruita anche attraverso i richiami demagogici delle istituzioni che si autoproclamano protettrici indiscusse della vita e del benessere, e la loro reale capacità di realizzare ciò che promettono[3]. Tale scarto ricade inevitabilmente sulle persone e determina in loro frustrazione e uno spaesamento carico di effetti negativi sul legame sociale che ne risulta sfibrato.
Il Green pass ha cominciato il suo corso, ma intanto l’uomo securizzato e bonariamente rassicurato in seno alle istituzioni, ben lontano dalla sicurezza agognata, dovrebbe arrivare a comprendere che essere protetti implica sempre, anche, essere minacciati. È questo rovescio della medaglia della sbandierata sicurezza offerta dalle istituzioni che facciamo fatica a riconoscere, eppure, forse, teniamo la minaccia già fissa nei nostri retropensieri, visibile nel cruccio sulla fronte che ci accompagna ad ogni nuova misura varata per salvaguardare la nostra sicurezza.
[1] Byung-Chul Han, La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, Einaudi, Torino 2020, p. VIII.
[2] Cfr. Arnold Gehlen, Prospettive antropologiche. L’uomo alla scoperta di sé. Il Mulino, Bologna 2005.
[3] Cfr. Robert Castel, L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti, Einaudi, Torino 2011, pp. VIII-IX-X.
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a cura di Michele Lucivero
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