Green Pass Covid, immunologa padovana Viola a Cacciari e Agamben: “serve per salvare posti lavoro, vaccino diminuisce possibilità morte e contagio”

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Antonella Viola Dir.sc. IRP Città della Speranza
Antonella Viola Dir.sc. IRP Città della Speranza

La tentazione di argomentare con i filosofi sui concetti di libertà, diritti e doveri individuali e collettivi è forte, lo ammetto. Tuttavia, non credo che sarei seria o credibile. Pur avendo letto Sant’Agostino e Kant, Marx e Heidegger e non i blog di qualche filosofo non accreditato dalla comunità di riconosciuti esperti nel settore, non mi lancerei mai in una battaglia del genere, perché credo nelle competenze e nel valore degli anni e la fatica dedicati ad ottenerle.
Non solo: su alcuni dei punti sollevati da Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, nel loro documento dedicato al green pass, sono anche d’accordo. L’uso del green pass non può e non deve essere considerato uno strumento punitivo o di discriminazione; se visto in questi termini è orribile e, se pure utilissimo, sarebbe comunque da rigettare anche solo come ipotesi. Ma i filosofi sanno benissimo che questa è solo un’interpretazione del green pass, semplicistica e strumentale.
Il green pass, durante una pandemia che è costata ben oltre i quattro milioni di vite umane – di cui 128.000 in Italia – e che ha causato dolore e difficoltà a tutti i livelli della società, non rappresenta uno strumento punitivo ma protettivo; serve a tutelare la salute pubblica e a restituire libertà e lavoro a quelle persone che hanno dovuto rinunciarvi a causa del coronavirus.
In questi mesi abbiamo dovuto affrontare due gravi emergenze dal punto di vista sanitario: i decessi e lo stress degli ospedali. Nessuno potrà dimenticare la fila di bare di Bergamo o le immagini di medici e infermieri esausti e traumatizzati. Ma, invece, molti non considerano altri aspetti critici legati all’emergenza Covid19. Una sanità che fatica a star dietro ai ricoveri causati dalla pandemia ha, come ovvia conseguenza, problemi anche su tutti gli altri fronti dell’assistenza. Basti ricordare che nel 2020 sono stati eseguiti 2,5 milioni di screening oncologici in meno. Un ritardo che potrebbe costare molto perché si stima che non siano stati intercettati oltre 3.300 carcinomi mammari, 2.700 lesioni della cervice uterina, 1.300 carcinomi del colon-retto, giusto per fare qualche esempio concreto.
Oggi, grazie ai vaccini, lo scenario è chiaramente diverso ma il virus circola ancora e, con il 40% della popolazione italiana non vaccinata, bisogna evitare che si creino degli ampi focolai e che gli ospedali tornino ad essere pieni di pazienti Covid. Come si può raggiungere questo obiettivo? Nel tempo, continuando a vaccinare; nell’immediato, chiudendo tutti quei luoghi dove il rischio di contagio è alto oppure limitandone gli accessi a chi è protetto. Certo, si potrebbe scegliere la prima opzione, ma questo sarebbe un danno insostenibile per l’economia del paese. Dietro alla scelta del green pass per accedere a ristoranti, cinema e musei non c’è dunque nessuna discriminazione o punizione; solo buon senso per superare una fase difficile della nostra storia.
Un altro aspetto toccato dal documento e che va chiarito riguarda l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, perché su questi punti non è possibile lasciar spazio ad ambiguità.
I vaccini funzionano tutti e contro tutte le varianti che sono finora emerse, nel senso che proteggono dalla malattia grave e, quindi, dalla morte. Questo non significa che non sia possibile ammalarsi gravemente e persino morire se si è vaccinati, perché nessun farmaco funziona nel 100% dei casi. Ma la probabilità è molto bassa, decisamente più bassa rispetto a chi vaccinato non è. Lo dice non solo la scienza ma anche la semplice realtà: in Italia, il 99% dei morti per Covid19 negli ultimi 6 mesi non era stato vaccinato.
Prima della diffusione della variante Delta, potevamo anche dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, i vaccinati non si infettavano e quindi non potevano contagiare. Ora, con un virus estremamente più trasmissibile, dobbiamo purtroppo ricrederci e prendere atto che la mutazione ha reso l’infezione dei vaccinati più probabile di quanto lo fosse pochi mesi fa. Ormai lo sappiamo: il virus muta e quello che è vero oggi potrebbe non esserlo più tra pochi mesi. Nonostante questa possibilità d’infezione, si ritiene che le persone completamente vaccinate abbiano una scarsa possibilità di diffondere il contagio, proprio perché gli anticorpi presenti in loro bloccano la replicazione virale. Il rischio che ci possa essere un focolaio tra vaccinati è quindi bassissimo, mentre la presenza di persone che non lo sono mette a rischio tutti.
L’argomento che ho personalmente trovato più fastidioso nel documento dei filosofi è, però, quello che ammicca alle argomentazioni no-vax, sostenendo che non ci si può sorprendere che parte della popolazione rifiuti un vaccino generato in fretta, senza il giusto tempo per valutarne la sicurezza a lungo termine. E’ triste vedere come, alla fine, chi si erge a paladino della propria o altrui libertà nel campo della vaccinazione sia sempre contaminato da un retropensiero complottista, che ci vede tutti come cavie di laboratorio di scienziati perfidi o superficiali, assoldati dalle industrie farmaceutiche. I vaccini non sono stati sviluppati in modo frettoloso ma con urgenza; e non è la stessa cosa. Nella produzione dei vaccini anti-Covid, nessuna tappa del processo di validazione del prodotto è stata saltata. La rapidità della creazione è dovuta a tre motivi: tanti soldi investiti dai governi, tante persone contagiate – e quindi tempi rapidi per i test – e una procedura burocratica snella che ha consentito la valutazione dei dati in tempo reale. Non è possibile, per nessun farmaco, fare studi che permettano di valutarne la sicurezza a 30 anni dalla somministrazione, ma sulla base degli studi effettuati negli anni passati – perché questi vaccini e le loro componenti sono studiati nei laboratori da molti anni – e grazie alle analisi di tossicità effettuate negli animali si può escludere che possano avere effetti a lungo termine.
Se quindi è lecito non essere d’accordo con la misura del green pass sulla base del proprio concetto di libertà individuale, non è tuttavia utile dar voce a pensieri antiscientifici. Piuttosto, discutiamo di dove sia giusto imporre il green pass e dove no, considerando le ragioni e i diritti di tutti. Un luogo dove non può essere richiesto è, per esempio, la scuola che deve restare un diritto per tutti i ragazzi, anche in fase di emergenza. O non può essere un criterio per limitare il diritto alla sanità pubblica, perché chi sta male deve essere curato sempre, indipendentemente dagli errori che può aver commesso.
Cerchiamo quindi di intavolare una discussione costruttiva su come utilizzare al meglio questo strumento di protezione collettiva e non alimentiamo dubbi sui vaccini. Perché l’unico modo per tornare alla libertà pre-Covid19 passa attraverso la vaccinazione.

Antonella Viola su La Stampa